L’AMBULANZA
Mi hanno
svegliato nel cuore della notte. Gente senza cuore. Ma è stata una mia scelta
fare il volontario del 118, autista di interventi salvavita, guidatore da
sirena che maltratta il silenzio della notte. Non mi lamento ma adesso, che
guido a velocità proibita verso l’incidente, non sono ancora sveglio del tutto.
Sono rintronato, stavo sognando, accucciato sulla scomoda poltrona del mio
ufficio (chiamiamolo così) nella sede del 118, avevo preso sonno poi la sveglia
brusca, su dai muoviti, andiamo, è grave, urgenza…ho messo addosso quel poco
che mi ero tolto, avevo il collo dolente, una spalla con una fitta, l’altro
braccio con le formiche dentro…a poco a poco ho preso coscienza che la mia
corsa era necessaria, che i miei ridicoli fastidi andavano sopportati.
Non so
nemmeno l’ora, so che la corona del rosario che ho appeso allo specchietto
retrovisore balla, la piccola croce sbatte contro il parabrezza, il medico e
gli infermieri di turno mi mettono fretta, arrivano telefonate ai cellulari,
alle radio, è roba seria, qualcuno ci sta rimettendo la vita. Passo col rosso
ma rallento, non si sa mai, cerco di evitare la beffa di un’ambulanza che
finisce fuori strada o contro un’auto.
Una sola
cosa chiedo, anzi due, no una sola perché i miei figli sono a casa. E allora
chiedo che non ci sia di mezzo un ragazzo, che non sia la giovane vita che se
ne va per imprudenza, la vita che muore per troppa voglia di vivere. Dovrà
avere almeno cinquant’anni, sì, cinquanta possono bastare.
“Attento!”
grida il medico.
Ho
rischiato, a quell’incrocio ho rischiato davvero, mi sono distratto pensando ai
ventenni che guidano, a quella bellissima ragazza che abbiamo raccolto una
settimana fa. Nemmeno un graffio. Morta senza una goccia di sangue, solo un
paio di vertebre spezzate. Per fortuna io sono un autista da ambulanza, io vedo
da lontano, non sono costretto a mettere le mani sulla morte che arriva, a
tenerla lontana, a strozzarla, ad accettare la sconfitta nostra, la sua
irridente vittoria. Io sto sull’ambulanza, scendo se è proprio necessario.
“A destra, a
destra, veloce” grida Massimo, un infermiere che non ne ha a sufficienza di
vedere la nostra miseria tutto il giorno. Viene anche al 118, da volontario. E’
un santo.
“Lo so, lo
so” rispondo, so dov’è via Roma, da quelle parti abita un amico di mio figlio
Luca, il maggiore. Un tipo prudente.
Il medico
prepara i ferri del mestiere, gli altri sono pronti a saltar giù, io sono
costretto a rallentare, auto, lampeggianti delle forze dell’ordine, curiosi,
gente in strada anche se saranno le due di notte, una notte di stelle e di luci
artificiali, con il nero che sembra meno nero.
“Buono,
ferma qua, dai, giù ragazzi” urla Massimo.
La sirena l’ho già spenta qualche attimo fa, ora tocca al
motore; rovisto fra teste, palette alzate della polizia municipale, pubblico
non pagante che mostra occhi di chi ha visto una tragedia. Se fosse coinvolto
un vecchio, non avrebbero occhi così. Un giovane, no, non ditemelo.
E allora scendo e faccio qualche passo e frugo
nell’orizzonte vicino, è buio, l’auto è finita contro un palo della luce, non
mi pare un botto così definitivo. C’è anche Andrea, il maresciallo Andrea,
amico Carabiniere, mi viene incontro, corre, perché corre verso di me?, vedo
l’auto, distinguo il colore…Andrea mi abbraccia, no, mi blocca, urla il mio
nome “Sta qui” dice Andrea a chi ha già capito.
Muto, spingo contro quell’uomo altro uno e novanta che mi
blocca, arriva un collega e gli dà una mano, perché il mio dolore è una valanga
che ora precipita giù lungo la scarpata della realtà più tragica: non devo
vedere…non posso vedere. Perdo quel poco controllo che pensavo di essermi
meritato, dopo sessant’anni di vita.
“Stai calmo” ripete Andrea insieme al mio nome.
Le sue braccia ora cercano di trattenere la mia corsa
folle verso l’ambulanza, monto, accendo, luci, sirena, retromarcia e ora sono
qui, che corro a volume massimo, che buco la notte alla ricerca di un muro, di
un precipizio, di un’auto qualsiasi, di un Tir, di un palo di cemento.
Piango, urlo ma so che non avrò nemmeno questo coraggio.
So che dovrò accettare di vivere ancora. Morto contro quel palo, come mio
figlio. Eppure maledettamente vivo.