mercoledì 30 maggio 2012

Ritorno in chiesa

Oggi non sono felice, e parte della mia tristezza credo sia dovuta al pensiero di chi soffre per il terremoto in Emilia. Un pensiero che non mi lascia, un senso di insicurezza che fa mancare il fiato. E poi anche la fede trema insieme alla terra e ai muri. Soprattutto dopo aver raccolto storie come quella di don Ivan Martini, classe 1947, parroco nella chiesa di Santa Caterina di Rovereto sulla Secchia. Ha voluto a tutti i costi rientrare in chiesa per recuperare la statua della Madonna, si è messo in testa l'elmetto e via. Avrà senz'altro pensato: "Sto compiendo una buona azione, la protezione di Maria non mi è certo negata." E invece una scossa, è venuto giù tutto, lui è morto. Ed io sono diviso.

Buon anniversario

Buon anniversario di nozze, cari amici.

Il racconto del mercoledì




      DUETTO IN FAX







Personaggi:
Mario - libero professionista, aspirante scrittore, in vacanza per una settimana in una località montana delle Alpi
Carlotta - manager di una ditta di pellicce
Luisa - figlia sedicenne di Mario e Carlotta, in vacanza con il padre


Lunedì

Questo il contenuto del primo fax inviato da Mario a Carlotta il lunedì sera, dopo la prima giornata di vacanza. In fax risponderà anche la moglie, tutti i giorni, essendo impossibilitati i due sposi, ma soprattutto lui, a sopportare un'assenza senza notizie oltre le ventiquattr'ore e preferendo entrambi il messaggio scritto a quello diretto via cavo telefonico o 'cellulare'.

Carlotta carissima, credo in tutta sincerità che questo, fra le cime, sia il luogo ideale per concludere la mia fatica. E’ l'ultimo racconto della raccolta, deve trattare di un primo rapporto completo fra giovani. Ne devo parlare, anche se lasciare una traccia scritta non sarà facile. E' una sfida, la mia sfida di questi sette giorni. Ho bisogno di simili pungoli.
Non posso farti leggere testo perché nulla ho prodotto, sino a questa sera. Forse dopo il fax... Ho solo le tante idee dell' esordio. Penso però di essere giunto ad un punto fermo: sarà in un fienile. Condizionato dal luogo scelto per le ferie? Si capisce, sempre ci si fa portare al guinzaglio dal nostro vissuto. Comunque, fra tanto materiale in ebollizione, idee che saettano come i fulmini del temporale di questo pomeriggio, fra tanta pasta da lavorare, il lievito indispensabile è già in mezzo: un fienile. Naturalmente aspetto, se possibile in prima mattinata, il tuo fax di risposta, il tuo parere. E lasciami qualche suggerimento anche sull'età. Io sarei sui sedici-diciassette lei, una ventina lui. Mi parrebbe in media. Vedi se ti puoi sbilanciare. Un bacio. Ti sono accanto. Ripòsati e difenditi, per quel che riesci, dall'afa ammorbante della bassa. A domani.
                                                                       Mario

Luisa non avrebbe mai e poi mai accettato di farsi sette giorni di ferie col padre. Non voleva affatto andarci, preferendo dieci giorni al mare con Fiorella, compagna di banco al liceo, che condivideva con lei un'ottima pagella ma che aveva, in aggiunta, una zia con appartamento sul litorale adriatico. Eppure, nonostante la presenza -che garantivano fissa ed attenta- della zia Sandra, nonostante l'economicità, nonostante i tanti 'nonostante', padre e madre avevano ritenuto più opportuni, per il bene di Luisa, sette giorni sotto il fascio di luce degli occhi di Mario.
Luisa era partita con una borsa piena di malavoglia e di rabbia, senza scarponi, con tennis, jeans, crema solare, senza giacca a vento, con qualche rivista e pochissimo altro. Il lunedì lo trascorse per metà, sino alle tredici circa, nel tentativo infine riuscito di far morire la nausea, regalo del viaggio a tornanti stretti; dalle tredici sino all'ora di coricarsi nella perlustrazione dell'ambiente, anzitutto di quello del nuovo appartamento. Il minimo di confort c'era: letto solo per lei, fori della corrente elettrica ad altezza cuscino, spina con prese multiple, un bagno spazioso e pulito. Per la cucina ci avrebbe pensato il padre: questa una delle tante condizioni per venire con lui. Caso mai, con la luna giusta, avrebbe messo mano ai fornelli, ma solo eccezionalmente, e per qualche ricetta non ordinaria.


Martedì

Caro Mario, voglio essere da subito chiara, senza finzioni. Sai bene che il medico pietoso fa la piaga cancrenosa. Così dico quello che penso, disinteressatamente, credo davvero solo per il bene dell'originalità di quanto vai scrivendo. Scòrdati il fienile. Non ci siamo. Mi sono chiesta: con tutti i posti che ci sono, proprio su quello doveva impuntarsi? Fai come credi, massima libertà, ma per me parti male. E poi, se permetti, non mi convince nemmeno l'età; perché se è vero che, statistiche alla mano, la prima avventura amorosa 'integrale' vede coinvolti giovani, quando non giovanissimi, è ancor più vero che la sottoscritta alle statistiche non crede per nulla. Fosse dipeso da loro, la nostra ditta avrebbe chiuso da tempo, e invece si viaggia col vento in poppa. Io alzerei di un paio d'anni l'età di entrambi i protagonisti, chiamiamoli così. Sui diciannove lei, sui ventidue, anche ventitré lui. Per il resto, datti da fare mio caro, perché il lunedì se n'è già andato. Un bacio grande grande a Luisa, più uno a te. Ti aspetto questa sera. Scappo. Ti ho dedicato il massimo concesso, sino all'ultima goccia. Ora tocca all'ufficio. Ciao.
                                                                    Carlotta                                                                                   

E dopo aver misurato i locali del suo soggiorno montano, Luisa tastò anche l'esterno, approfittando della giornata tersa. Al mattino un primo rifiuto, una prima intemperanza di figlia verso un padre premuroso, che voleva portarsela in passeggiata (definita da lui "un primo approccio, per preparare la gamba") ad una malga che si intravvedeva, oltre la sommità del bosco. "Papà" aveva risposto Luisa "non te la prendere, ma il sole dei millesette è lo stesso di quello dei milledue. Qui, l'hai detto tu stesso, al pomeriggio arrivano le nuvole, e allora preferisco starmene in giardino. Vai pure, per me non ti preoccupare." Mario aveva insistito ma non più di tanto perché ci teneva, questo sì, al passeggio con Luisa, ma ancor prima giungeva la sua voglia di cammino, e un gradino più su stava riposto il suo desiderio di pensare, cammin facendo, alla trama del racconto. Più che uno scrittore da tavolino, si considerava un viandante delle lettere. Passo dopo passo scrutava meglio: il panorama, il suo animo, l'identità dei suoi personaggi, il filo del discorso da ricamare nero su bianco. Ragion per cui aveva lasciato Luisa supina sopra un lettino da sole e aveva puntato alla malga, promettendo di rientrare non dopo mezzogiorno e chiedendo alla figlia, con gentilezza persino esagerata, di mettere sul fuoco almeno la pentola con l'acqua per la pastasciutta.
La mattina della ragazza fu sole, vento leggero, musica in cuffia e qualche sguardo distratto verso l'alto, a rovistare fra i picchi e i canaloni innevati. Ma i suoi occhi piccoli, tinteggiati con un filo d'ombretto e marcati dal rimmel, preferivano favorire la notte, e nel buio la musica scivolava diretta nel cuore, accarezzando i suoi desideri.
Il pomeriggio di Luisa fu anzitutto noia. Il tempo, come previsto, si guastò. Il padre tornò dal mattutino passeggio quasi ispirato, confezionò un pasto frettoloso, lavò i piatti e corse in camera, al computer, senza dirle nulla più di qualche monosillabo. Restò barricato per ore, lasciando alla figlia la libertà di farsi un sonnellino, di leggersi tre o quattro riviste, di mandar giù altre razioni di musica e di respirare, verso sera, facendo un giretto sotto l'ombrello, porzioni d'aria fresca, sàlubre e umida.

Bene, ho fatto tesoro dei tuoi consigli, mia cara Carlotta. Come altre volte è capitato, dopo le tue osservazioni mi paiono banali le mie intuizioni, che tali non si rivelano più, meglio, che intuizioni restano, ma poco appropriate.
Te lo voglio regalare in esordio: grazie, e di cuore, perché partecipi, ti lasci coinvolgere da questa mia manìa. Fra i tuoi grattacapi trovi un angolino anche per me. Te ne sono grato.
Oggi ho scritto. Non molto, per la verità, non quanto avrei voluto, ma le idee sono più nette, come i colori dopo un temporale estivo. Via il fienile, ho pensato ad un camper. Resta sempre il clima di vacanza, e il camper non è troppo convenzionale. Concordo pienamente anche sull'età, che ho provveduto ad innalzare. Dovrei esserci anche sui nomi: stranieri, naturalmente. Mary e Peter: ti vanno? Sono preso fra due fuochi. Per un verso mi trattengo dall'assalire il foglio perché vorrei aver chiarito meglio la trama; per l'altro, confidando maggiormente nell' efficienza della creatività, sarei tentato di buttar giù a ruota libera, lasciando che la trama si confezioni da sé. Non è la prima volta. So benissimo che è dura partire. Oggi è il tempo della decisione: metter davanti il piede destro o quello sinistro? Comunque ti faccio avere le mie prime frasi. Vedi se il prologo ti sembra accettabile.
"Fra le tende, i bungalow e le roulotte del camping 'Rainbow' di Mountain City (cittadina fasulla, ovviamente), il camper 'Dark Arrow' dei McGregor si distingueva: era di portata superiore, tirato a lucido come la testa assolata di un calvo e sempre affollato, quasi che le due figlie di John e Sara Mc Gregor -Mary e Lucilla- fossero state capaci, nei pochi giorni di permanenza al camping, di farsi notare e corteggiare da tutti i ragazzi della zona."
Questo e quanto. Non sarà molto, ma spero di qualità. Ti lascio. Prima di dare il bacio della buonanotte a Luisa (che ti saluta), vorrei scrivere ancora. A domani.
                                                                       Mario                                                                                               


Mercoledì

Mario carissimo, ho davanti a me il sole a filo d'antenne. S'annuncia una gran bella giornata. L'afa a me, la frescura a te, a voi; almeno questo vorrebbe essere il mio mattutino augurio. Luisa porta nel cuore più rimpianti o più soddisfazioni? Fammelo sapere, perché non mi ha convinto del tutto la nostra insistenza. Sedici anni, la nostra figliola: forse dobbiamo essere più permissivi. (Attenzione a non far leggere i fax alla piccola).
Due parole anche per le prime righe del racconto. Il camper...mah...starei per dirti che non mi convince ancora, ma non vorrei essere pignola, intransigente. Soprattutto vorrei rispettarti. Come marito l'ho sempre fatto, vorrei riuscirci anche quando indossi i panni dello scrittore ma capisco di essere, su questo versante, più rigida. E vada allora per il camper. Ciò che non mi convince (concordo sulla scelta esteròfila) è il lungo elenco di nomi, uno dietro l'altro, come una mitragliata. Non tutti in un colpo, per piacere. C'è da fare indigestione. Sarei per una presentazione della famiglia e dei luoghi più graduale. Non credo di poter dire altro, anche perché molto non hai scritto, per la verità, e siamo al secondo giorno. In bocca al lupo, mio caro Moravia. Scusa, volevo dire Kundera. Non c'è ironia, credimi. Caso mai, c'è incoraggiamento...e un briciolo d'invidia, per il vostro fresco. Due baci a Luisa, su quelle guance che sanno di fragola e di panna. A domani.
                                                            Carlotta                           

Carlotta. No, non scrivo 'cara' perché, in tutta sincerità, leggendo il tuo fax un po' di rabbia me la son messa in corpo. Hai così da scrivere che non c'è stata ironia da parte tua, dandomi del Moravia o del Milan Kundera. Quando saltano in mente simili auguri (che preferirei definire battutacce), se si scava alla radice, la verità la si trova, e la verità è che non hai fiducia in me. Intendo come scrittore. Certo, tu mi parli di due cime, ma concedimi l'illusione di essere almeno una collinetta. Comunque non posso pretendere ciò che non nasce dal cuore e dalla convinzione. D'altra parte tu sei una lettrice di prim'ordine. Non hai il dono della scrittura ma quello, non inferiore, di saper intuire i percorsi, i tragitti mentali, i trucchi, le astuzie, le sottigliezze, diciamo l'arte di ogni autore. Assegno quindi ai tuoi pareri il posto che meritano, la qual cosa -se i pareri mi condannano- non può certo lusingarmi. Per fortuna ho buona volontà, pazienza e fiducia. Ho dovuto rovistare non poco dentro di me per recuperare razioni adeguate di convizione, ma alla fine ce l'ho fatta e lo scritto ha avuto il suo seguito. Un paio di cartelle fitte fitte, corpo 10, tanto per intenderci.
Già, ma prima viene Luisa. Ho l'impressione che si sia già pentita delle scenate che ci ha omaggiato alla partenza. La vedo meno svogliata dell'usuale; non dico interessata o del tutto motivata, ma si dà da fare per rimediare ore piacevoli. Per camminare, cammina ben poco. La passeggiata se la gode in paese, davanti alle vetrine. Ha scoperto l'indirizzo della Sala Giochi. Io m'ero ben guardato dal rivelarglielo, ma la piccola l'ha stanato da sé. Dovrò usare buona parte della mia autorevolezza per dissuaderla dal buttare al macero il tempo in quel locale di fumo e di videogames.
Ieri sera per cena ha voluto offrirmi, graditissimi, i canèderli in brodo. Sufficienti, direi quasi buoni. Non così la cucina. A ramazzarla c'è voluta un'ora. Ma questi giovani vanno valorizzati nei loro slanci, bisogna invogliare iniziativa e creatività, e allora zitto e sistema, lasciando a lei gli applausi.
Finalmente vengo al racconto. Non ti mando lo scritto, ma i miei dubbi. I nomi li ho meglio distribuiti nel testo, secondo il tuo consiglio. Ora mi chiedo: preservativo o pillola? La domanda vuol essere provocatoria, e insieme vorrebbe introdurre una questione non banale. Romanticismo o verismo? E' evidente che se tu dici 'preservativo' sporchi l'atmosfera, il clima, la favola, il sogno, con il 'bye bye' dell'Editore, che ben conosce il mercato e la voglia esasperata degli utenti di staccarsi almeno una spanna da terra. Ma come tacitare la mia coscienza? O se non vogliamo scendere così nel profondo, come soddisfare il mio desiderio di descrivere, artisticamente, la realtà, possibilmente senza troppi tagli? Dire senza banalizzare, scrivere senza sciupare, citare...o sarebbe meglio alludere? lasciare in sospeso? obbligare il nostro lettore a rovellarsi? Così la domanda (preservativo o pillola?) è fittizia, serve a me per chiederti che taglio scegliere, che via percorrere. Non abbandonarmi in mezzo al guado. Ciao.
                                                                        Mario                                 

Luisa era una ragazzina spigliata, al limite della strafottenza, che sapeva imbellettare sotto una timidezza di maniera. Era un impasto in lievitazione di libertà, timore, voglia di cambiare le regole, impazienza e dubbi, che le si paravano regolarmente dinanzi ad ogni bivio, per ogni scelta. Non era mai netta l'alternativa, mai soddisfacente il futuro, mai troppo negativo quanto, per necessità, infine andava scartato. A guidarla, con voce non sempre percepibile, alcune regole parentali, gli amici ma soprattutto l'istinto, una sorta di premonizione che, di quando in quando, diradava le nebbie della sua travolgente e malinconica età. La stabilità umorale era sogno di maturità. Il suo sorriso andava a braccetto con il dispettoso sole montano, tanto brillante quando brillava, tanto scialbo quando finiva a mollo nelle immancabili nubi. Il suo mercoledì pomeriggio fu carico di controllata euforia. Euforia per la scoperta, in via Roma, della Sala Giochi; controllata perché anche il miglior alloggio dei videogames, senza la compagnìa giusta, rischia di diventare ostello di noia. Comunque Luisa volle ficcarci dentro il suo piccolo naso, chiedendo al padre qualche spicciolo per ammazzare il tempo davanti ai policromi computer, nipotini dei ferri, dei gomitoli di lana e dei fotoromanzi.

Giovedì

Mario, eccomi di buon mattino al computer, che poi diventerà fax, quindi messaggio per questo nostro dialogo a distanza, che comincia ad appassionarmi. Anzitutto le mie scuse, di cuore. Non volevo per nulla sminuire le tue velleità artistiche, per carità, ma capisco...capisco che sotto sotto, nelle pieghe più riposte delle mie intenzioni, dei miei vissuti, tu possa aver rinvenuto qualche traccia di sfiducia, di ironia, di sufficienza... Ecco, per questi pensieri secondari, direi frutto di inconscio, sono più che disposta a fare ammenda. So per esperienza che quando uno ha una 'fissa' (in senso buono, naturalmente. Per me è questo stramaledetto e benedetto lavoro, che mi ammazza e insieme mi realizza)...ho perso il filo...ah, sì, dicevo che quando uno è fissato su qualcosa, e ci crede, e quel qualcosa diventa pane quotidiano, ecco, allora è più fragile, più sensibile, accetta con minor prontezza e condiscendenza i giudizi...Per farla breve: scusa.
Non mi trascurare Luisa, per carità. Non alludo alla Sala Giochi, luogo neutro, di per sé anche divertente, svagante. Dico di approfittare per stare un poco insieme. Sarebbe arricchente per entrambi. Il ruolo del padre è essenziale, e non credere che si esaurisca con il naturale distacco che reclama l'adolescente (mi raccomando di nuovo: che Luisa non legga i fax!). Anche perché, è legge di natura, le ragazze regalano le loro confidenze maggiormente ai papà. Il terreno è in qualche misura già arato quindi -ribadisco- cerca di approfittarne.
Preservativo o pillola? Bella domanda. Bella non nel senso dell'alternativa di prevenzione (di per sé assai marginale nel racconto), bella nel senso di 'romanticismo o verismo'. Bella ma, ahimé, poco risolvibile da parte mia. Questo è il tuo terreno, mio caro. Hai voluto essere scrittore? Pedàla! (Ora non farmi la morale anche per questo 'pedàla'. E' solo un bacio di incoraggiamento, e così devi leggerlo.) Più verismo, meno realismo, più romanticismo, meno romanticismo, più mistero, meno mistero, più allusioni, più rivelazioni...sai com'è, di lettori ce ne sono di tutti i tipi, quindi il mio consiglio si può così riassumere: lascia perdere l'utente e leggi dentro di te. Nel groviglio dei dubbi certo si cela la via migliore, il tuo personalissimo modo di descrivere, in questo caso, un amplesso fra giovani. Molla l'Editore, poco più che un tipografo. L'arte non ha bisogno di simili suggeritori più o meno occulti.
Se poi vuoi anche un consiglio nel merito (preservativo o pillola?), da donna ti suggerisco: né l'uno né l'altro. Sai meglio di me che i giovani, spesso, fanno largo uso della mentalità brasiliana: prima agiscono, poi pensano. Lascia che tutto scorra nella massima improvvisazione.
Accidenti! Faccio tardi. Mi stai chiedendo troppo. Buona scrittura.
                                                          Carlotta                                

Carlotta, dolce amministratrice del mio vissuto. Oggi è stata quella che, banalmente, uno direbbe giornataccia. Pessime le condizioni metereologiche, al che si potrebbe arguire che uno scrittore, dato il circondario uggioso, non ha difficoltà ad impiegare il tempo. Niente di più errato. La mia meteopatia, il mio farmi maledettamente condizionare  da sole, nubi, pioggia....ha inciso come lo scalpello di Michelangelo sul marmo di Carrara. L'acqua battente mi ha martellato i pensieri, me li ha traforati, spappolati. E se non abbonda la luce, non 'vedo' più nulla.
Giornataccia perché al tempo s'è aggiunta la malavoglia di Luisa, la sua faccia scialba, la sua rabbia compressa. Ma è mai possibile che a quell'età si debba sciupare la vita in quel modo? Fosse stato per lei, avrei dovuto rimpinzarla di denaro, tanto da potersene stare tutto il santo giorno in Sala Giochi. Al mio più che giustificato rifiuto, ha reagito nel modo più classico: sbuffate, porta della sua camera sbattuta in faccia alla mia decisione di padre che sa essere anche un minimo autorevole, muso lungo, labbra orizzontali, anche qualche sottaciuta minaccia. Con questo humus, nemmeno Pasolini (faccio un nome a caso) sarebbe stato in grado di far fruttificare il campo della narrativa. Praticamente non ho scritto nulla. Ho semplicemente 'ruminato' -come le brunalpine che qui abbondano, al pari di mosche e tafani- le tue parole, mai superficiali.
E cominciamo dall'Editore. Sì, mia cara, voglio cominciare proprio da Lui, da quello che tu hai elencato per ultimo, come fosse 'il figlio della serva'. Qui tradisci la tua mai nata vocazione alla scrittura. Vedi, Carlotta, per uno scrittore l'Editore non è un personaggio qualunque, una comparsa, un soggetto trascurabile. L'Editore è l'uomo del fato, che accoglie il tuo destino (in forma cartacea), che lo vaglia, che lo setaccia, che annusa il prodotto filtrato e che dà forma definitiva ai tuoi desideri, al guizzo, allo slancio iniziale. No, carissima, non mi accodo alla colonna dei miei colleghi, che sputano negli occhi agli editori (hai notato la 'e' minuscola?), con vezzi antipatici di superiorità. Gira che ti rigira anche costoro te li ritrovi in ginocchio, a supplicare una copertina, aurea corona delle loro fatiche. Io lo riconosco, a muso duro: scrivo anche, soprattutto per la pubblicazione. Soldi? E che vengano, non hanno mai favorito il mal di pancia a nessuno. Fama? Gloria? E sia pure, con la modestia e il distacco di chi ne sa valutare l'ebrezza e la caducità. Ideali da comunicare? Messaggio da divulgare? Scrittore-profeta dei giovani? E perché no? E tronco la questione, concludendo: senza uno straccio di Editore, il tuo sogno resta circoscritto entro una pila di fogli scarabocchiati, un cassetto, malinconia, depressione.
Dell'altra questione ('spetta a me la scelta fra il verismo e il romanticismo....') te ne parlerò domani. Vuoi sapere perché? Ho il formicolìo da ispirazione; devo prenderlo per la coda, prima che si dilegui nei boschi. Scusa se tronco, ma è come se...no, questa non si addice ad una signora...Vabbé, ti enuncio egualmente il paragone, scusandomi per la grossolanità. Dicevo che è come quando proprio ti scappa, e se non ti liberi subito...Corro alla conquista del piacere di una liberazione, per intanto solo presagìto. Ciao.
                                                            Mario  

Il giovedì di Luisa fu il giorno più decente dei quattro trascorsi fra i monti. Felice per la pioggia, che le aveva reso meno impegnativa l'astinenza dal sole -causa scottatura-, lieta per la generosità del padre -depresso e più arrendevole a scucire denaro, da utilizzare in gelateria e in Sala Giochi- aveva raccolto le premesse necessarie per darsi da fare, vincendo quel minimo di timidezza che sino a quel giorno le aveva impedito di trovarsi una compagnìa. Sonia, Roberto, Jessica, un altro tipo che aveva per soprannome Tino  (forma sintetica di cretino), Marica, Franca: ecco i nomi che aveva già memorizzato, ragazzi appena più grandi di lei (Franca aveva però solo quindicianni), conosciuti per metà ai videogames, per l'altra metà al bar-gelateria. Quel giovedì s'era coricata con lampi di frastuono in testa, volti, colori, sensazioni e ricordi piacevoli. L'ultimo sentimento che riuscì, in quel guazzabuglio, a selezionare prima di offrirsi alla dimenticanza della notte, fu di dispiacere: la settimana era già praticamente bruciata.   

Venerdì

Sai che non ti capisco? Anziché farmi leggere il tuo racconto (che, per inciso, dato il tema, mi interessa non poco. Cioè, mi incuriosisce scoprire come saprai sbucciare la patata bollente), anziché regalare ai fax narrativa, mi invii le tue solite paranoie sull'Editore in minuscola e in maiuscola. Oltretutto queste tue idee 'forti' le conosco, non aggiungi nulla alla mia dispensa esperienziale. Se fra oggi, domani e dopo non chini il capo e non ci dai dentro coi polpastrelli, ho l'impressione che il clima montano dovrai ricreartelo qui in città. E sarà ben dura. C'è un tal caldo, con un tale tasso d'umidità, con una tale afa che, se non godessi del lusso di un ufficio ad aria condizionata, avrei già ceduto alle ferie. Sono sintetica per necessità, diciamo per demerito tuo. Io il mio dovere l'ho fatto. Attendo riscontri, sperando che il tuo 'furor' serale abbia prodotto più di qualche rima velleitaria. Buon lavoro.
P.S. Per amor di verità, non posso star zitta. Ne va della trasparenza del nostro rapporto. Risparmiami i paragoni in epilogo, soprattutto se sanno... di carta igienica!
                                                               Carlotta                                                                                         


Facciamo che non ho letto il tuo ultimo fax, che non mi è  mai arrivato, che la mia è stata un'attesa sterile. Meglio così, perché...Sì, mia cara, quello che tu appelli alla latina, il mio 'furor'  -grazie per l'accostamento invero assai lusinghiero con il Buonarroti- non ha fatto cilecca. Praticamente il racconto è imbastito. C'è tutto. Da sgrezzare, da limare, da scalpellare con tocchi leggeri, da mondare, ma siamo assai più innanzi dell'idea, della mera intuizione artistica. Non occorrerà, mia cara, far scivolare i monti a valle. Domenica sera torno e zac...ti sparo sulla scrivania il dischetto...anzi, prima stampo, poi di sventolo sotto il naso i fogli, non meno di dieci.
Mi sono calmato, e allora ti chiedo scusa per le righe di testa. Non ho voluto depennarle perché fra noi tutto si deve sapere, perché ad ogni intemperanza possa seguire il perdono. Sì, ti chiedo perdono, ma il tuo ultimo fax mi ha impedito di gustare i canèderli -questa volta asciutti- che una Luisa davvero esuberante ha cotto al suo papà. Scusa ancora, Carlotta, però una minima punizione te la meriti. E allora nulla ti faccio sapere del racconto, se non che alla fine ho accolto il tuo consiglio (né preservativo né pillola) e che ho optato per un 'verismo sentimentale'. Non una parola di più. Domani rivedo il lavoro, domenica fra un preparativo e una sgambatina si tira l'ora del rientro. Con l'ultimo fax definiremo i particolari, anche se in linea di massima saremo in città per l'ora di cena, traffico consentendo.
Scusa ancora per il modo ed il tono. A presto.                     
                                                                         Mario
                                                                                                                        
Sabato

Complimenti, complimenti vivissimi! E poi le mie scuse, sincere anche quelle. Non mi resta che attendere il vostro ritorno. E leggere...se sarà concesso di farlo a questa moglie davvero poco rispettosa. Diciamo pure villana. Un bacio grande come il Monte Bianco a Luisa, uno di non inferiore altezza a te. Fammi sapere per che ora devo calare la pasta. Ciao.
                                                                      Carlotta                                     

La pasta (penne, mi raccomando!) buttala nell'acqua in bollore non prima delle venti. Ho già calcolato una più che prevedibile coda al casello, più una sosta di una mezz'ora all'autogrill. Sono in ritardo con la lucidatura del prodotto, quindi sfrutto anche questo estremo spazio serale. Voglio fare bella figura, in primis con la mia Carlotta. Missione 'bacio Monte Bianco a Luisa' compiuta; attendo il tuo, con prevedibile impazienza da 'carestia'. A prestissimo, ormai.
                                                                 Mario                                        

Domenica

Mario si destò con il naso intagliato dal profilo del computer portatile, l'oggetto prezioso che confidenzialmente chiamava not, diminutivo di notebook. Era intontito, con il collo dolente, con un braccio insensibile. Prese paura: s'era addormentato sano e si destava handicappato. Sollevò l'arto momentaneamente paralizzato con quello integro, cercò di agitare il lembo floscio del suo corpo. Con esasperante lentezza il braccio diede segni di vita, s'informicolò, prese sensibilità. Mario cercò un orologio: era la mezzanotte, passata da tredici minuti. Volle uscire un istante, più che altro per sgranchire le membra prima di mettersi nel letto, una brandina ad un metro e mezzo dall'amico cibernetico.
La notte era da fiaba, con una luna a metà, lucente e capace di illuminare la valle e le cime come la più tonda delle lune piene. A reggere il velo di Selene, un alveare di stelle che intarsiavano il cielo, indorandolo.
Nel cammino, Mario sorseggiava boccate d'aria fresca, al gusto d'erbe grasse e di fiori. Entro quella cornice preziosa anche il suo racconto ne uscì abbellito.
Uno sgraziato miagolìo lo fece trasalire. Zampettando come furetti, due mici erano schizzati fuori dal portone di una stalla e scendevano le balze rincorrendosi. Grazie ai gatti, Mario notò che vi era luce nel fienile, posto a dieci metri da lui, verso monte. Si fece prendere dalla curiosità. 'Mungeranno a quest'ora?' chiese al suo animo, già avvolto nella nostalgia di un ritorno verso l'afa e le zanzare.
S'avvicinò, non senza timore. Salendo s'aspettava il muggito degli animali alle prese con il bovaro. Qualcosa sentì, ma erano voci di uomini, forse un uomo e una donna. Giunto al portone semichiuso, si guardò bene dall'infilare il naso nello spazio di luce. Si limitò ad origliare, osservandosi intorno per paura d'esser sorpreso, sotto le stelle, a rovistare nel privato altrui. La ricezione era assai labile, gli parve di distinguere sospiri, di tanto in tanto qualche parola. Fra le ipotesi non scartò quella di giovani, o adulti, che avevano scelto di fare l'amore fra l'erba secca. Naturalmente pensò anche al suo racconto e al camper dei Mc Gregor.
Sostò qualche altro minuto. Silenzio, solo l'inesausto ruminare del fiume. Tornò in casa. Volle baciare Luisa, che da tempo riposava nella camera attigua. Il letto era spoglio, nemmeno un'impronta. 'Ma non m'aveva salutato alle dieci?' si chiese Mario, già disperato. Fece mente locale, si sforzò di rimettere insieme i tasselli di ciò che era successo un paio d'ore prima. 'Ma sì, stavo scrivendo, Luisa è venuta, mi ha detto qualcosa...o forse era ieri? Mi confondo? Porca puttana, era ieri!' Mulinava pensieri e timori come un'elica di motoscafo. 'Era ieri, certo. Stasera è uscita alle nove, in Sala Giochi...già, doveva tornare non dopo le undici, io ho dormito...dio santo, sono le dodici e mezza...Mio dio...' La chiamò a voce alta, tre, quattro, cinque volte. Uscì per andarle incontro, giù in paese. Poi, fatti pochi passi verso valle, sentì una schioppettata nel cuore. Si volse verso il fienile, lumicino ancora acceso là in fondo. Si mise a correre. Giunse al portone, semiaperto come un istante prima. Sempre le solite voci, lontane, non distinguibili, non catalogabili. Doveva entrare, spalancando l'uscio con un gesto clamoroso? E se Luisa non c'era? E anche ci fosse stata proprio la sua bambina, aggrovigliata nella paglia con un ragazzo, era quello il gesto più cònsono?
Fece il giro della stalla, cercò una finestra (che non esisteva), si ritrovò alla porta. Spiò, ma da quella fenditura vedeva solo del fieno e qualche attrezzo da contadino. Fece un altro giro, nella speranza che vi fosse qualche pertugio fra un asse e l'altro. Nulla, nulla, e ancora silenzio. Poi una risata, o forse un singhiozzo, comunque di donna. Mario lo tenne dentro di sé, lo rivisitò, ebbe il sospetto che davvero poteva trattarsi della sua Luisa. Che fare? Aspettarli all'uscita? Ma era lei? E avevano fatto l'amore, o si erano scambiati effusioni innocenti? E se Luisa fosse tornata dalla Sala Giochi senza trovare suo padre?
Corse nuovamente in casa. Vuota, Luisa non c'era. Indossò alla svelta il pigiama, si mise in branda sperando che la figlia, al pari della bella Mary del suo racconto, tornando dopo la bravata scegliesse di confidarsi con il suo papà. E Luisa arrivò, dieci minuti dopo. Attutì il suo ritorno con grande accortezza, fece tutto al buio, si mosse come il ladro più esperto, andò a letto senza neppure lavarsi, ignorando suo padre che, ancora desto, regalò alla figlia anche una lacrima.
                                     
Non una parola. Muta come il disagio di Mario, che urlava nel petto, ma all'esterno non s'esponeva. Muta a dispetto della notte senza riposo del padre, ore eterne nel buio a sperare che lei non c'entrasse, che fosse una beffa di coincidenze, che la sua mente, svelta ad immaginare per manìe narrative, avesse troppo creato, discostandosi -e di gran lunga- da una realtà più feriale.
Muta. Luisa fece il pesce a colazione. Più riservata e scocciata del solito, finse di non intendere (era chiaro che mentiva) le battutine del padre, lanciate qua e là per tastare la pista. Del resto non era una novità quella sua ritrosia mattutina, quel suo inaugurare il giorno mangiando biscotti e malavoglia. Mario ebbe però modo di insospettirsi perché Luisa nascondeva, nel broncio, una delusione, una pena che altre mattine lui non aveva scoperto.
Silenziosa nel preparare le valige, operazione che concluse alla svelta, affastellando la roba come chi deve lasciare la casa per un'alluvione.
Mario friggeva e temeva, la seguiva passo passo, non visto, per scoprire indizi, per cercare conferme o smentite.
Tàcita in auto, nel rollare del mezzo sui tornanti, che lui eseguì con la massima cura per non infastidirla, per favorire ogni spazio di dialogo. A dispetto di tante accortezze, Luisa parlava solo per lamentarsi: "Che nausea...Che palle questo viaggio!...Quando si arriva a casa?...Quanto manca?...Quando ci fermiano all'autogrill?..."
Mario reggeva una pazienza così ostinata, da stupirsene lui stesso. Ma all'autogrill, davanti a due coppe di gelato degne del lungo-Passirio a Merano, perse ogni controllo e prudenza.
"Senti, Luisa" e una cucchiaiata al gusto di caffè. Poi l'attesa, per scoprire la reazione di lei. Indifferenza, come se nemmeno avesse inteso. "Luisa, ce l'ho con te. Hai i tappi nelle orecchie?" ma era già pentito per quell'approccio scortese.
"Tappi? No, no, scusami, stavo pensando..." e una leccata, gusto fragola.
Mario annegava nell'imbarazzo. Prese coraggio dalla panna montata. "Stanotte" e un sospiro. "Stanotte, la mezzanotte era già passata, sono uscito a far quattro passi. Hai presente quella stalla, dopo la chiesetta?"
Silenzio, ma Luisa aveva posato il cucchiaio, forse le era scappato dalle dita. Ancora silenzio, poi la ragazza aveva ripreso la posata. "Una stalla da quelle parti l'ho vista, come no."
Mario mutò approccio. "Si può sapere a che ora sei rientrata? T'avevo detto di non superare le undici."
Luisa sorrise, per rabbonirlo: "Hai ragione. Scusa. In Sala Giochi non si guarda mai l'orologio. E' gente simpatica, mi sono trovata da dio. Era l'ultima sera. Scusami" e un secondo sorriso, dipinto in un volto rassicurante.
Mario capì d'aver troppo creduto a convincenti congetture, solo sospetti che ora svanivano, sostituiti dal dolce del gelato e di quel sorriso da bambina simpatica e furba, non dissennata. Ma appresso, ecco il rovello: 'Però non mi ha domandato cosa c'entra la storia del fienile, perché ho tirato in ballo la stalla, ergo...Se n'è già dimenticata, o non vuole che se ne parli?' Mario la squadrò, lesta a succhiare la crema, senza crucci, ombre, artifizi per camuffarsi. Si autocastigò: 'Devi avere fiducia, mio caro. Ti ha detto dov'era? Sì, quindi punto e stop. Falla finita!' Però, a ben guardare, una sgridatina quella fanciulla avrebbe potuto portarsela a casa, perché era rientrata ben oltre la mezza.
"Ultima sera, ultima sera" fece il severo, "hai comunque esagerato. Dare fiducia a voi..." Non sapeva che punizione affibbiarle così, per guadagnar tempo, tirò fuori le sue illazioni. "Non t'ho detto del fienile?"
Luisa mugugnò una specie di sì, ad occhi bassi.
"Verso mezzanotte ci passavo davanti. Ho sentito dei rumori. Mi sono avvicinato. Per me c'era dentro una coppia che..." Tornò in lui un fastidioso imbarazzo. Ma perché mai s'era messo a narrarle quella storia? Si fece coraggio: "Per me, ma mi posso sbagliare, c'erano un uomo e una donna, forse ragazzi, che si stavano baciando..." Altra pausa, e nel respiro uno sguardo a Luisa, che giocherellava con la palla al gusto melone, indifferente al racconto. Visto lo scarso interesse, tralasciò di dirle che aveva sbirciato, che non aveva visto nulla e tant'altro.
Lei seguitava a tacere. Per ravvivare il mortuorio, desideroso di confidarsi con la sua bambina, Mario pensò fosse giunto il momento di farla partecipe delle produzioni letterarie, piatto forte della sua settimana in alta valle. Quindi esordì: "Vorrei farti una confidenza, Luisa." Frase che sarebbe così proseguita: "In vacanza ho scritto un racconto che parla di voi giovani. Se lo desideri, te lo faccio leggere..."
Ma non vi fu prosieguo. A quel "Vorrei farti una confidenza..." Luisa non resse, lasciò cadere in terra il cucchiaio e si coprì il volto. Fra i singhiozzi, celandosi alla vista curiosa dei molti viandanti da autogrill, disse al padre: "Possiamo tornare in macchina?"
                                  
Dall'autogrill a casa parlarono a lungo, padre e figlia. Lui chiamò con il 'cellulare' Carlotta, avvisandola che, causa coda più lunga del previsto, sarebbero arrivati tardi. Ma era una palla.
Mario, viaggiando a cinquanta all'ora, a metà fra la corsia d'emergenza e quella dei veicoli lenti, con il sole del tramonto impiantato negli occhi, conobbe Luisa, il suo primo rapporto, le sue gioie, la sua delusione. Non fu necessario che le rivolgesse molte domande: la ragazzina di sedici anni parlava da sé, con lacrime e forse con rabbia, perché anche suo padre era un uomo, sufficiente come capro espiatorio.
Ma sul finire del viaggio, poiché lei non ne aveva accennato, Mario dovette rivolgerle la domanda: "Scusa, Luisa, ma...voglio dire...lui aveva..."
"Il preservativo?"
"Proprio."
"L’ho obbligato."
Mario suonò al campanello di casa inquieto e confuso, quasi fosse ammarato sopra un pianeta che non fosse la sua rassicurante terra. La testa ribolliva. Fra gli infiniti grattacapi (su tutti, come dirlo a Carlotta), la consolazione che quel Tino (soprannome di cretino), cretino non aveva dimostrato di essere, se in pochi giorni aveva conquistato la sua Luisa.
Di quando in quando gli riusciva di pensare al suo racconto, che avrebbe voluto intitolare L'amore di Mary o Mary alla prima o qualcosa del genere. Ma gli scappava da ridere. E soprattutto da piangere.

 
 questo racconto è tratto dalla raccolta 'Fax d'amore' (Macchione Editore - 1998)