mercoledì 20 aprile 2011

Gli auguri

Ora, che il glicine sta sfiorendo, è giunto il tempo di scambiarsi gli auguri di Pasqua. Come spesso mi succede, ho raccolto un moncone di dialogo che mi ha permesso di capirne subito il senso compiuto. Che era il seguente: una donna si lamentava perché una sua amica si faceva sentire solo a Natale e a Pasqua, arricchendo i due saluti annuali con aggettivazioni divine, Buon Natale nel Signore che nasce, Buona Pasqua nel Signore risorto. Un caso in cui la componente religiosa non è di aiuto, ma un'aggravante. Gioca coi fanti ma lascia stare i santi: e meglio non 'usare' Dio per abbellire le nostre mancanze.

IL RACCONTO DEL MERCOLEDI'

LO SPECCHIO

Sono lo specchio di un parrucchiere da uomo. Sono qui da una vita. Ho visto migliaia di volti, di sguardi, di capelli cadere, di tristezze salire. Conosco ogni genere di taglio, ogni qualità di capello, ma soprattutto conosco, e bene, le sottigliezze di un presagio che, di anno in anno, di taglio in taglio, si concretizza in timore, sospetto fondato, quasi certezza, certezza e infine pena.

Contro di me cozzano gli sguardi di chi scruta, cerca conferme di stabilità, nota zone di luce, spazi che si aprono verso un futuro per nulla promettente.

Le prime tristezze giungono sui vent’anni. E sono le più cupe. Si capisce che non potrà durare, il malcapitato lo sa e allora, di seduta in seduta, aguzza la vista e insieme si immerge nelle profondità della depressione da calvizie precoce. Infine la rabbia, con rapata senza censura, al grido: “Calvo è sexy!” E qui si consuma la prima selezione naturale. Mi soffermo allora sugli sguardi temporaneamente soddisfatti di chi ha passato il primo giro di vite e può guardare al futuro con parvenze di ottimismo. Ma se lo sfoltimento è più lento, dando in apparenza l’agio di abituarsi al cambiamento, in verità il lutto è sempre grave, e l’elaborazione comunque lunga e penosa. Sicché gli sguardi si fanno sospettosi, più penetranti, indagano, curano, tracciano immaginarie linee che non andrebbero mai valicate, spostano i confini, si abituano a nuove visioni. Infine, presto o tardi, ma sempre a denti stretti, accettano.

E’ un duro lavoro il mio. Contemplare, impotente, la melanconia di generazioni di insoddisfatti non è facile. A volte, quando mi par di capire che dietro quei due occhi persi vi sia davvero una lancinante pena esistenziale, lascio andare qualche lacrima. So che tutti pensano si tratti di gocce di profumo spray finite sullo specchio, di schizzi d’acqua. Si tratta, in verità, della mia muta compassione.