mercoledì 31 agosto 2011

Speriamo

Oggi Stefano (che tanto amava il basket), 32 anni, un virus letale, era in vacanza; qualche giorno fa Immacolata, 21 anni, incidente in auto dietro casa mia. Lo scrivevo oggi, prefazione al mio racconto del mercoledì: è facile parlare della morte, ce l'abbiamo al nostro fianco. E dobbiamo finirla di pensare che capita sempre agli altri. Oggi non mi domando più 'perché?' come fa disperatamente Rachele. Oggi dico: 'Speriamo'. A quel perché non c'è risposta. Speriamo che ci sia davvero un Dio e un paradiso per Stefano e Immacolata. Speriamo che quei genitori distrutti possano continuare a vivere. Speriamo che i fidanzati, gli amici più cari trovino la forza di andare avanti. Da ogni morte, ma soprattutto da queste scandalose morti giovani, dobbiamo imparare un appassionato amore per la vita. Dura così poco: sfruttiamola al massimo. E' un modo puerile ma bello per dare un senso umanissimo alla morte dei nostri amici.

Auguri

Cari Paola e Roberto (ultimi a sinistra): buon anniversario di nozze!

Il racconto del mercoledì

E' così difficile narrare della felicità. Forse perché è così rara, forse perché è facile banalizzarla. E' così facile narrare della morte, del dolore, del soffrire. Lo sanno i narratori, che scelgono quasi sempre questa seconda strada. Io non faccio eccezione. Scrivere della morte è come scacciarla per un attimo. Scrivere del dolore appare anche doveroso, umano rispetto verso chi soffre e muore. Così anche questo mio racconto inedito parla di ciò che non avremmo mai voluto descrivere .

FANGO

La Valle Venosta è tagliata dal vento e dall’Adige. L’aria e l’acqua fanno bene alle mele, che colorano il verde e danno ricchezza a quelle terre del nord. L’Adige è poco più di un rigagnolo a Prato allo Stelvio, ma cresce alla svelta scivolando verso Merano, come un bambino che ha premura di farsi grande. Dall’alto del lago di Resia la valle, terra di alpini, s’allarga spinta ai fianchi dal vento quieto o violento nei giorni d’umore cattivo.

La Valle Venosta è parte della valle di lacrime, conosce il dolore; ne assaporò il gusto rancido la primavera di qualche anno fa.

Domenica

Francesco, contadino, benché fosse domenica andò a controllare il suo vasto meleto. Era il tempo dei fiori, che parlano ai frutti come l’oggi al domani. Passò di pianta in pianta, di filare in filare e s’affacciò sulla scarpata che finiva nell’Adige, parte del suo argine, una riva scoscesa in quel tratto. Soddisfatto del suo lavoro, letto nell’abbondanza dei fiori, pensò di rientrare: aveva freddo. E al freddo s’aggiunse un pensiero disturbante: il Consorzio gli aveva garantito l’intervento riparatore sul suo impianto d’irrigazione; da tempo perdeva un più punti, era un inutile spreco d’acqua. Allontanò la rabbia pensando che la sua valle di acqua ne aveva in abbondanza. Non lo vedeva da quel punto della sua tenuta ma l’Adige aveva fattezze di fiume, lì sotto, ai piedi del baratro.

Lunedì mattina – Silandro

Michaela studiava a Merano, e con lei Franz e Judith. Judith era la sua amica più intima, ultimi giorni di quel rapporto privilegiato perché era arrivato, nel cuore di Michaela, Franz di Malles Venosta.

‘Se me lo chiede me ne sbatto…’ pensò Michaela. E Franz glielo chiese subito, mentre Judith sedeva su una panchina della stazione ferroviaria di Silandro, fumando la prima sigaretta della settimana, le sole boccate di gioia in quel lunedì fatto di sbadigli e di voglia di tornare nel letto.

“Allora?” disse Franz a Michaela.

“Allora che?” chiese la ragazza facendo la tonta.

“Io bigio” disse lui, spavaldo.

“Cazzo, ho paura” disse lei, facendo la preziosa.

Judith fumava a pochi metri da loro, guardava i piedi e il fumo che saliva, i pendolari del treno e osservava la sua amica andarsene, forse per sempre, con quel cesso di Franz, nato e cresciuto a Malles Venosta, il paese della caserma alpina Sigfrido Wackernell.

“Aspetta” disse Michaela, e andò a sedersi a fianco dell’amica.

“Bigio…” ma non si capiva se era una domanda o un’affermazione.

Judith la prese come una domanda: “Fai quel cazzo che vuoi!”

“Ma che hai?” disse.

“Niente” disse Judith.

“Allora io non vengo. Dì ai prof che sono malata, ho il mal di pancia…vedi tu, va sempre bene.”

Judith non rispose, mosse il capo e probabilmente era un sì, finì la sigaretta, buttò il filtro per terra, lo schiacciò, guardò l’orologio della stazione e si alzò come dovesse sollevare tutta la noia dell’universo.

Il treno da Malles era già arrivato, sostava qualche minuto a Silandro e poi giù, verso Merano, seguendo la direzione del vento e del fiume.

“Ma dove andiamo se piove?” chiese Michaela al suo ragazzo.

“In un bar…a Glorenza.”

“Decidi tu.”

“Decido io, okey.”

***

Il treno si mosse. Un trenino di poche carrozze, senza i fili della corrente come capelli sopra il cranio di latta. Era un treno a combustibile fossile, e sopra la testa i tubi di scappamento e un tossicchiare verso la valle come fosse un ciemme, il camion medio usato dagli alpini per il trasporto delle truppe.

Il treno partì da Silandro. Judith s’era seduta in testa, sulla prima carrozza. Primo divano della prima carrozza, con le spalle rivolte a Merano. Al suo fianco una ragazza che conosceva di vista, davanti a lei Regina e Rosina, due sue amiche più giovani.

Judith s’era seduta lì perché era un vagone fumatori, non per incontrare qualcuno. Voleva star sola. Era incazzata e assonnata. Avrebbe pianto come i vetri, lacrime di pioggia che scivolavano dal tetto ai finestrini alle pareti alle ruote ai binari, o gocciolavano sopra i sassi della massicciata.

Accese la seconda sigaretta, promettendo a se stessa che sarebbe stata l’ultima prima dell’inizio delle lezioni.

***

Franz, diciott’anni da poco compiuti, s’era fatto prestare dal padre un’auto di terza mano, una Fiat Panda vecchio modello, una Panda quattro per quattro, tutte le ruote motrici per correre sulle molte salite della Valle Venosta. Franz in principio non aveva pensato ai bar di Glorenza. Meglio all’aperto con Michaela, lungo l’Adige o su verso Slingia o sul monte Watles ancora innevato. Aveva sperato nel sole, ma ora la pioggia li costringeva a starsene al chiuso.

“Dove mi porti?”

“Da Thobias?”

“Da Thobias…va bene.”

Michaela non era eccitata come avrebbe sperato. Aveva freddo anche in auto. “Ma è acceso il riscaldamento?”

“Ci mette un po’ a sentirsi. Hai freddo?”

“Sì.”

Aveva freddo e pensava a Judith. Non aveva mai bigiato. Guardò alla sua destra, le gocce aggrappate al finestrino in prese scivolose, di poca durata. Guardò i capelli di Franz, biondi, corti, un taglio da nazi. I tergicristalli passavano sul parabrezza con manate violente, il vetro si stava appannando.

“Com’è che si appanna?” chiese a Franz. “Come fai a vedere.”

“Ci vedo…comunque tieni” e le passò uno straccio. “Pulisci.”

Le parve un ordine troppo invadente e confidenziale. Perentorio. Si sentì in colpa.

***

Judith fece pochi tiri di sigaretta. Capì che si stava addormentando, il treno le cantava la ninnananna. La spense e si appoggiò al finestrino. Era gelato, si sfilò la sciarpa e la mise a cuscino fra il vetro e la testa. S’addormentò. Un sonno brevissimo, svegliato da un rumore impressionante, come un rutto di tuono che incute terrore a tutta una valle. Judith si svegliò che il treno si stava già inclinando mentre un tronco di melo, mandato in frantumi il finestrino, s’abbatteva su Regina e Rosina. Ma questo Judith non lo vide, finita a terra dopo aver preso un gran colpo alla schiena contro la ragazza che le sedeva di fianco e il bracciolo di legno. Non vide Regina e Rosina schiacciate dal tronco, vide nell’atroce dormiveglia i sassi e il fango entrare dalla breccia senza più vetro. Cercò di rialzarsi ma una grossa pietra la ributtò a terra, semicosciente. Sentì un gran freddo, un dolore potente sul volto e l’abbraccio mortale del fango, che la sommerse. Cercò riparo, avrebbe voluto portare le braccia davanti al volto ma non si muovevano, imprigionate dalla frana. Chiuse la bocca, già piena di fango. La riaprì, invocando aria che non poteva trovare dentro quella carrozza, sommersa dal fango e da fiori di melo, tomba per Judith, per Regina, Rosina e per l’altra ragazza, che Judith conosceva di vista. Veniva da San Valentino alla Mutta.

***

Le notizie girano lente o veloci, come lava o come l’acqua impazzita di un’alluvione, entrano nei luoghi e nelle persone con sussurri o con prepotenza, reclamando l’attenzione che meritano. La sciagura del treno diretto a Merano, travolto da una frana causata dalla pioggia e dal difettoso impianto d’irrigazione del contadino Francesco, giunse adagio adagio a Michaela, come un pugno a sua madre, la prosperosa Karol.

Michaela lo seppe perché da Thobias ad un certo momento arrivò un tale che sembrava ubriaco già di primo mattino: per questo in principio non fu preso sul serio. Straparlava di una disgrazia giù, sulla ferrovia, sicuramente con morti e feriti.

“Ma che cazzo sta dicendo quel tipo?” chiese Michaela a Franz.

“E tu ci credi?” disse Franz.

“E se fosse vero? Perché dovrebbe inventarsela…”

Karol era al lavoro, ricevette una chiamata al cellulare, che era acceso per dimenticanza, vigendo il divieto dell’uso del telefonino. Così seppe del treno e della frana. Uscì di corsa, cercò riparo sotto una pensilina, chiamò la figlia Michaela. Il fatto che quella ragazza non rispondesse mai al cellulare era il solo motivo di speranza. Ma Michaela rispose. Non avrebbe certo parlato a sua madre se non avesse sentito l’ubriaco del bar esprimersi ora con voce convinta; giurava che non aveva bevuto nemmeno un analcolico, spergiurava che quel treno, cazzo, era deragliato davvero, con morti e feriti veri, laggiù, lungo la sponda dell’Adige, poco dopo Silandro.

“Michaela…Michaela…”

La ragazza rispose.

Karol urlava, piangeva di gioia e picchiava i piedi per terra, dentro una pozzanghera. Già qualcuno si era avvicinato e la tranquillizzava.

“Sono io, mamma…ci sono…calmati, sto bene….”

***

Elisabeth, la mamma di Judith, era in auto, diretta per lavoro al Passo di Resia. Sentì la notizia alla radio. Fermò l’auto sul ciglio della strada. Di fronte a lei, a qualche chilometro, il passo. Alla sua sinistra il lago di Resia, con il campanile del vecchio paese che affiorava dall’acqua, immagine di calamità e di attrazione turistica.

Chiamò al cellulare la figlia. Il telefono si limitava a suonare. Cominciò a piangere. Spense la radio e con calma scese dall’auto. Con una ventata di rabbia feroce richiuse la portiera. Attraversò la strada e si affacciò sul lago.

Chiamò di nuovo la figlia, seduta sul guard-rail. Occupato? Dava occupato? Sì, mio Dio, è occupato, sta parlando, è viva. Attese e la pioggia, ora, non la sentiva nemmeno. L’ansia le rubava il respiro, il cuore a mille, le mani gelate. Faticò a schiacciare il solo tasto che le serviva per mettersi in contatto con lei. Solo la mitragliata dei tututututu…Provò, riprovò…ancora silenzio.

Si mise seduta nel fango, la schiena appoggiata al guard-rail. Passavano le auto alla svelta, solo una rallentò e ripartì senza il coraggio di fermarsi, di scendere, di chiedere. Ma Elisabeth aveva solo bisogno di sua figlia.

Il dolore la annichiliva. E pensare che Judith non era certo la ragazza che rispondeva alle chiamate dei genitori. Ma sua madre, disperata, la vedeva già morta. Eppure continuò Elisabeth a schiacciare quel tasto, a ripassare la vita di Judith, la loro vita insieme: il bene e il male, il bello e il brutto, gli abbracci, i baci, l’odio e i litigi. Sarebbe stato tutto nuovo ora, incredibilmente affascinante. Bastava un cenno di voce dentro quel cellulare.

Se la strinse addosso con il pensiero. Chiuse gli occhi e baciò quel fantasma. Poi provò ancora e ancora e ancora a chiamarla, più a sud, dove l’Adige alza la voce e pretende di essere fiume.

martedì 30 agosto 2011

L'Idrolitina

Comincio ad avere, mio malgrado, ricordi stagionati, cioè ricordi che bisogna avere almeno cinquant'anni, altrimenti si ignorano certe cose. Le bustine dell'Idrolitina, ad esempio. Quand'ero ragazzo per rendere gasata l'acqua c'erano le due bustine dell'Idrolitina, una azzurra e una rossa. Bisognava mettere prima una e poi l'altra, nell'ordine giusto (non ricordo più quale fosse la prima) e poi bisognava chiudere subito la bottiglia, per evitare che la violenta reazione chimica facesse tracimare l'acqua. Succedeva che nel mettere le polverine magari ne rimaneva un po' sul bordo della bottiglia e allora bisognava essere velocissimi per farla scendere giù, se no l'acqua usciva. Poi è arrivata la bustina unica.

in foto: il torrente che scende dall'Alpe Veglia, in prossimità di San Domenico di Varzo

Lettera ai giovani

Cari giovani, lo so che siete ancora stanchi e che vorreste altre vacanze, ma il tempo delle ferie è finito. All'inizio del'estate vi avevo consigliato di godervi le ferie, non dedicando troppo tempo ai cosiddetti compiti delle vacanze. Le ferie sono ferie, e la formica (così previdente, così solerte) è anche un po' antipatica. In estate viva le cicale. Ma anche le cicale alla fine stancano, il loro canto annoia. Bisogna essere un po' l'una un po' l'altra. E' giunto il tempo della formica.

in foto: riposo all'Alpe Veglia

Colori

Colori nella pietra. Sullo sfondo, il Monte Leone.

Quanta sete

Quanta sete nel mio cuore, solo in Dio si spegnerà....

Dei cinque brani che ho imparato all'organo (sto imparando a fatica il sesto), quello dal titolo QUANTA SETE NEL MIO CUORE è forse il mio preferito. Esprime il bisogno di un Dio, qualunque esso sia. L'umano, comprensibilissimo, vitale bisogno di andare al di là delle cose, nella speranza che non sia già tutto finito.

in foto: cascata nei pressi del rifugio CAI Arona, Alpe Veglia

lunedì 29 agosto 2011

Tanti auguri, Paola

Tanti auguri, cara Paola. E fatti regalare da Roberto una torta gigantesca!

L'arte della lamentazione

L’ARTE DELLA LAMENTAZIONE

Facebook sta amplificando ciò che già si sapeva: siamo maestri nell’arte della lamentazione. Faccio parte dei milioni di utenti del ‘giocattolino di Mark’ e noto la tendenza. Quando faceva freddo e pioveva a luglio, gocciolavano dal cielo informatico grandinate di lamenti e di proteste, con relativa promessa: ‘Non oserò mai più lamentarmi, quando farà finalmente caldo!’ Poi, dopo ferragosto, è arrivato l’anticiclone africano, la bollente brezza sahariana, l’afa umidiccia e, finalmente, abbiamo potuto indossare canotta e pantaloni corti. Ma ben pochi hanno mantenuto le promesse, ed ecco nuovi lamenti, puntualmente registrati da facebook con piagnucolosi rimbrotti al Padre Eterno, evocazioni di tempi più lieti, speranze in un futuro piovoso, rinfrescante, bisognoso di maglioni. Si tenga conto che a lamentarsi su facebook non sono certo gli anziani, coloro che più di tutti malsopportano la grande afa di questi giorni; al limite loro avrebbero qualche ragione, ma non usano il social network e si lamentano per altre vie. No, no, qui a prendersela col meteo infame sono i giovani e gli adulti non oltre i sessanta. Si dirà: ma il lamento è la miccia di ogni rivoluzione, è il prologo della rivolta. Chi tutto sopporta con pazienza è ‘vecchio’ e non rinnova. C’è del vero, ma qui parliamo di lamentazioni sterili, inconcludenti, proteste senza proposte costruttive, esternazioni che forse regalano qualche secondo di ‘rinfrescante’ condivisione di una noia, ma non buttano addosso secchiate d’acqua, né rannuvolano il cielo piatto. Dunque? Sopportiamo con pazienza. Anzi, sfruttiamo ogni virgola di questa condizione premonsonica, consapevoli che basteranno un paio di temporali e sarà subito autunno. Arriveranno castagne, foglie secche, policromie e immancabili lamentazioni stagionali.

La Provincia di Varese domenica 28 agosto 2011

in foto: la rinfrescante immagine del nevaio del Monte Leone

Come una cerva

Come una cerva anela ai corsi delle acque, così l'anima mia anela a Te, o Dio (Salmo)

Buona giornata a tutti.

in foto: torrente all'Alpe Veglia

domenica 28 agosto 2011

La passeggiata della domenica: Alpe Veglia-Lago Bianco

Stupenda passeggiata della domenica, suggerita da Claudio, che ringrazio. E baciata da una giornata super. In autostrada Gravellona Toce sin quasi al Sempione, si esce a Varzo-San Domenico e si sale a San Domenico. Si lascia l'auto un chilometro più avanti, nel posteggio di Ponte. Un paio d'ore il viaggio in auto. Si inizia a camminare da un'altezza di 1300 metri. Dopo un'ora di salita si arriva ai 1700 metri dell'Alpe Veglia (foto) un luogo fuori dal mondo, con piccoli agglomerati di baite. Dall'Alpe si sale al lago Bianco (altre due ore, tre ore in totale). Una meraviglia.

Alpe Veglia-Lago Bianco

Ecco il lago Bianco, a quota m. 2156. Siamo partiti alle 9.30 e siamo arrivati al lago dopo 3 ore di cammino, 800 metri di dislivello. Ne vale la pena. Sullo sfondo il Monte Leone (m 3550 slm)

Alpe Veglia-Lago Bianco

Il pranzo sulle sponde del lago è terminato. Ci si prepara per la discesa.

Alpe Veglia-Lago Bianco

Siamo quasi alla fine della gita: due ore e trenta circa dal lago Bianco all'arrivo al posteggio di Ponte. In fondo si vede San Domenico di Varzo.

sabato 27 agosto 2011

Mari e Pietro

Mi giunge gradita la foto della mia amica Mari, neomamma col piccolo Pietro, nato il 15 agosto. "Anziché la solita grigliata di ferragosto" mi scrivono Mari e Gianluca " ecco il bene più prezioso per il matrimonio. Che indimenticabili momenti!"
Già, sono momenti magici, che ho avuto la fortuna di vivere per ben tre volte. Un figlio è sempre magia. E' anche tanto altro, naturalmente.......

Un bel regalo

Per fortuna, superando terremoti e uragani, mia figlia Maddalena è tornata dagli Usa. E mi ha portato un gradito regalo, una maglietta comprata a Times Square. Davanti ha scritto 'Run Forrest Run' (Corri Forrest Corri) e sul lato B (foto) 'Stop Forrest Stop'. Fa riferimento al ben noto film Forrest Gump e alla mia passione per la corsa. Sono molto orgoglioso della mia nuova Tshort.

I monti pallidi

Questa immagine del Gruppo Sella bene evidenzia perché le dolomiti vengono anche chiamate 'monti pallidi'. Quel loro pallore, che risalta nel verde dei prati e dei boschi, le rende uniche. E deve aver sorpreso non poco il naturalista francese Deodat de Dolomieu (1750-1801), che ne studiò la genesi. Nate 250 milioni di anni fa, nel Triassico, da accumulo di conchiglie, coralli e alghe calcaree, le dolomiti sono composte da carbonato doppio di calcio e magnesio. La pietra è chiamata dolomia in onore del naturalista che se ne innamorò. Capisco il tuo amore, caro Deodat, capisco....

Unità

L'unità dà gioia, la divisione sofferenza: questo mi pare assodato. Abbiamo bisogno di avvertire l'unità fra corpo e spirito, fra desiderio e realizzazione, fra ideale e vita. In questo concetto basilare di unità (essenziale per la felicità) è compresa anche una sola donna. Ciò può apparire limitante, lesivo della libertà, ma ogni tentativo di smentire questa verità è destinato a renderci infelici.

foto: si distende l'Alpe di Siusi, dalle parti del rifugio Vicenza

Immacolata

Immacolata: il tuo nome mi fa venire in mente la neve, non quella ghiacciata e un po' sporca della Marmolada (foto), ma la neve fresca, appena scesa leggera dal cielo, bianchissima. Ieri pomeriggio stavo salendo con gli skiroll al Sacro Monte. Appena dopo la Farmacia di S.Ambrogio, in via Virgilio, ho capito che era successo qualcosa: molta gente a bordo strada, Vigili del Fuoco, ambulanze, Polizia Municipale. Mi sono avvicinato con timore. Ho tolto gli skiroll, ho proseguito a piedi. Sulla destra, nell'auto accartocciata contro il muretto, c'eri tu, Immacolata, ragazza di 21 anni. Ma non ti ho vista. In verità ho preferito non guardare, per timore di vederti. Non amo curiosare nella morte. I soccorsi c'erano, il mio compito era finito. Visto che costa poco, mi sono messo a pregare. Stamani ho saputo che in quell'incidente sei morta tu, Immacolata, giovane varesina. Scendevi troppo veloce? E' tua la colpa oppure no? Posso solo pregare: come ieri, come sempre.

venerdì 26 agosto 2011

Con l'amico Elio, grande ciclista

Non vorrei abusare con immagini ciclistiche, che descrivono mie risibili imprese, ma questa è una foto per me particolare, perché è la sola che mi ritrae col mio amico ed ex vicino di casa Elio Cappelli, grande ciclista. Tutto è iniziato qualche anno fa. Appena giunto nel mio condominio, ho scoperto che Elio andava in bici. Così ci siamo messi d'accordo per una salita al Cuvignone. Molto più giovane di me (avrà vent'anni in meno), francamente mi sono un po' sorpreso quando, dopo Vararo, l'ho visto arrancare: non ho voluto strafare ma sono giunto comunque un paio di minuti prima di lui. Ebbene, non l'avessi mai fatto. Credo di averlo pungolato all'inverosimile, perché ha iniziato ad allenarsi con grande fervore e l'anno successivo mi ha invitato ad un nuovo giro. Sapevo ciò che mi sarebbe capitato, ma non potevo sottrarmi: naturalmente mi ha stracciato alla grande. Successivamente siamo andati ancora un paio di volte, al Campo dei Fiori, ed ho raccolto sonore sconfitte. In foto la nostra ultima ascesa, due o tre anni fa. Poi Elio ha cambiato casa. Ma quella sconfitta iniziale non l'ha dimenticata, e il solo pensiero lo induce ad aumentare il ritmo della pedalata.

Un fresco buon giorno

Vi auguro di rinfrescare meglio che potete questa calda giornata. di fine agosto Magari con tuffi in fontane simili a questa, la monumentale fontana di piazza De Felice a Genova. Lì dovrebbe rinfrescarsi in particolare una mia amica, che abita da quelle parti.

giovedì 25 agosto 2011

Amore di gioventù

Domenica prossima dovrebbe avere inizio il Campionato di calcio 2011-2012. Pubblico questa foto, alla memoria di un grande amore di gioventù che è andato via via spegnendosi. In principio ero folle per il calcio, giocavo sempre e lo seguivo ogni istante alla tele. Tifavo Inter e Varese. Giocavo in porta, poi ho scelto per la ginnastica artistica, e forse ho sbagliato. Con gli anni mi sono limitato a giocare a calcio (uno sport di squadra appassionante) seguendolo sempre meno da spettatore. Ultimamente non ci gioco nemmeno più: troppo traumatico dopo i 50 anni. Un ritorno di fiamma nel 2010, data la strepitosa stagione della mia Inter. Oggi è tornato l'oblio. Seguo più che altro il Varese, anche se non vado al 'Franco Ossola'. Ho creduto nel miracolo della serie A, oggi spero nel miracolo della serie B, mantenuta.

in foto: immagine-omaggio alla squadra della mia città, insieme agli amici fotoreporter Domenico (a destra) e Angelo (al centro). La presente foto, di Silvia D'Ambrosio, è stata utilizzata per l'Agenda Varese 2007

Fuga da New York

La mia secondogenita si lagna spesso di essere sfortunata. Sensazione del tutto errata, che naturalmente ho sempre cercato di smentire. Devo però ammettere che gli ultimi eventi le danno ragione. Giunta qualche giorno fa a New York (dopo aver visitato Los Angeles, San Francisco, Las Vegas...), si è beccata il giorno dopo il terremoto. Non paga di ciò, vede ora avvicinarsi l'uragano Irene, previsto per il fine settimana. Lei dovrebbe prendere l'aereo per il ritorno a casa venerdì nel pomeriggio (ora di NY).... Irene la insegue.....ma forse la sfortuna si trasformerà in fortuna, 'obbligandola' a qualche altro giorno di permanenza negli Usa.

Fare piazza pulita

Stamani mi sono messo a fare ordine nei miei cassetti. Operazione che mi regala due distinti sentimenti: dapprima un senso di scoramento, al che mi viene voglia di lasciar perdere e buttare tutto dentro disordinatamente. Secondo: il desiderio di fare piazza pulita, di buttare via tutto (oggetti inutili, ricordini, cartoline, bigliettini, appunti....) Sì, perché io conservo molto del passato, aggrappato a ciò che è stato. E invece bisognerebbe essere capaci di 'rinfrescare' come un tuffo nella neve la propria vita, di pensare unicamente al futuro. Un taglio netto, una pulizia radicale. Stamani non ci sono riuscito. Ho eliminato troppo poco. In compenso ho ritrovato una biro Parker che nemmeno sapevo di avere. Perfettamente funzionante.
Il passato può fare ottimi regali.

in foto: il ghiacciaio della Marmolada, visto dal passo Sella

Come Coppi e Bartali

Ho visto tanti ciclisti avventurarsi sui tornanti del passo Sella e del passo Pordoi. Sfidare il caldo e il gas di scarico delle auto pur di raggiungere la sommità. Perché? Perché nessuno sport al pari del ciclismo permette al dilettante, all'appassionato di ripercorrere le medesime vie dei campioni, pendii resi famosi dal Giro d'Italia, pendenze esaltate da imprese epiche. E' come poter giocare a San Siro, a Wembley, in altri stadi famosi. Giocare a tennis a Wimbledon o al Foro Italico. Uno si sente un po' Coppi. Si esalta. Si illude. Sogna un po'...che è poi quel che conta.

in foto: la Marmolada alle 7 del mattino, vista dal Passo Sella

mercoledì 24 agosto 2011

Gioia e dolore


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'Quanto più a fondo scava il dolore nel vostro essere, tanta più gioia potrete contenere.'
E' questa una delle intuizioni più note del libro IL PROFETA di Kahlil Gibran, che rassomiglia molto al 'piacere figlio d'affanno, gioia vana che è frutto del passato timore' (La quiete dopo la tempesta - Giacomo Leopardi).
Tutti siamo costretti, nostro malgrado, a passare attraverso l'esperienza del dolore, che ci fa apprezzare la salute, che moltiplica il valore della gioia. E più il dolore scava, più la gioia -frutto del passato timore- sarà esuberante.
Quando una cosa c'è, è scontata; quando una cosa manca, è valorizzata.
Siamo sottoposti al vincolo di un'attesa.
La gioia è desiderio.

Un piccolo regalo

Sebbene in ritardo: tanti auguri, caro Marco. Guarda, ti regalo lo Sciliar: non mi pare poco!

Auguri, Adriano

Tanti auguri, caro Adriano, sherpa della Shalom, guida sicura e conciliante.

IL RACCONTO DEL MERCOLEDI'

Non sono un narratore per ragazzi, ma qualche rara volta mi sono cimentato in racconti per bambini, compreso un romanzo breve, LA SFIDA ELETTRONICA (Sei - settembre 1999). Questo che segue è uno dei miei tentativi di raccontare storie a bambini delle scuole elementari.

Il soffio del desiderio

C’era una volta, e c’è tutti gli anni, il dieci di agosto, San Lorenzo, la notte delle stelle cadenti. Ci sono un padre e suo figlio. Il padre ha un desiderio e sa che può spenderlo bene, perché la notte di San Lorenzo è la notte dei desideri realizzati: il desidero è quello di regalare stupore al proprio bambino.

Anche il figlio ha un desiderio, anzi tanti, o forse nemmeno uno: è annoiato. Già, dimenticavo i nomi: il padre si chiama Claudio, il figlio Mattia.

Papà Claudio vorrebbe fare una proposta al figlio ma senza innervosirlo, perché da qualche tempo Mattia è spinoso come un carciofo.

Claudio si butta: “Mattia, perché non usciamo a vedere le stelle cadenti?”

“Stelle cadenti?”

“Sì, al parco.”

Mattia ci pensa. Ha in mano il cellulare, sta mandando un essemmesse. Pensa poco e dice subito: “Non ho voglia.”

“Dai” insiste papà Claudio.

“Ufff” risponde Mattia. “E poi guardare le stelle mi fa venire il torcicollo.”

“Ma io ti insegno come fare per evitarlo.”

“Come?

“Se vieni te lo spiego.”

Mattia ha dentro il nervoso da ragazzino svogliato. Accende la tele.

“Ma che fai?” dice il padre.

“Guardo la tele.”

“Non vieni?”

“Aspetta…forse c’è…”

“Che cosa?”

“Uffa…è già finito…”

“Dai, andiamo.”

Mattia si alza come fosse un elefante, adagio, pesante. “Però se mi scoccio torno a casa.”

“Certo” promette papà Claudio.

Escono. Fa caldo, siamo nel cuore dell’estate. Claudio alza gli occhi al cielo e manda un piccolo mugugno.

“Cos’hai visto?” chiede Mattia.

“Niente” risponde suo papà.

E allora guarda anche lui, vede piccole luci lontane, e subito il male al collo. Sbuffa.

I due entrano nel parco pubblico, poche centinaia di metri da casa loro. C’è gente, la notte è rumorosa per le voci che si rincorrono, il buio non fa paura. Claudio e Mattia salgono in cima alla collinetta del parco. “Speriamo non ci sia gente quassù” dice Claudio “ma sarà dura, tutti vogliono andare in alto.” E invece sono soli. Strano. Ecco un tavolo e due panchine.

“Bene” dice Claudio. “Ora ti faccio vedere” e si sdraia sul tavolo, a pancia in su. “Così niente mal di collo.”

“Bella forza” dice Mattia, che non può nascondere la sorpresa. La soluzione era facile ma non ci aveva pensato.

“Vieni, ci stai anche tu” dice Claudio.

Mattia si sdraia e proprio in quel mentre arriva una coppietta. Lui dice a lei, con disappunto: “E’ già occupato.” E lei: “Peccato!” Se ne vanno.

Mattia è felice per quel tavolo tutto per loro.

Claudio no, ora può spiegare al figlio il perché del mugugno di prima: “Che sfortuna, stanno arrivando le nuvole.”

Ora le vede anche Mattia, bianche, sottili, veloci. La luna piena le illumina, ma la più villana delle nuvole copre la luna, il buio sommerge il parco pubblico e i tanti visitatori, arrivati apposta per gustarsi le stelle cadenti, annegate ora nella nebbia.

“E se soffiassimo contro le nuvole?” propone Mattia.

Claudio resta stupefatto per quell’idea elementare, fantastica, fantasiosa, meravigliosamente irrealizzabile. “Perché no?”

“Dai, insieme” dice Mattia e dà il buon esempio, prende fiato, pompa la gabbia toracica, gonfia le guance e soffia il suo fiato caldo contro il cielo nero.

“insieme” dice il padre, e cercano di coordinare il tempo dell’espulsione dell’aria.

Incuriosita da quel rumore, la coppietta torna sui suoi passi, vede i due che soffiano e fa lo stesso. Con sorpresa i quattro notano che il loro fiato fa ondeggiare le punte dei pini. Questo li incoraggia, li invoglia a continuare.

“Dai, più forte, più fiato” dice papà Claudio, con voce eccitata.

“Mi gira un po’ la testa” dice Mattia.

“Allora fermati un attimo, riposa, continuiamo noi” dice Claudio.

“Siamo troppo pochi” dice la signorina al suo ragazzo.

“Hai ragione” e allora lui si affaccia verso il grande prato del parco e urla: “Perché non soffiate tutti con noi?” Lo grida al buio e a quelle piccole luci, sono le torce a batteria di chi è venuto a vedere le stelle cadenti e ora se ne sta andando deluso. Le lucine si fermano, disegnano ghirigori nella notte, puntano verso il cielo. E poi è tutto un rincorrersi di ‘sì, soffiamo, tutti insieme, mandiamo via le nuvole dispettose’.

Ora il vento caldo che esce dalle tante bocche fa rumore, come per una tempesta. I pipistrelli fanno planare i loro voli, si aggrappano agli alberi e cominciano a soffiare. Lo stesso fanno i dieci gatti che stazionano d’abitudine nel parco, i cani giunti sin lì al guinzaglio dei loro padroni, i topi campagnoli, molti insetti notturni e persino alcune lucciole, che non si vedevano da tempo in quell’area verde della città.

Si sa che le cicale cantano di giorno e dormono la notte. Svegliate dal soffio potente degli umani curiosi, mutano il canto in piccoli rivoli di fiato, che si uniscono al tutto, piccole gocce in quel mare d’aria diretto vorticosamente al cielo.

Il rumore richiama passanti lungo il viale, corrono preoccupati a vedere, capiscono e si aggregano senza far troppe domande.

“Ecco, guarda ora” dice Claudio al ragazzo. Ha interrotto il suo lavoro, ha fatto uscire da un piccolo zaino un binocolo, che allunga a Mattia. “Guarda con questo.”

“Come si fa?” chiede Mattia. Non l’ha mai usato.

Ci mette del tempo, ma alla fine riesce a fare di due un’immagine sola, punta dritto sopra il tavolo e vede un grande buco nelle nuvole. S’allarga, scavato dal soffio poderoso di uomini e bestie.

“Che vedi?” chiede suo padre.

“Le stelle” risponde Mattia.

“Il desiderio..ricordati il desiderio…aspetta…pazienza.”

Il foro si dilata, più s’allarga più i soffiatori insistono, e fra questi il più scalmanato e proprio suo padre. Così Mattia può vedere un tondo di cielo sempre più sgombro di nubi, può contare sempre più luci. Che, però, non cadono affatto. Piccoli fori d’oro che vanno e che vengono ma nessun bagliore di stella che lascia la scia dietro di sé. E sta per protestare ma si trattiene, pensa al desiderio, le braccia si fanno pesanti in quella posizione, sta per cedere. Ma ecco la coda luminosa, il graffio nel buio, il pianto dorato del cielo.

“L’ho vista, l’ho vista” urla felice Mattia.

“Bravo” dice Claudio. “E il desiderio?”

Mattia passa il binocolo al babbo, sorride, fa il prezioso, indugia.

“Ho capito, ho capito…”dice Claudio, appagato.

E aveva capito bene: c’entrava proprio Rossella.

martedì 23 agosto 2011

Lago Maggiore: stupendo e maligno

LAGO MAGGIORE: STUPENDO E MALIGNO

L’estate sta finendo. Se c’è un bilancio negativo, pensando al turismo nella nostra terra dei laghi, è quello relativo ai morti per annegamento. Anche in questo 2011 non è mancato chi ha concluso tragicamente la propria vita nell’acqua. Il lago Maggiore si è confermato bacino tanto ammaliante quanto maligno. Le sue acque invitano alla nuotata, ma sia la profondità che la temperatura dell’acqua possono essere fatali. Lo so per esperienza, nel senso che pur con il dovuto allenamento, e dotato di muta da triathlon, ho constatato che l’acqua del Verbano è fredda anche a luglio e ad agosto, e che onde in apparenza risibili possono dare molto fastidio. Il dolce lago di Chiara e di Sereni, che quest’estate ho attraversato per la prima volta sopra una barca a vela, non perdona chi lo affronta da dilettante. Solo un paio di volte (ed ero ottimamente allenato) ho deciso di affrontare una nuotata di una certa distanza nel lago Maggiore. Della prima ho un ottimo ricordo, quando con l’amico Giovanni Montini (l’ironman di Barasso) ho costeggiato il tratto da Reno di Leggiuno all’eremo di Santa Caterina del Sasso; svoltato il promontorio, con basse onde che cozzavano contro la roccia, mi è apparso il monastero come un miraggio. Bellissimo. Non positivo è invece il ricordo di quando ho tentato la traversata Stresa-Reno, oltre 3 chilometri. ‘Se la porto a termine’ mi dicevo ‘potranno chiamarmi lo squalo del Verbano’. E invece mi sono ritrovato, goffa tinca dalla nuotata impacciata, a metà lago in preda ad una crisi di panico, che può cogliere anche nuotatori provetti (si pensi alla Pellegrini) e che non perdona, in caso di mancata assistenza. Nel mio caso l’assistenza era ottima e sono stato rimorchiato in barca, ma è stato un insegnamento che non dimenticherò mai più.

La Provincia di Varese domenica 21 agosto 2011


in foto: controluce al Sasso del Ferro e ai Pizzoni di Laveno

Scorta di foto

In questi tre giorni montani mi sono fatto una bella scortina di foto, anche perché di foto digitali delle Dolomiti non ne avevo. Per chi ama il linguaggio fotografico, qui è una pacchia.

in foto: lo Sciliar e le zampe di un cavallo dell'Alpe di Siusi.

Qui non ho sbagliato

Come padre credo di aver commesso più di un errore educativo, e chiedo venia. Ma su un punto non ho sbagliato di sicuro: aver portato le mie figlie, da ragazzine, a camminare sulle Dolomiti. Il bello apre la mente e il cuore, dilata lo sguardo, invita ad alzare gli occhi. Il bello è Bello.

in foto: figli di miei amici, l'Alpe di Siusi, lo Sciliar.

Salmi

Quando Israele uscì dall'Egitto, la casa di Giacobbe da un popolo barbaro.....perché voi monti saltellate come arieti, e voi colline come agnelli di un gregge?..... (Salmo)

Ricordo a memoria alcuni Salmi, perché per anni ho pregato con i miei amici Shalom e la Diurna Laus, il libro delle Ore.

in foto: dal Passo Pordoi, da destra, il Sasso Lungo (e si capisce perché si chiama così), le Cinque Dita, il Sasso di Levante e ultimo a sinistra, il Sasso Piatto.

Brava, Caterina

In piena notte, circa le 2, siamo andati a prendere Caterina, di ritorno dalla Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid. Era più stravolta di quando è partita (foto), una settimana fa, ha raccontato di attimi di paura, di molta pazienza ma anche di tanta positività. Di incontri significativi. Ne sono convinto. Credo ne sia uscita rafforzata. Me lo auguro.

Auguri, Giancarla

Tanti auguri, cara Giancarla (eccola col marito Ezio) e in bocca al lupo, per la tua nuova carriera di scrittrice di gialli.

lunedì 22 agosto 2011

Lodi

21.08.2011 - I tre giorni di vacanza in montagna con gli amici della Shalom mi hanno fatto riaprire la Diurna Laus, il libretto utilizzato per la preghiera ecclesiale delle Lodi, dei Vesperi,l della Compieta. Pratica che da giovani, alla Shalom, era caldeggiata e praticata quotidianamente. E che poi ho abbandonato, preferendo altre modalità di preghiera. Ma l'amico Claudio, già prefetto dell'oratorio 'Molina' di Biumo Inferiore e oggi uomo di grande fede ecclesiale e di profonda preghiera, mi ha fatto nuovamente pregare così. Un'orazione comunitaria, la preghiera della Chiesa. Alle 7.45 Lodi, immancabilmente.

in foto: la Madonna dell'Albergo Dolomiti del Collegio Rotondi, a Campestrin, in Val di Fassa.

Con Marco e Luigi

21.08.2011 - Con Marco (detto Marchino, al centro) e Luigi (detto Gigi, a destra) l'amicizia è di lunga data. Anni fa scattammo una foto insieme, così. Abbiamo voluto riproporla. Ma ad una distanza maggiore, per camuffare qualche 'lieve imperfezione' data dall'età.

Vacanze Shalom

19.08.2011 - Più avanti leggerete la cronaca delle passeggiate sulle Dolomiti, che ho avuto il piacere di realizzare dal 19 al 21 agosto. Ma ci tengo a dire che questi tre giorni hanno segnato anche il ritorno (sebbene per pochi giorni) alle vacanze comunitarie Shalom (ecco in foto parte del gruppo). Dal 1971 (Rapallo) al 1991 (Telves in Val Ridanna) sono sempre andato in vacanza col gruppo di amici della Shalom. Prima con don Angelo Morelli, poi con altri sacerdoti e poi da soli. Dal 1991 ad oggi, per tanti motivi, ho preferito altri tipi di vacanze, con pochi amici. Con gli altri ci si vedeva durante l'anno, ma non in montagna. E' stato un ritorno gradito.

Bianco Sciliar

Mi giunge, gradita, questa immagine che mi ha mandato Alessandro, un lettore del mio blog. Anche lui ama le dolomiti, in particolare lo Sciliar, che mi invia in versione invernale, rinfrescante, ideale per questa calura d'agosto. Allega anche una bella poesia di Montale, che vi propongo:

Cigola la carrucola nel pozzo,
l'acqua sale alla luce e vi si fonde.
Trema un ricordo nel ricolmo secchio,
nel puro cerchio un'immagine ride.
Accosto un volto a evanescenti labbri:
si deforma il passato, si fa vecchio,
appartiene ad un altro...
Ah, che già stride
la ruota, ti ridona all'altro fondo,
visione, una distanza ci divide.

da Ossi di seppia

Terza passeggiata: giro del Sasso Piatto

21.08.2011 - Terza ed ultima passeggiata: giro del Sasso Piatto. Si parte dal Passo Sella, si sale al rifugio Demetz, che si scorge alla forcella fra il Sasso Lungo (a destra) e le Cinque Dita (al centro). Si può salire lì anche in ovovia, ma Carla ed io l'abbiamo fatta a piedi. Poi si scende al rifugio Vicenza, si fa tutto il giro del Sasso Lungo (che qui non si vede) e si torno al Passo Sella. Si noti la totale assenza di nubi, un cielo terso, una giornata da incorniciare.