domenica 31 luglio 2011

Porcino in padella

Un porcino in padella non può che dire: "La mia vita ha avuto un senso!" (foto Bruno Bini)

CarloCarla

Sulla soglia

In cascina ai Monti di Dentro

In cascina ai Monti di Dentro

Improvvisa

Improvvisa ci coglie la sera.
Più non sai
dove il lago finisca;..........................

Vittorio Sereni Terrazza

Attracco a Cannero

Operazioni di attracco del VIA COL VENTO (sotto la direzione di Manolo) al porticciolo di Cannero.

Un sabato speciale

Un sabato sera davvero speciale, con l'amico Marco (al timone) e tanta altra bella gente. In barca da Luino a Cannero, con sovrabbondante cena di pesce al ristorante La Magnolia di Cannero. Ritorno al chiaro di stelle (la luna non c'era, luna nuova).

La cascina degli amici Fausta e Bruno

Ecco il mio amico Bruno (con il figlio Michele) a pochi metri dalla bella cascina sui Monti di Dentro (m 1311 slm). Sullo sfondo il Monte Basòdino.

Boletus edulis

Un bel Boletus edulis (porcino), incontrato (e raccolto) da Fausta lungo la via per i Monti di Dentro.

Fuori dal mondo

Dovete immaginare di percorrere la Val Maggia (in foto sullo sfondo), ad un certo punto appare una parete di roccia, un dirupo dal dislivello impressionante, sopra il quale sorge un piccolo prato, una cengia erbosa sopra la quale sono state edificate tre baite. Una, quella che vedete in foto, è dei miei amici Fausta e Bruno, e lì sono stato questa domenica. Osservando dalla Val Maggia, pare impossibile persino arrivarci su questo piccolo eden fuori dal mondo, eppure ci si arriva: in elicottero oppure a piedi, da Brontallo, in circa due ore di salita. Il praticello si chiama Monti di Dentro. Una meraviglia.

sabato 30 luglio 2011

Una buona chiusura

...Gli uomini si misero a cantare, un canto lento e grave che si perdeva nella notte. Poco dopo, sulla strada, al posto del reggimento tedesco non restò che un po' di polvere.
Irène Nèmirovsky SUITE FRANCESE

Sì, mi sembra una buona chiusura di romanzo.

venerdì 29 luglio 2011

Liala

Una mia cara amica sostiene che io sia uno scrittore prolifico, avendo pubblicato una trentina di libri di vario genere in vent'anni di attività. Ebbene, la mia 'prolificità' è un'inezia rispetto alla scrittrice d'antan Amalia Liana Cambiasi Negretti Odescalchi, in arte Liala (foto) nata nel 1897 e morta nel 1995. Liala ha pubblicato 83 romanzi, 4 raccolte di novelle e 2 volumi di ricordi. Ha iniziato a scrivere per non impazzire di pene d'amore, vendeva un milione di copie l'anno, mandava avanti 7 storie contemporaneamente. Ad un certo punto è stata persino costretta a far rivivere la sua eroina Lalla Acquaviva, morta alla fine di 'Dormire e non sognare': le telegrafò l'editore Angelo Rizzoli, scrivendo "Quattrocentomila donne piangono la morte di Lalla Acquaviva. Provveda." Pubblicò il suo ultimo romanzo 'Frantumi di arcobaleno' a 88 anni. Grande Liala!!!!

Il vento

Il vento, senti il vento, tu conosci la sua voce ma non sai quali strade lui farà...
Pensando al vento mi è tornata alla mente questa canzone, che cantavamo in chiesa negli anni Settanta. Quando si va in barca a vela è fondamentale conoscere le vie del vento. E un vento forte, fastidioso sulla terraferma, quando gonfia le vele è una manna dal cielo.

in foto: la freccia segnavento sulla cima dell'albero maestro della VIA COL VENTO

Esigenza

Abbiamo tutti bisogno di dar fiato alla nostra componente creativa, artistica. Arrivare a sera dicendo: "Bene, questo l'ho fatto con le mie mani. Questa è una mia creazione!" Dalla cucina alla fotografia alla musica alla letteratura al giardino eccetera eccetera.....un pomodoro che cresce grazie al nostro lavoro...è già un successo! Molto di ciò che facciamo è noiosa ripetizione. Abbiamo l'esigenza di prendere esempio dalla creatività di Dio, e di imitarla.

in foto: controluce sul Sasso del Ferro e sui Pizzoni di Laveno

giovedì 28 luglio 2011

Lo sguardo

Si sa che gli sguardi degli uomini non sono come quelli delle donne. Lo sguardo maschile principalmente sveste, quello femminile è più delicato e si sofferma sugli occhi, sulle mani, sul timbro della voce; eventualmente sveste il cervello, per immaginarne il contenuto. Come è naturale, il mio sguardo si posa spesso sulle donne, ma ho notato che di quando in quando anche gli sguardi femminili mi raggiungono. Notandoli, mi piace immaginarli anche con connotati 'maschili'.

L'animo umano

L'animo umano è bizzarro come certe nuvole. E non di rado è anche un po' stronzo. A volte non facciamo alcune cose (che avremmo fatto) proprio perché ci hanno detto di farle.

Illusioni giovanili 3

Quando ero giovane immaginavo il mio cammino di fede come una lenta ma progressiva ascesa; la preghiera e la meditazione mi avrebbero fatto progredire costantemente. Pensavo anche che chi non aveva la fede era forse un po' più sfortunato di me. Oggi so che la fede va e viene, che bisogna pregare continuamente ma soprattutto sperare; so che la fede (se male interpretata) può persino essere d'ostacolo, o alibi ad una piena umanità. Ho incontrato non credenti più fortunati di me, e con più coraggio, e con più umanità. Non rinnego il passato e continuo per la mia strada verso l'Alto, mi pare ancora la più desiderabile: ma come cambiano le prospettive, con il mutare degli anni.

in foto: la croce del rifugio Al Legn

mercoledì 27 luglio 2011

Emanuele beccato al volo

Le agenzie battono l'ufficialità del passaggio di Emanuele Pesoli (difensore dal Varese 1910) al Siena, in serie A con mister Sannino. Ed io, da buon cronista, non mi faccio trovare impreparato. E' mio vicino di casa, quindi lo becco al volo prima che prenda l'auto alla volta della Toscana. Aggiungo quindi una foto della serie: 'In posa coi campioni' e lo saluto. E' un ragazzo simpatico, ma soprattutto un ottimo difensore. Certo, da tifoso del Varese mi spiace che se ne vada, ma realizza il sogno di ogni bambino che gioca a pallone: la massima serie. Gli auguro di completare tale sogno, andando a giocare prima o poi nella grande Inter (si noti la mia tenuta). Ma questa è un'altra storia!

IL RACCONTO DEL MERCOLEDI'

L’omino di Orino

Che fare la pipì si potesse dire pisciare (che tradotto vuol dire pisàa) l’ho scoperto molto presto, da mio nonno Gilberto. Che il modo elegante per dire pisciare fosse orinare l’ho imparato non molto tempo dopo, alla colonia estiva di Milano Marittima. Avevo cinque anni. Me l’ha svelato il sorriso divertito di Luigi, un ragazzetto più vecchio di me, avrà avuto sette, otto anni, che veniva da Vilminore di Scalve. Un bergamasco furbo, che divenne subito mio amico.

“E tu da dove arrivi?” mi aveva chiesto un pomeriggio in spiaggia. Stavamo come prigionieri di un lager sotto una lunga tenda da beduini del deserto. Eravamo appena rientrati in ombra, dopo i venti minuti di cura elioterapica, dieci a pancia in su e dieci a pancia in giù, a friggere come hamburger sopra la sabbia rovente.

“Sono di Orino” era stata la mia risposta. Sincera.

“Orino?”

“Sì, Orino, perché?”

“Ma siete dei piscioni al tuo paese, allora!” era stata la risposta di Luigi. Seguita da un sorriso. Poi mi ha spiegato. Era svelto di idee quel bergamasco. Saggio a suo modo. Concluse: “Secondo me devi cambiare nome al tuo paese. Così non ti prendono in giro.”

“Cioè?”

Ci aveva pensato qualche attimo e poi: “Io farei Omino. Sei di Omino, non di Orino. Tanto nessuno lo sa dov’è Orino, non è mica Milano.”

“Omino? Ma anche omino, è un uomo piccolo…”

“Meglio un uomo piccolo che uno che orina, che piscia sempre, no?”

Mi aveva convinto. Così per tutti quei ragazzini lombardi, finiti a Milano Marittima per un mese di vacanze a basso costo, di giorno in giorno più neri per il sole e lo sporco, io ero di Omino, vicino a Varese. E ogni volta che lo svelavo, se Luigi era al mio fianco se la rideva, mostrando i suoi dentini guasti e la soddisfazione per aver dato a un amico un buon consiglio.

Poi venne la telefonata che mi tradì. Mi avevano suggerito di parlare a bassa voce al telefono, ma chi se l’era ricordato? Così avevo raccontato a mia madre, con voce forte e gioiosa (finalmente la sentivo) soprattutto due cose: la scoperta di Orino e la storia di suor Clementina. A dispetto del nome, più appropriato per una donna minuta e gentile, sorridente e sincera, la suora era di alta statura, robusta, scorbutica, con un naso importante che faceva ombra a tutto il viso ma non ai baffetti, peluria dispettosa che ancor più negava grazia ad un volto da maschio. E per noi ragazzini, quella era suor Baffettilde. Questo raccontai a mia mamma, la salutai e la baciai sul duro della cornetta, che appoggiai sopra l’apposito sostegno, raggiunto in punta di piedi. Svoltai l’angolo del corridoio e chi vidi? La schiena e il velo di suor Baffettilde. Forse mi aveva sentito. E se c’era rimasta male per il soprannome?

Arrivò il giorno della conferma dei miei timori, il tempo della punizione per la mia villania, la pena per la mancanza di rispetto, dovuta a quell’abito sacro. E adesso racconto. Dopo il pranzo ci toccava il riposino pomeridiano, tanto amato dai grandi quanto snobbato dai piccoli. Un’ora nella penombra e nel caldo, a curare mosche e zanzare sognando tuffi in mare e ruminando nostalgie di casa e di abbracci. Il giorno dopo la telefonata rivelatrice, suor Clementina mi chiamò: “Vieni, ti devo parlare. Salirai dopo in camerata” e mi regalò un quarto di sorriso; ma gli occhi sapevano di vento e di tempesta. Salutai Luigi e la seguii. Non ero mai entrato in quel locale. Chiusa la porta, suor Baffettilde mi prese un orecchio, cominciò a stropicciarlo e mi si pose davanti. Arrivavo più o meno all’altezza del suo seno, schiacciato dalle proibizioni della tonaca da suora. Non mandava un odore gradevole. Spinse in su il mio mento, per dire che avrei dovuto guardarla negli occhi. Ma io le guardai i baffi.

“Le bugie non si dicono, lo sai?”

Fui sollevato. C’entrava la storia di Orino-Omino, non il soprannome beffardo.

“Mai” proseguì la suora. “Dalle piccole bugie nascono le menzogne, che sono bugie grosse, da confessare subito.”

Bene, la mia era solo una piccola bugia. Non capii allora perché mi prese di nuovo l’orecchio, sempre lo stesso, quello destro, già rosso per la strizzata di prima.

“Non cambiare il nome del tuo paese. Non devi vergognarti di abitare a Orino. Mai più bugie: promesso?”

Avevo solo cinque anni, ma intuii che lei diceva Orino ma avrebbe voluto dire ‘Mai più suor Baffettilde, capito, piccolo moccioso?’

“Promesso, suora, promesso….mi scusi.”

“Bene, vai a dormire, adesso.”

Allora non compresi perché, dopo quell’incontro, la sera stessa, cominciò a diffondersi la voce che io venivo da Orino e non da Omino, quindi un po’ puzzavo per forza di pipì. Accusai Luigi, che spergiurò di aver mantenuto fede al segreto. Non potevo immaginare che suor Clementina potesse essere così vendicativa. Oggi, alla mia età, poco riesce a stupirmi, e sono ormai certo che fu suor Baffettilde a pungere come l’ago di una siringa quel gruppo di bimbi in vacanza, facendo scorrere il liquido della storia del mio paese che sa di pipì. Un paese al quale, sinceramente, fossi stato fra i padri fondatori, avrei regalato un altro nome. Eppure sono di Orino, che tradotto vuol dire: ‘Epür vegni da Urììn, ca l’è ‘n gran bel paès!

Carlo Zanzi


questo racconto è già stato pubblicato sulla rivista Menta & Rosmarino

martedì 26 luglio 2011

Marchino on ice

Complimenti al mio amico Marchino che (insieme a Carletto e Matteo) ha portato a termine, domenica scorsa, la Ambrì-Ambrì, nota scalata ciclistica elvetica. Causa maltempo (freddo, vento e persino neve sul Gottardo) la prova è stata un po' ridotta, ma lo stesso prevedeva l'ascesa del Passo del Gottardo da Airolo (tempo per Marco: 1 ora, 11 primi, 30 secondi) e la temibile salita dell'Altanca, un muro di 5 km dalle pendenze impressionanti. Infine, doccia calda allo stadio di Ambrì. Una prova da temerari. Con grande forza di volontà e costante allenamento, Marchino ha fatto grandi miglioramenti. Partito come potente passista, è poi diventato un passista-scalatore, e non è detto che concluda la sua brillante carriera da dilettante come scalatore puro, convertito anche lui (come il sottoscritto) al fascino della salita.

La pannocchia

Nel Corno d'Africa i bambini muoiono di fame. Da noi sgranocchiano pannocchie. Per aiutare i bambini africani ognuno ha i suoi modi. Vedere fra l'altro articolo su www.varesenews.it (fame in somalia) oppure l'articolo qui sotto su fb.

Vola il Memorial

Vola la canotta del Memorial Fabio Aletti. Eccola sul Gran Kanyon. Mi sa che Roberto Bof è stato battuto.

Illusioni giovanili 2

Quando ero giovane e salivo velocemente sulle cime dei monti (in foto, panorama dalla cima del Limidario) pensavo all'anzianità come all'età della saggezza, l'età migliore, libera da incombenze lavorative e da passioni eccessive. E invece no. Mi rendo conto che tale periodo della vita è il peggiore, il più duro, il più frustrante. E allora qual è l'età della saggezza (se mai esiste)? Credo sia quella che va dai 50 ai 60/65, quando bisogna essere saggi per forza. Cioè? Arrivano i primi problemi di salute di una certa entità, e bisogna far fronte contemporaneamente a questi, al lavoro, magari ai figli e pure ai genitori anziani. In tale situazione o si è saggi, o lo si diventa, o ci si spara!

lunedì 25 luglio 2011

Illusioni giovanili 1

Tornando ieri dalla cima del Limidario verso il rif. Al Legn (foto) mi sono rivisto giovane, quando in vacanza con gli amici in Val Gardena succedeva questo: c'era la gita per tutti, e la variante per alcuni 'temerari'. Io ero sempre fra questi e quando rientravo nel gruppo, dopo aver raggiunto una cima supplementare, ero convinto che i più mi ammirassero. Oggi so che non era così, l'età ha ampliato i miei orizzonti, e soprattutto so leggere meglio negli orizzonti altrui. Sono certo che alcuni mi invidiavano (ma nella variante rancorosa), altri mi biasimavano perché avevo voluto mettermi in mostra, o perché avevo scelto la solitudine anziché la compagnia. Sì, forse qualcuno (e più probabilmente qualcuna) mi avrà anche benevolmente ammirato, ma una minima parte. Con l'età si comprendono molte più cose. E non sempre piacevoli.

Ma le cose non sempre vanno come vorremmo

Se le cose andavano come dovevano andare, oggi i miei genitori Ines e Mario avrebbero festeggiato il loro 58° anno di nozze, essendosi sposati il 25 luglio del 1953, nella piccola chiesa di Fogliaro. Ma le cose non sempre vanno come vorremmo. Così mio padre (che in questo periodo non è in forma) ha dovuto festeggiare da solo, come accade ormai da troppi anni. E anche per questo mio padre è amareggiato.

Brava Madda

Ho appena saputo che mia figlia Maddalena ha superato il suo ultimo esame, manca solo la tesi per la laurea magistrale in matematica. Stamani l'ho accompagnata alle 7 alla stazione. Ho sempre la Nikon con me. Mi pareva bello fotografarla nel cammino che ha compiuto per 5 anni, cinque giorni su sette ogni settimana; fissare il suo procedere verso la stazione Nord, alla volta di Milano. Un passo alla volta, con pazienza..ore e ore di studio...numeri e formule...geroglifici per me..poi arriva, per fortuna, l'ultima partenza.

Il pianto di Dio

Forse l'altro giorno, in Norvegia, durante la strage, il cielo era come questo. E se un Dio esiste, Lui, dietro le nuvole, piangeva.

Non è giusto

Osservando questa foto della mia famiglia, ho pensato: "Per i giovani di oggi è più dura. Soprattutto la precarietà del lavoro rende tutto più difficile." Questo non è giusto. La mia generazione è stata troppo egoista. Sento di avere qualche responsabilità. Non so quantificarla e identificarla, ma probabilmente c'è.

domenica 24 luglio 2011

Rifugio Al Legn

Uno dei rifugi più panoramici della nostra zona. Dal rifugio Al Legn (m 1800 slm) si può ammirare oltre il 50% di tutto il lago Maggiore, da nord sino a Luino ed oltre. Il piccolo rifugio (si nota nella foto) è a picco sul Verbano. Da Varese a Laveno, poi battello sino ad Intra, si risale il lago sino a Brissago, svolta a sinistra verso Murgugno (una decina di km di strada stretta ma asfaltata), si lascia l'auto in un piccolo parcheggio (arrivare per tempo) e poi un'oretta e mezza a piedi di comodo sentiero. 800 metri di dislivello. Una meraviglia. Dodici posti letto per chi vuole passare qualche giorno di solitudine.

Il gigante buono

Il Monte Rosa come appare dalla cima del Monte Limidario. Il monte più in basso dovrebbe essere il Massone, ma attendo conferma dal mio amico Enrico, grande esperto di cime.

Monte Limidario o Gridone

Dal rifugio Al Legn, in un'oretta di cammino per sentiero non esposto, si raggiunge la cima del Monte Limidario o Gridone, a 2.200 m slm

Una nuova croce

Un'altra croce raggiunta, quella del Limidario. Sullo sfondo: il Ticino sfocia nel lago Maggiore.

Luisa e Ric

I miei amici Luisa e Ric, grandi camminatori

Foto di gruppo

Foto di gruppo, prima di lasciare il rifugio Al Legn

sabato 23 luglio 2011

Un Bof di solidarietà

Bòff nel nostro dialetto significa 'soffio', ma quello che fa Roberto Bof (al centro con cappellino) è un poderoso vento di solidarietà. Eccolo ora nell'orfanotrofio di Nkuba, in Burundi. Fra le tante cose, mi sa che ha già vinto anche il concorso organizzato in occasione del Memorial Fabio Aletti: metti la maglietta nel luogo più lontano possibile da Varese. Le canotte del Memorial sono in Burundi: vediamo chi saprà fare meglio di Bof.

Battesimo in barca a vela

Ci ho messo solo 55 anni, ma alla fine è arrivato anche il mio battesimo in barca a vela. Grazie all'amico Marco e alla sua 'Via col vento', un piccolo, stupendo cabinato. Partenza da Luino, una bava di vento in principio, poi vento più consistente verso Cannero. Al timone, con mano tremante, ho 'circumnavigato' i famosi Castelli; poi il vento, a metà lago, è calato irrimediabilmente. L'inverna non si è fatta viva e allora siamo rientrati in porto con l'utilizzo del motore. Due ore speciali, soprattutto per me, amante di Piero Chiara. Avevo di fronte la sua Luino. Non ero sulla Tinca, ma ho ritrovato le sue descrizioni e la sua passione per le barche a vela. Veleggiavo sopra il suo lago. Con il cuore leggero.

Lupo di lago

Il mio amico Marco, lupo di lago, skipper della 'Via col vento' Alle sue spalle, i castelli di Cannero.

Randa e fiocco

"E' una barca da diporto con fiocco e randa a picco" risposi "progettata e costruita prima della guerra dall'ingegner Vittorio Quaglino di Intra, che l'aveva concepita per la pesca sportiva in mare e avrebbe voluto farla costruire in serie. Non è bella, ma è spaziosa, comoda e di buon comando, tanto che posso governarla da solo. Dentro ha due cuccette e un cucinino."
Piero Chiara 'La stanza del vescovo' cap 1

In foto: randa e fiocco della 'Via col vento'

Incipit

Nel tardo pomeriggio di un giorno d'estate del 1946 arrivavo, al timone di una grossa barca a vela, nel porto di Oggebbio sul lago Maggiore. L'inverna, il vento che nella buona stagione si alza ogni giorno dalla pianura lombarda e risale il lago per tutta la sua lunghezza, mi aveva sospinto....
Piero Chiara La stanza del vescovo incipit

La barca non è la Tinca ma la Via col vento, il porto non è Oggebbio ma Luino, il lago però è lo stesso, identico il profumo.

venerdì 22 luglio 2011

La Madona dul Munt

La Madona dul Munt l'è 'n diamant
la lusènta me l'or d'un tesor,
rampegà la rizzàva e i capèll
var pussèe che la fama e i giuièll

Ul Signùur l'eva bun
ul Signùur l'eva in bona;
l'ha pensà: "Fo un belèe"
e Varès e Varès l'eva in pè.

..........

dal canto popolare 'Valzer par Varès'


Santa Maddalena

Tanti auguri a tutte le Maddalene che conosco (non molte per la verità) e un augurio speciale per la 'mia' Maddalena.

E guardati in faccia

Protestiamo, pretendiamo dai politici, consigliamo, rimproveriamo, arriviamo all'indignazione, ci strappiamo le vesti e recriminiamo....ma mettiamo allo specchio e guardiamoci in faccia: è la nostra rivoluzione che dobbiamo combattere. E' da quel nostro cuore nascosto e infedele, debole e pavido, che partirà ogni cosa.

giovedì 21 luglio 2011

Una vita dura, da duri

Per poter affrontare la vita (anche quella normale, lasciamo stare i drammi) bisogna essere dei duri. Cioè le nostre armi di difesa vanno conquistate, la natura ci regala poco, gratis non si acquista molto, non si va lontano. La celebre battuta di un comico (suppongo Totò) suonava più o meno così: "Nobili si nasce, e io lo nacqui!" Ebbene, duri non si nasce. Ma lo si deve diventare. Poco alla volta, dedicando energie anche a questo scopo. Essenziale.

in foto: fratelli che avevano coraggio

Appallottolarsi

Quando la nostra concentrazione su noi stessi esagera, e i minimi acciacchi diventano troppo disturbanti e la nostra centralità nell'universo ci esaspera che dobbiamo fare? Una pastiglietta? Non credo. Immaginiamo di essere un foglio, appallottoliamoci e gettiamoci nel più vicino cestino della carta. Cestiniamo noi stessi e pensiamo agli altri. Sarà una bella bevuta di vitalità.

La mia salita

Anche Dimitri Nikanov, il suo ultimo gregario, si lasciò inghiottire dalla fatica. D'un colpo cessò di lottare. Non aveva nemmeno il fiato di urlare a Marco che, da quel bivio alla cima, sarebbe rimasto solo.
Davanti a lui s'apriva una via di duemilatrecento metri, tanto distava il traguardo da quel punto, il bivio delle Ville. Svoltando a destra, per un sentiero di sassi, detto delle pizzelle, si raggiungeva la Madonna del Monte, sul colle sacro.
Il caldo era opprimente. Le moto di testa tagliavano i tifosi come navi rompighiaccio, ma i fanatici si riavvicinavano subito ai loro beniamini. Nel cielo, a bassa quota, ronzava l'elicottero Rai.

(Carlo Zanzi CICALE AL CARBONIO p 62)

Per fortuna

Mamma mia, come si rimpicciolisce il 'mondo' quando si cresce! Quella sala che ci pareva enorme da bambini ora è solo un locale spazioso...la tua città è poco più di un borgo...e non rassicura più di tanto il camice bianco del medico, e certe divise, e le cerimonie, le bandiere, gli uomini in giacca e cravatta....Conosciuti i retroscena, la scena s'impoverisce. Per fortuna, con gli anni, sappiamo aprire il soffitto a quella piccola sala che è il mondo, come fosse un osservatorio: s'apre il tetto, spunta il telescopio e si vede, da vicino, il cielo.

in foto: l'osservatorio del Campo dei Fiori

mercoledì 20 luglio 2011

I rintocchi della Martinella

Cerimonia di consegna, un'oretta fa, della Martinella del Broletto 2011 (massima onorificenza varesina) ad Achille e Roberto Babini Cattaneo (che vediamo a fianco del sindaco Attilio Fontana), per la donazione alla città del parco e della Villa Mylius. La Giunta di Palazzo Estense quasi al completo, i 'Martinellati' del passato (ho rivisto con piacere Daniela Colonna Preti, il professor Montoli, Angelo Monti) autorità, varesini. Un grazie anche da parte mia ai due generosi fratelli.

La grazia

Ieri sera ho rivisto una nota intervista a Indro Montanelli, sul tema della grazia: "Io non ho avuto il dono della grazia. Avrei dato anche la vita per avere la fede in Dio, cosa mi interessava la vita, sapendo che avrei avuto una vita eterna. Ma io questo dono purtroppo non l'ho avuto. E se dovessi incontrami con il Padre Eterno, sarò io a fargli il processo, non Lui. Gli domanderei -Perché non mi hai dato la grazia?-"
Io la penso diversamente, perché l'idea di un Dio che a priori sceglie questo o quello mi risulta del tutto ingiusto. Un Dio così non mi serve. Penso ad un Padre che offra a tutti le medesime opportunità di salvezza, la nostra libertà fa il resto. Non si tratta però solo di buona volontà, come quando si dice ad un depresso: "Ma su dai, coraggio!" come se bastasse una pacca sulla spalla per ottenere la guarigione. Molti i fattori che entrano in gioco (gli incontri, le avventure e le disavventure, la capacità di 'rabbonire' le pretese della nostra razionalità.....) e che portano infine ad avere o a non avere fede. Ma la grazia è per tutti. E poi la fede non è un dono che uno riconosce una volta per tutte: ce l'ho, non ce l'ho. E' la nostra speranza quotidiana: ogni giorno si lavora per il pane, ogni giorno si prega perché sia tutto vero.

Passato

Riappropriarsi del passato (luoghi, persone..) oppure scansarlo, imbellettandolo con i ricordi? I pareri non sono unanimi. Io -non troppo razionalmente, in verità, spinto da un vento interiore che mi determina- vado alla ricerca del passato, nell'illusione di poter raccogliere brandelli di quella gioventù che se ne è andata. E non sempre è delusione. Le persone sono cambiate, certo, i luoghi sono meno magici di quando li si ricorda, eppure questo contatto può far bene. Se poi riusciamo ad annodare fili che non siamo mai riusciti a far combaciare allora, l'incontro può regalare emozioni leggere e piacevoli, dialoghi interessanti, 'costruttivi', altre pietre che si aggiungono per la costruzione del nostro edificio.

in foto: incontro fra ex liceali

IL RACCONTO DEL MERCOLEDI'

luglio

Era un pomeriggio di luglio. Uno di quei pomeriggi di vacanza, nei quali si rimpiange il lavoro. Sarà il caldo, che smolla le forze insieme all’asfalto. Sarà la luce, che uniforma in un abbaglio gli oggetti e le persone che danno forma al fuori di noi. E dentro una gran voglia di far niente, che solo il sonno parrebbe soddisfare: né un tuffo in piscina, né ipotesi di vacanze lontane, né il sesso, non il cibo. Il dolce far niente diventa fastidioso come una tavola chiodata da fachiro.

Le aveva pensate tutte, qualcuna anche iniziata, ma s’era dovuto bloccare per inedia. Infine aveva deciso di sbattersi fuori casa, di nuotare nell’afa abbacinante del centro città, sperando probabilmente in un incontro, che avrebbe potuto buttargli una secchiata di acqua gelata su quella faccia inespressiva. Magari un suo amore dimenticato, o qualche altro niente affatto scordato.

S’era messo a vagare senza meta, bighellonando nella più inutile delle passeggiate, ma le poche persone dedite al passeggio come lui parevano del suo stesso umore, perse nella malavoglia, incapaci di reggere l’un l’altra il peso dell’esistere.

Infine, sul tardo pomeriggio, quando però il sole –data la stagione- era ancora alto e fastidioso, coi raggi che parevano alitate pesanti e caldissime, s’era ritrovato dalle parti di un rione di quella città prealpina, zona che aveva ospitato la sua infanzia e la sua adolescenza.

Subito pensò alla chiesa vecchia, perché se la ricordava buia e fresca, persino fredda anche d’estate. Aumentò il passo lungo la stretta via in pavè e giunse alla piazza. Non ci passava da almeno un anno. La facciata era più pulita di come la ricordasse, tanto che la luce aveva trovato una superficie quanto mai adatta alla sua voglia di imporsi. Entrò. Dovette subito stupirsi perché –certo a motivo di un recente restauro- trovò gli interni (pavimento, pareti, soffitto, panche, confessionali, altare, tendaggi, paramenti e tutto il resto) come fossero stati almeno un anno in ammollo. Comunque un po’ d’ombra la si trovava, e soprattutto la temperatura era gradevole. Dapprima si sedette nell’ultima panca. Poi ragionò: come condizione spirituale, quel posto andava bene, peccatore inadatto a procedere oltre. Ma non potendosi giudicare peccatore pentito (caso mai incallito) pensò che sedersi sulle prime panche non avrebbe cambiato nulla nella sua vita. Sul fondo della chiesa o in avanti, era entrato senza desideri di conversione, e così sarebbe uscito.

Non aveva voglia di pregare. Non s’era scordato le orazioni, ma aveva del tutto perso il gusto di recitarle. Pregare no, ma ugualmente si piegò in avanti, accolse la sua testa vuota di tutto dentro le palme delle mani, e si sentì abbracciare da una convincente sonnolenza. Certo si sarebbe addormentato in pochi tremolii di fiamma di candela, se non gli fosse venuto in mente, come una meteora, don Tarcisio Bistoletti. E i ricordi di quel prete della sua infanzia, attor primo in quella chiesa di periferia, lo accarezzarono come le dita di un’amante.

Dunque, si trattava di tornare agli anni Sessanta, quando don Tarcisio, parroco di quella comunità di fedeli, già piuttosto anziano ma incurante delle debolezze del suo corpo, più che coperto ad ogni vento di novità conciliare, faceva il bello, il cattivo e il mediocre tempo in quella porzione di Chiesa Cattolica Romana. Ma i guai cadevano soprattutto sulle gracili spalle del giovane coadiutore, sulle suore, sui fedeli di età matura, che a quel parroco credevano, e che da quel prete si facevano modellare come avrebbe fatto un iroso Michelangelo sul marmo di Carrara: più che altro grandi scalpellate. A loro, ragazzi, spettava la parte migliore, eccezion fatta per l’obbligo della Compieta a metà pomeriggio domenicale, obbligo che spesso scantonavano, scappando quando si trattava di attraversare la via, per recarsi dall’oratorio (delizioso luogo di giochi) alla chiesa. A loro spettava la parte migliore, cioè le grandi risate, accese per la percentuale maggiore dalle parole di don Bistoletti, e per una minima parte dalla compagnia di amici, che per solito rafforza l’ironia, la sorregge e fa da riparo ad eventuali rimbrotti di chi, quell’ironia, provoca.

Intanto si narrava (ma tale diceria aveva più i contorni della leggenda) che sua madre l’avesse partorito in ginocchio, a dire di una donna profondamente religiosa, e di un figlio che ebbe sempre grande venerazione per questa santa mamma. Ancora si diceva che don Tarcisio facesse il bagno vestito, indossando un’apposita tunica, per non venire in contatto diretto con la sua carne. Fatti incredibili che lui non aveva potuto verificare, che comunque giudicava probabili. Ma soprattutto ciò che lui aveva visto e udito tornò dentro quella sua siesta pomeridiana. Quell’insistere di don Tarcisio proprio sulla carne come materia di perdizione, scomodo abito di un corpo che –probabilmente- avrebbe voluto di solo spirito, ma che –non essendo angelo- era costretto a subìre, carne che oltretutto a lui abbondava, data la sua pancia fuori misura.

Guardò l’altare e se lo rivide lì. “E tu, donna, sorella in Cristo, adesso andrai in vacanza, perché arriva l’estate. E ti abbronzerai il nudo corpo.” E, con l’indice puntato verso la malcapitata, ma insieme verso tutte le donne presenti in chiesa e più alla larga verso tutte le femmine del mondo: “Abbrònzati l’anima, alla luce di Cristo Sacramentale!” Questo era un imperativo classico, come ricorrente era la celebre predica del venerdì santo, che si ripeteva sempre uguale, compreso l’epilogo, che giungeva dopo non meno di venti minuti di omelia. “Fratelli, conchiudendo…” e giù a ridere, per quell’atteso svarione, e insieme in trepida attesa per le tre frasi latine: “Vide pendente! Aude loquente! Adora moriente!”

Poi c’erano i pezzi unici, che ancora rammentava. Come quello capitato durante un mese di maggio di molti anni prima.

Don Tarcisio era un cultore del rosario, che consigliava e propagandava in ogni maniera. Quella volta disse: “Il rosario preserva da ogni peccato, il rosario preserva dai pericoli, preserva dalle tentazioni, dai vizi della carne.” Poi un attimo di sospensione, quasi dovesse pesar bene le ultime parole, o forse insospettitosi che la rima avrebbe fatto cilecca. Ma don Tarcisio partì lo stesso: “Il rosario è il preservativo della Madonna!”

A quei ragazzi non sembrò possibile una simile chiusura, parve inverosimile che il prelato non avesse potuto accorgersi di quel clamoroso svarione, ma lo stesso lo tennero per buono, conservandolo come la più riuscita delle barzellette.

In chiesa era solo, quindi non cercò di trattenere le risate, che gli gorgogliavano dentro come una quarantina di anni prima. Si era completamente risvegliato dal torpore di luglio. Poi ebbe un moto di serietà: non era eccessiva quell’ironia alla sua età, se non veneranda almeno più che matura? E non era dissacrante quel suo pensare a don Tarcisio come ad un attore comico? Eppure, se esistevano delle ‘ipsissima verba Christi’, lui avrebbe potuto testimoniare che erano state pronunciate ‘ipsissima verba Bistoletti’.

Ma don Tarcisio era stato anche altro. Così nella memoria vinse l’imparzialità e tornò anche l’ultimo don Bistoletti, quello più conciliante, uomo di Dio che proprio lui vide morire in ospedale, con rantoli e forse un’ultima invocazione a Dio, alla Madre Maria e a sua mamma.

Don Tarcisio aveva sempre disprezzato i beni materiali, e la riprova venne quando, dopo la morte, fu possibile accedere in tutti i locali della sua abitazione. Indossava vesti logore, quando ne possedeva di nuove. Tutto ciò che aveva ricevuto in dono nei suoi molti decenni di parroco (dalle bottiglie di vino agli ombrelli alle borse ai biscotti agli oggetti di gran pregio) stava accumulato in quelle stanze, spesso ancora impacchettato: neppure s’era premurato di aprirli, soffocando quel minimo di curiosità che è anche degli uomini, oltre che –più abbondante- delle donne.

Anche quello era stato il curato Bistoletti, un prete fuori dal tempo, inadatto a modellarsi alle novità di una Chiesa rinnovata, rigido nei suoi principi inossidabili.

Don Tarcisio gli aveva risolto l’epilogo di quel giorno senza sale. Sentì addirittura la voglia di pregare. Lo faceva per porre rimedio agli eccessi dei suoi ricordi? Un chieder perdono al vecchio parroco? O a Dio, per quell’assenza, magari giustificata, ma comunque troppo lunga? Ritrovò vecchie domande e nuovi dubbi. Preferì arrangiarsi con un segno di croce, un pateravegloria, un requiem e poi fuori di nuovo, nel calore soffocante del mondo laico.


il racconto è tratto dal volume 'Una città in cornice' (Macchione editore) di Carlo Meazza e Carlo Zanzi

martedì 19 luglio 2011

Il dono del narratore

La virtù più importante del narratore è, a mio avviso, la pazienza. Occorre una pazienza infinita nella stesura di un romanzo. Mai farsi prendere dalla fretta. Ma non è finita. Occorre poi molta pazienza per andare alla ricerca di un editore, e poi la pazienza nell'attesa dell'uscita del libro, la pazienza di chi attende i pareri, l'esito delle vendite in libreria, la pazienza di sopportare le critiche....insomma, un narratore dovrebbe ringraziare di aver ricevuto il dono della scrittura non per i soldi, la fama, le gratificazioni del successo (riservati, fra l'altro, ad una ristrettissima elite) ma perché è lo strumento per fortificare, accrescere, potenziare, rinvigorire la pazienza, virtù essenziale.

in foto: il mio amico, narratore varesino Riccardo Prando