martedì 7 agosto 2012
Il ruolo del padre
Mi hanno colpito le parole di Joseph Schwazer (foto), papà di Alex, il marciatore escluso dalla 50 km di marcia a Londra causa epo. Come padre, mi sono sentito chiamato in causa dalle parole di Joseph: "Chiedo scusa, perché un padre deve capire quando un figlio ha dei problemi. Un padre deve esserci....ora è troppo tardi." Come dire: un figlio ha diritto di avere un padre presente, che intuisce e anticipa certi drammi, frutto della libertà di ciascuno di noi.
La rabbia di Vanessa
Alla telecronista Rai Elisabetta Caporali, la ginnasta azzurra Vanessa Ferrari non nasconde la sua rabbia, né si consola. Ha saputo di essere arrivata quarta nel corpo libero a Londra, terza a pari merito ma qui hanno deciso che non ci sono i pari merito, forse per risparmiare medaglie, e non so con che criterio hanno dato la precedenza alla russa. Vanessa contesta i giudici, dice che ce l'hanno su con gli italiani. Trattiene a stento le lacrime. Vanessa come Tania: una gran sfortuna.
Gli occhi tristi di Viktoria
La vita è rischio, e quando va male si piange. Confesso la mia simpatia per la ginnasta russa
Viktoria Komova (in foto), e mi spiace molto che oggi sia caduta alla trave, perdendo la possibilità di vincere un'altra medaglia. Ma ho notato che gli occhioni di Viktoria, ginnasta elegantissima, sono spesso tristi, anche quando le cose vanno meglio. E mi spiace, perché leggo nei suoi occhi il prezzo che paga ogni atleta di altissimo livello, per conquistare una medaglia olimpica. Il prezzo che paga per regalarci spettacolo, quindi emozioni. E allora ogni volta mi chiedo se sia giusto. I grandi occhi tristi di Viktoria guardano anche me.
Epke e Fabian
Mai ho visto esercizi alla sbarra di così alto livello, mai una finale olimpica alla sbarra così appassionante, e soprattutto sono contento perché il primo e il secondo posto sono andati a due nostri 'vicini di casa': oro all'olandese Epke Zonderland (foto in alto) e argento al tedesco Fabian Hambuechen (foto sotto). Hanno rischiato, gli è andata bene. La vita è rischio, e se va bene il rischio fa bene alla salute.
Il racconto del mercoledì
il piccolo lago di Monate
agosto
E’ una bugia. Se vi dicono che si può
capire la sofferenza, senza provarla, non date retta al mentitore. Anch’io lo
credevo, e m’immaginavo gli stati estremi, il dolore più intenso, il patimento
più irrazionale, poi un mal di denti mi metteva sull’avviso: schiacciato a
terra come un verme. E per un mal di denti.
E’ una bugia, eppure lo stesso
guardatemi: in carrozzina, paralizzato. Non mi resta che poter muovere il capo,
ciondolare la testa nella speranza che qualcuno me la tagli, con mano ferma.
Non posso neppure togliermi la vita.
E lo vorrei fare adesso, anche adesso (ho pensato ad
ogni strategia per andarmene perché il pensiero, purtroppo, è sano), adesso che
mi hanno portato ai piedi del lago di Monate. Sulle sponde del mio lago.
Dopo lunghi anni, questa mattina,
ritagliata in un agosto caldissimo, ho detto a chi mi assiste: “Mi portereste
al lago di Monate?”
Mi ha guardato, la badante, con occhi
caritatevoli e puliti: “Andiamo…Come lei desidera.”
E sono qui. Ma sono anche, soprattutto
a quegli anni, quando qui ci arrivavo in bicicletta, nei pomeriggi di giugno,
di luglio, d’agosto. O verso mezzogiorno. Un piacere soprattutto agostano, dopo
aver già goduto mare e montagna, località turistiche lontane da Varese, dopo
aver scoperto (in verità riscoperto) che la nostra terra non ha davvero nulla
da invidiare alle altre. Una presa di coscienza quotidiana, ma che si riaccendeva
soprattutto in agosto quando, a metà del pomeriggio, dopo la pennichella e
qualche pagina di un buon libro, saltavo sulla dura sella della palmerina e
giù, dentro le fauci accaldate del Sasso di Gavirate. Talvolta pareva di
infilarsi davvero in un forno, la qual cosa accresceva la voglia di lago. Da Gavirate
a Bardello (e lì, in principio alla salita, sopra un tetto, leggevo la temperatura,
nel 2003 addirittura trentotto gradi), poi Biandronno, poi a destra per Faraona
(dove aveva trascorso la fanciullezza la sciüra Roselli, ma immagino che questo
interessi poco), quindi a destra per Travedona-Monate, infine a sinistra per il
piccolo lido.
Mi tuffavo e nuotavo; mulinavo le
braccia e godevo di quell’amplesso con le acque; battevo i piedi e, nel ruotare
il capo per respirare, respiravo anche il bello delle rive, del cielo, delle
ninfee, delle ville, dei piccoli moli, dei varesotti che sguazzavano, dei
varesini che si tuffavano, che remavano, che windsurfavano, che zampettavano a
mollo, per sconfiggere la calura, a basso prezzo ma con invidiabile panorama di
contorno.
Tralascio la narrazione del ritorno,
anche se il Sasso, in salita, nel caldo e dopo oltre mezz’ora di nuoto (un’ora,
se affrontavo la traversata Monate-Cadrezzate e dietrofront) spremeva i
quadricipiti femorali. Tralascio quelle pedalate, ma non posso tacere che, per
un incidente vergognoso per la sua banalità, i miei quadricipiti si sono
prosciugati, il ventre è tondo e gonfio, le braccia sono due fili, ho solo,
contratti, i muscoli del collo, e più sopra una testa che vorrei comprimere
sino a far scoppiare.
Sì, non ho vergogna ad ammetterlo: in
questa pozza, oggi, vorrei annegare, potendolo. Dico pozza anche se il lago è
sempre uguale ad allora, non è inquinato, ci sono bagnanti, il verde è verde, i
pesci ci sguazzano, le barche e i pedalò lo solcano. Ma per me è una pozza,
perché l’occhio, appannato dalla menomazione, non vede più.
Sollevatemi e buttatemi in acqua, per
dio!
…Eppure non mi lascerei morire. Non
darei all’ultima nemica la soddisfazione di succhiarmi via dal mondo così,
senza dover penare un poco. Niente resa alla falce, piuttosto resistenza sino
al sibilo nell’aria, al colpo che trancia.
Non potrei salvarmi da solo, certo,
andrei giù come un sacco di letame, ma in quella frazione di secondo, avrei
nostalgia del bello che è il lago di Monate, ritroverei il gusto della vita,
avrei forse il tempo di un urlo, sentirebbero, accorrerebbero, mi
riporterebbero a riva.
Invoco il suicidio ma –mi conosco-
tratterrei le mani di chi, impietosito dalla mia pena, avesse scelto di farsi
complice di quel tuffo. Urlerei: “No, per dio, no, aspetta, che diamine t’ha
preso, rimettimi seduto!”
Posso vedere. M’è dato, comunque, di
ammirare. Non m’è negato il dolce dello sguardo che accarezza il bello.
Abitassi a Quarto Oggiaro l’avrei già
fatta finita? Forse sì o forse no. Ci sarà almeno un albero, un giardino, un
fiore, un’ape, un tramonto decente a Quarto Oggiaro.
Ma un varesino non può finire nel lago
di Monate, sapendo che non può più nuotare.
Quell’acqua santa lo butterebbe fuori,
lo sputerebbe alla vita, ammonendolo per una fretta ingiustificata.
Sono qui, in carrozzina, solo. La mia
assistente è andata a bersi un caffè.
L’acqua s’allunga sino ad accarezzare
le ruote.
Avanti, indietro, avanti, indietro.
I miei occhi guardano e si convincono:
c’è tempo.
questo racconto è già apparso sulla rivista Menta e Rosmarino luglio 2012
Ricordi da medaglia d'oro
Tutti noi abbiamo ricordi particolarmente intensi, episodi che riportati al presente ancora ci struggono, ci fanno provare quella sensazione che tutti hanno presente. Per me alcuni ricordi da medaglia d'oro sono legati alle dolomiti, in particolare a quelle della Val Gardena (in foto, il Sasso Lungo e il Sasso Piatto), e in particolare all'anno 1974, periodo dal 30 luglio al 17 agosto, ma più ancora nel dettaglio dal 30 luglio al 4 agosto, forse 5 (esattamente 38 anni fa!) , dove si sono uniti il mio amore per le montagne e i primi innamoramenti forti. Un mix incredibile. Le immagini sono nitide, i profumi sono sotto il mio naso, le parole ancora suonano, chiudo gli occhi e sono lì, in quell'Hotel, con quegli amici, quella ragazza di soli 15 anni, io 18 anni, età stupenda e terribile.
Umana fragilità
Il primo sentimento che provo nei confronti di Alex Schwazer è la pietà. Immagino i sensi di colpa prima di arrivare alla decisione dell'epo, forse è stato anche mal consigliato, ma soprattutto immagino oggi il senso di vergogna, il rimorso.....ha tutto il mondo contro...piangete con chi è nel pianto, dice il Vangelo. Posso immaginare cosa sta passando. Rispetto poi alla sorpresa, giunta ieri di fronte a questa notizia, credo alla mia età di essere abbastanza pronto e abituato a simili colpi di scena...diciamo che ci sono persone dalle quale te lo immagini di più e altre per le quali sei più disposto a mettere la mano sul fuoco. Alex faceva parte della seconda categoria, ma come si sa, la prima impressione può ingannare. L'uomo è un mistero, e in genere sa fingere bene. Infine la questione epo. Come ha detto ieri il giornalista Rai, amico di Alex, Franco Bragagna, perché l'epo, che si scopre con facilità? Se uno deve peccare, che lo faccia bene, ci sono sostanze più sofisticate, che sfuggono ai controlli. Ingenuità? Non so che dire. Oggi Alex è in ginocchio, starà a lui dimostrare che ci si può rimettere in piedi e si può tornare a camminare a testa alta.
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