mercoledì 2 novembre 2011

Il pan di mort

Ai tempi della mia fanciullezza (anni Cinquanta-Sessanta) Halloween era una festa relegata in terra straniera. Ma avevamo anche noi i nostri dolcetti, per la precisione il pane dei morti (pan di mort, in foto) e le ossa da mordere. Che non erano dolci molto allegri, ma ottimi sì. Ci pensava mio padre Mario (pasticciere) a portarceli a casa. Io preferivo il morbido pan di mort, speziato, con lo zucchero a velo, ma non disdegnavo certo le ossa da sgranocchiare, dure come pane secco, che non si ammorbidivano nemmeno nel latte. Non so quali siano i dolcetti di Halloween, non vorrei che spacciassero il pan di mort e le ossa da mordere come dolci tipici di questa festa. Sarebbe un falso clamoroso.

Elogio dell'amore coniugale

Pur con tutte le riserve del caso (mi verrebbe da dire 'troppa grazia, Sant'Antonio!'), trovo comunque interessante questo elogio dell'amore coniugale scritto da monsignor Giulio Dellavite, che mette insieme l'acqua santa e il diavolo (sposi e amanti), che ipotizza il mantenersi nel tempo di condizioni del tutto particolari (fidanzamento) ma che dà motivo di riflettere:
'Rimanete fidanzati, vivete da coniugi, agite come amanti, per essere sposi. Rimanete fidanzati. Il fidanzamento è il periodo felice del rincorrersi, dello scoprirsi, del trovarsi e del farsi cercare ancora. Sposarsi non è tanto 'trovare' la persona giusta, ma è 'essere' la persona giusta. Vivete da coniugi. La parola 'coniugi' deriva dal latino 'cum iugo' e significa 'legati sotto lo stesso giogo'. L'augurio è quindi di imparare a dirvi: 'Amami quando meno me lo merito perché sarà quando ne avrò più bisogno'. Agite come amanti. Dicevano gli antichi: 'Il vento spegne una candela, ma rinvigorisce un incendio'. Così potrete essere sposi.'

Il giorno dei morti

Ricordo soprattutto il camposanto di Giubiano, andavamo a trovare i nonni materni e mi facevano sempre vedere la tomba di un bimbo, aveva alcuni piccoli giochi sopra il marmo. Ricordo anche il cimitero di S.Ambrogio, dove stavano in pace i nonni paterni. Credo di aver pensato alla morte spesso, anche da piccolo, ma questo pensiero impossibile da reggere, per noi viventi, è entrato come una lama soprattutto dopo la morte prematura di mia madre. Dal 19 agosto del 1984 la morte è diventata pensiero vivo, ricorrente, tremendo. Lo testimonia tutto quello che ho scritto da allora in avanti: diari, poesie, narrativa. E anche molti post di questo blog. Vivere è imparare a digerire, giorno dopo giorno, ora dopo ora, il boccone indigesto della morte.

IL RACCONTO DEL MERCOLEDI'

LO SGUARDO

Entrò in ufficio con un intento preciso: rendersi protagonista di una avance spropositata, concretizzare a parole un goloso pensiero ricorrente. La vide e la molla scattò. Alta, magra ma con le giuste convessità, mora, capelli a caschetto, occhi verdi, sposata senza figli, trentotto anni. Lavoravano sotto lo stesso padrone da dieci anni, non gomito a gomito, a tre uffici di distanza, una cinquantina i dipendenti.

Le passò accanto, lei era già seduta al computer, sullo schermo le operazioni d’apertura della giornata, il lento, macchinoso rodaggio dei programmi informatici. La salutò come d’abitudine, un ciao strascicato, lei rispose con un ciao svogliato e quello sguardo deludente, un velo opaco ad offuscare la luce di una bellezza indiscutibile. A quel punto l’atto scriteriato.

“Ti disturbo?” e si fermò. “Posso? Un attimo.”

“Certo” disse lei.

Avvicinò una sedia con le rotelle e gli si sedette a fianco, piegandosi verso di lei perché gli altri non sentissero. “Senti…” Una carezza di imbarazzo lo fece tacere, infastidito come chi finisce dentro una ragnatela. Ma superò l’attimo. “Mi chiedevo…tu sei la più bella dell’ufficio, e dubbi non ce ne sono…sei un gran pezzo di ragazza…”

Lei sorrise e fece cigolare le rotelline della sedia verso quella confessione inattesa. “Io se non sono il più figo qua dentro, poco ci manca…diciamo la verità…”

Lei lo guardò ad occhi dilatati, quasi a voler verificare quell’affermazione pretenziosa. “Stamattina mi domandavo se c’è una ragione, una sola, che ci impedisce….” e qui trovò complicato esprimere il concetto, anche perché lei mostrava tracce di un repentino calo di interesse, che espresse con un: “Mi stai prendendo per il culo?”

“No, no…insomma, bellezza chiama bellezza, siamo il meglio qui dentro, tu mi piaci un casino, potremmo almeno divertirci un po’ insieme.” Ecco, sì, gli era uscita bene stavolta.

Attese con tracce di paura: aveva esagerato. Del resto questo voleva: strafare una volta in vita, per saggiarne l’effetto.

Lei lo guardò, uno sguardo sfuggente e profondo, una prima occhiata come un primo bacio. Lui capì che, qualunque cosa avesse detto da quello sguardo in avanti, la sua intraprendenza al limite della villania avrebbe avuto un premio. Il più ambito. Una convinzione che gli restò appiccicata addosso anche quando lei, superato quel primo colpo d’occhio, reagì con una smorfia obliqua, quasi fosse sul punto di vomitare, e disse: “Vatti a fare una doccia ghiacciata!”

“Perché dici così?” le rispose, con la più banale delle frasi, peggiorata da una faccia contrita. “Non ti andrebbe?”

All’ultima domanda neppure rispose, scivolò con la sedia sotto la scrivania, incollò gli occhi allo schermo del pc come due passeri sul vischio e tacque.

Lui si diresse verso il suo loculo, nel procedere scansò un paio di sguardi incuriositi e cercò di ricordare se lei avesse il suo numero di cellulare. Sì, ne era certo. Diede inizio così alla mattina di lavoro, rivitalizzata da un’attesa piacevole. Si sedette, posò supino il cellulare di fianco alla tastiera del computer e si complimentò per il suo coraggio. Non gli avrebbe più rivolto la parola? Poco male, in dieci anni si erano ignorati. Nulla da perdere, allora, solo da guadagnare.

Si cullò quello sguardo di un attimo, uno svolazzo di cipria, il tempo di un sospiro, un’occhiata maliziosa e complice, curiosa e accondiscendente. Uno sguardo che valeva un sì urlato nella valle di una mattina insipida.

Intanto, però, lei non mandava alcun segnale.

Le ore del mattino si bruciarono rapide, con la sveltezza che solo una dolce attesa sa regalare.

In pausa pranzo lei correva dalla sua famiglia, lui (sposato, separato, quindi divorziato e ora convivente) scendeva al Bar ‘Il paninaro’, mangiava veloce, fumava con calma camminando svogliato lungo il marciapiede di quel lungo viale sempre trafficato, odoroso di marcio. Tornava in ufficio con la speranza di sgonfiare in fretta la sonnolenza postprandiale, che riduceva la sua già scarsa motivazione alla fatica. Ma non quel giorno. Risalendo la vide già china sulle sue carte. Passandole accanto la sfiorò, lei gli regalò un ciao senza neppure voltarsi, un ciao che lo raggiunse dopo un rimbalzo sulla scrivania, come fosse una palla da basket.

Tutto smentiva la sua certezza ma la sua convinzione, impazzita, si rafforzava anziché demotivarsi. ‘E’ la quiete prima della tempesta’ pensò. ‘Scoppierà, scoppierà…’

Alle diciassette e quarantanove il cellulare aveva dato segnali di vita solo tre volte, nelle tre occasioni aveva lanciato la mano come per acchiappare al volo il più goloso dei manicaretti. Mai lei. Aveva dovuto masticare la sua delusione ascoltando le lamentele di un paio di clienti, e un inatteso saluto della sua donna: circostanza, quest’ultima, che gli aveva sottratto un minimo di piacere, scalfito da una parvenza di senso di colpa.

Dieci minuti e la sua certezza sarebbe stata smentita. ‘Non è detto’ pensò. ‘Perché dovrebbe mandarmi un messaggio? Potrebbe farmi un cenno quando usciamo. Potrebbe farmi avere un bigliettino.’

Per un attimo rilesse ciò che restava nella sua memoria di quello sguardo accondiscendente, lo scrutò meglio, cercò eventuali inganni, tornò a convincersene. Intanto fissava il telefonino. ‘Su, dai, bello, gratta! Muoviti! Pulsa! Ondeggia!’

Poteva essersi sbagliato? Quella bella collega non sarebbe mai andata con lui?

Guardò l’ora, notò le tipiche movenze di un ufficio che sta per smobilitare, allungò con lentezza la mano destra verso il mouse per dare inizio alle operazione di chiusura delle immagini video. Quando le dita toccarono la plastica del topo giocattolo, il cellulare (che stava a sinistra della tastiera) vibrò come un maggiolino, quando si trova a pancia in su e non riesce a girarsi.

‘Ci siamo!’ pensò.

Era lei.

Lesse.

La sua comunicazione si limitava ad una domanda: “Allora?”

(foto da Google immagini)