martedì 1 maggio 2012

Il racconto del mercoledì


L’AMBULANZA

Mi hanno svegliato nel cuore della notte. Gente senza cuore. Ma è stata una mia scelta fare il volontario del 118, autista di interventi salvavita, guidatore da sirena che maltratta il silenzio della notte. Non mi lamento ma adesso, che guido a velocità proibita verso l’incidente, non sono ancora sveglio del tutto. Sono rintronato, stavo sognando, accucciato sulla scomoda poltrona del mio ufficio (chiamiamolo così) nella sede del 118, avevo preso sonno poi la sveglia brusca, su dai muoviti, andiamo, è grave, urgenza…ho messo addosso quel poco che mi ero tolto, avevo il collo dolente, una spalla con una fitta, l’altro braccio con le formiche dentro…a poco a poco ho preso coscienza che la mia corsa era necessaria, che i miei ridicoli fastidi andavano sopportati.
Non so nemmeno l’ora, so che la corona del rosario che ho appeso allo specchietto retrovisore balla, la piccola croce sbatte contro il parabrezza, il medico e gli infermieri di turno mi mettono fretta, arrivano telefonate ai cellulari, alle radio, è roba seria, qualcuno ci sta rimettendo la vita. Passo col rosso ma rallento, non si sa mai, cerco di evitare la beffa di un’ambulanza che finisce fuori strada o contro un’auto.
Una sola cosa chiedo, anzi due, no una sola perché i miei figli sono a casa. E allora chiedo che non ci sia di mezzo un ragazzo, che non sia la giovane vita che se ne va per imprudenza, la vita che muore per troppa voglia di vivere. Dovrà avere almeno cinquant’anni, sì, cinquanta possono bastare.
“Attento!” grida il medico.
Ho rischiato, a quell’incrocio ho rischiato davvero, mi sono distratto pensando ai ventenni che guidano, a quella bellissima ragazza che abbiamo raccolto una settimana fa. Nemmeno un graffio. Morta senza una goccia di sangue, solo un paio di vertebre spezzate. Per fortuna io sono un autista da ambulanza, io vedo da lontano, non sono costretto a mettere le mani sulla morte che arriva, a tenerla lontana, a strozzarla, ad accettare la sconfitta nostra, la sua irridente vittoria. Io sto sull’ambulanza, scendo se è proprio necessario.
“A destra, a destra, veloce” grida Massimo, un infermiere che non ne ha a sufficienza di vedere la nostra miseria tutto il giorno. Viene anche al 118, da volontario. E’ un santo.
“Lo so, lo so” rispondo, so dov’è via Roma, da quelle parti abita un amico di mio figlio Luca, il maggiore. Un tipo prudente.
Il medico prepara i ferri del mestiere, gli altri sono pronti a saltar giù, io sono costretto a rallentare, auto, lampeggianti delle forze dell’ordine, curiosi, gente in strada anche se saranno le due di notte, una notte di stelle e di luci artificiali, con il nero che sembra meno nero.
“Buono, ferma qua, dai, giù ragazzi” urla Massimo.
La sirena l’ho già spenta qualche attimo fa, ora tocca al motore; rovisto fra teste, palette alzate della polizia municipale, pubblico non pagante che mostra occhi di chi ha visto una tragedia. Se fosse coinvolto un vecchio, non avrebbero occhi così. Un giovane, no, non ditemelo.
E allora scendo e faccio qualche passo e frugo nell’orizzonte vicino, è buio, l’auto è finita contro un palo della luce, non mi pare un botto così definitivo. C’è anche Andrea, il maresciallo Andrea, amico Carabiniere, mi viene incontro, corre, perché corre verso di me?, vedo l’auto, distinguo il colore…Andrea mi abbraccia, no, mi blocca, urla il mio nome “Sta qui” dice Andrea a chi ha già capito.
Muto, spingo contro quell’uomo altro uno e novanta che mi blocca, arriva un collega e gli dà una mano, perché il mio dolore è una valanga che ora precipita giù lungo la scarpata della realtà più tragica: non devo vedere…non posso vedere. Perdo quel poco controllo che pensavo di essermi meritato, dopo sessant’anni di vita.
“Stai calmo” ripete Andrea insieme al mio nome.
Le sue braccia ora cercano di trattenere la mia corsa folle verso l’ambulanza, monto, accendo, luci, sirena, retromarcia e ora sono qui, che corro a volume massimo, che buco la notte alla ricerca di un muro, di un precipizio, di un’auto qualsiasi, di un Tir, di un palo di cemento.
Piango, urlo ma so che non avrò nemmeno questo coraggio. So che dovrò accettare di vivere ancora. Morto contro quel palo, come mio figlio. Eppure maledettamente vivo.        

Un altro dolore

Un altro grande dolore, un'altra giovane morte di un amante dello sport. Ciao, Alexander.
in foto: Alexander Dan Oen, campione di nuoto norvegese.

Bossi: l'indispensabile?

Oggi Umberto Bossi ha dichiarato: "Mi candiderò a segretario, la gente lo chiede." Devo dire che la cosa non mi ha sorpreso più di tanto, mi pareva che il senatùr gettasse la spugna così a buon mercato, passando il testimone a Bobo Maroni che, a suo dire, sarebbe "il bene della Lega" ma un bene non così prezioso da prendere il suo posto. A mio giudizio è un errore, Umberto ha ramazzato via con troppa sollecitudine i guai di famiglia, non credo che la Lega, tutta la Lega troverà facilmente l'unità perduta intorno al suo 'inventore' e capo. E sono curioso di vedere come reagirà l'uomo di Lozza, se dirà subito signorsì o se vanterà qualche diritto. Ma questo mi interessa relativamente. Ciò che mi dispiace maggiormente è l'atteggiamento della base leghista verso il mondo della stampa. Un movimento che si mette ad allontanare in malomodo i giornalisti, che li minaccia non è -a mio giudizio- sulla buona strada.

La bottiglia (vuota) del lavoro

Come da tradizione, per il nostro anniversario di matrimonio siamo andati a pranzo dagli amici Carla e Paolo, sposi con noi: stesso giorno, stessa cerimonia, amicizia che si conserva nel tempo. Paolo, per l'occasione, ha stappato una bottiglia di Chianti del 1981, che ho fotografato. La osservavo ora, dopo aver visto al telegiornale le immagini del Primo maggio, Festa del Lavoro che non c'è più. La bottiglia del lavoro è vuota, il piacere di bere un buon vino è negato alle giovani generazioni e anche a chi, dopo molto lavoro, si trova privato di questo diritto. Non è un bel Primo maggio.

Verso Londra 2012

Naturalmente, negli anni delle Olimpiadi di Tokyo e di Città del Messico non potevo conoscerlo, alludo a Ito Giani (foto) classe 1941, varesino portato sui campi di atletica dai prof. di ginnastica (fra i quali Gianni Bellorini), velocista sopraffino che proprio a Tokyo, a 23 anni, si mise in luce: 10"6 nei 100 in batteria, terzo, una batteria che comprendeva fra gli altri Bob Hayes, vincitore della medaglia d'oro. E proprio negli anni a cavallo fra Tokyo e Messico il mio amico Ito ottenne i risultati migliori: nel '66, 5° agli Europei sui 100, nel '67 oro e due bronzi alle Universiadi; alle Preolimpiche a Città del Messico, 10"4 sui 100 più volte ripetuti, 20"9 nei 200, record italiano della 4x100, 39"2 con Ottolina, Preatoni e Berruti. Poi arriva la sfortuna, cioè infortuni a catena, una partecipazione sottotono a Città del Messico, infine un grave incidente in  moto, qui a S.Ambrogio, a due passi da casa mia: carriera finita. Addio Olimpiadi di Monaco 1972. Fra i vari aneddoti che Ito mi ha raccontato, una cosa mi ha colpito, la rivalità fra velocità e fondisti. I velocisti tendono a sottostimare gli uomini della resistenza, della fatica, quasi a dire: noi abbiamo il talento, a voi basta mettere la buona volontà. Tesi di Ito che è tutta da discutere, che non condivido affatto.

Verso Londra 2012

Nel 1968, Olimpiadi di Città del Messico 1968, avevo 12 anni e tanta passione sportiva. Capii poco dei disordini dieci giorni prima dei Giochi (strage di studenti, che protestavano contro un governo repressivo) e delle proteste di alcuni atleti (in foto, quella eclatante di Smith e Carlos, primo e terzo nei 200 metri). Da qualche anno praticavo ginnastica artistica, avevo seguito alla Varesina gli allenamenti collegiali degli olimpionici di ginnastica artistica, il mio idolo era Gianfranco Menichelli (aveva un fratello che giocava nella Juve), ricordo i fratelli Carminucci, Bruno Franceschetti (che sarebbe diventato mio amico), Carmine Luppino, Vailati eccetera. Menichelli in Messico si lesionò il tendine di Achille al corpo libero, ci rimasi molto male, e lui anche più di me. Ricordo il terzo posto di Eddy Ottoz nei 110 ostacoli (allenato da Alessandro Calvesi, che sarebbe diventato mio prof all'Isef), il balzo di Bob Beamon, 8.90 nel lungo, Dick Fosboury che inventò una nuova tecnica nel salto in alto (quella che attualmente tutti praticano e che noi insegniamo a scuola). Ero in prima media, le Olimpiadi si svolsero in ottobre e c'era il problema dell'orario, fosse stato per me avrei seguito tutti gli sport ma ho pochi ricordi di quelle Olimpiadi iniziate con una strage,.

Pioggia

La pioggia non fa danno
la pioggia è una dolcezza
se puoi startene nel letto
la pioggia è una bellezza.

1 maggio 1981-1 maggio 2012

"....Ma la gioia, soprattutto questo tipo di gioia, non sempre è sensibile, non sempre è appagante, non sempre è facile approdo. Non è appannaggio di chi ha il sorriso facile ed una inclinazione ad una visione ottimistica della vita. Bernanos diceva: 'Trovare la propria gioia nella gioia di un altro: ecco il segreto della felicità.' La gioia in alcuni momenti deve essere 'voluta' perché nasce da una certezza di fede, più che da una sensazione psicologica di benessere..."  
(dall'omelia di don Angelo Morelli, 1° maggio 1981, chiesa dei Santi Pietro e Paolo in Biumo Inferiore)

1 maggio 1981- 1 maggio 2012: per Grazia di Dio, siamo ancora insieme