mercoledì 4 aprile 2012

Corrono veloci i giorni


Corrono svelti i giorni, come acqua impetuosa che cerca la valle. Ho sempre pensato che fosse un bene questo transitare rapido dalla mattina alla sera, perché quando si soffre il tempo non passa mai. Eppure stasera questa fretta del tempo mi pesa. Mi sento preso per mano come un bambino, sospinto nella corsa da una madre impaurita.

Le due felicità


Ci sono almeno due tipi di felicità, che vorrebbero essere simili ma in realtà sono molto differenti. Una è la felicità spontanea, naturale: uno si alza al mattino ed è felice, a volte non sa nemmeno il perché oppure lo sa. L'altra è la felicità indotta, 'forzata', voluta perché non vi sono in apparenza motivi per non esserlo, perché le cause della nostra tristezza sono ridicole, banali, non meritevoli del nostro umore nero. E allora ci si sforza di essere felici, a volte ci si riesce altre no, ma non è mai una felicità bella come quella del primo tipo. Come quella che genera, ad esempio, da un abbraccio d'amore.

Prova di coraggio


Ogni tanto ai miei alunni, soprattutto quando insegno loro il salto in alto o la corsa ad ostacoli, dico loro: 'Su, questa è anche una prova di coraggio, e io valuto anche il coraggio!' E faccio bene, perché il coraggio è essenziale nella vita. Chi si tira sempre indietro, chi non rischia mai, chi si fa dominare dalla paura vive male ed è sempre costretto ad accontentarsi del meno peggio. Anch'io, a volte, anche oggi, a dispetto dell'età, ripeto a me stesso: 'Su, avanti, è una prova di coraggio!'

Il racconto del mercoledì


EGO TE ABSOLVO

Entrò in chiesa e si diresse subito alla sua destra, nel primo confessionale. Si sedette. Contò coloro che erano in attesa dell’assoluzione: sette. Si alzò, andò al confessionale vicino all’altare, erano solo cinque, si fermò. Arrivò una vecchia bigotta (gli venne di chiamarla così) che si sedette davanti a lui, lo guardò come per dire: ‘Comunque sono arrivata prima io.’ Provò una rabbia immotivata e feroce, si alzò per controllare meglio la situazione, attese con impazienza che i cinque aventi diritto espletassero le pratiche della confessione cattolica, lasciò che la vecchia gli rubasse il posto ma si tolse la soddisfazione di dirle, fra i denti, quando uscì: “Sa che lei è una gran cafona?” Raccolse il suo: “Maleducato…sì, fa proprio bene a confessarsi, confessi anche questa...” e finalmente si inginocchiò davanti alla grata.
Sentì odore di visi altrui, di fiati altrui, di punte di naso contro il ferro bucherellato, di peccati, secoli di peccati, tanti quant’era l’anno di edificazione della basilica della sua città.
Si aprì lo sportellino. ‘In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti’ disse il prete. Lui fece il segno della croce e partì, a voce controllata: “Confesso che non comprendo il senso del cartello che avete appeso fuori dal confessionale.” E continuò: “Che senso ha scrivere NON SI CONFESSA DURANTE L’OMELIA. Avrei capito NON SI CONFESSA DURATE LA CONSACRAZIONE. In questa chiesa contano di più le riflessioni del celebrante rispetto al mistero del pane che si fa corpo di Cristo?”
Con una velocità di risposta che lo sorprese, il prete disse: “Ho l’impressione che sia partito con il piede sbagliato.” E aggiunse: “Comunque io non c’entro con quel cartello, e convengo che ha ragione. Ma parliamo di lei.”
Spiazzato prese fiato, pensò e decise di continuare per la sua strada: “E allora le confesso che non comprendo il senso della confessione. Sa qual è la frase più bella della Santa Messa? ‘Signore, non sono degno di partecipare alla Tua Mensa, ma dì soltanto una parola e io sarò salvato.’ Che senso ha che io racconti a lei le mie colpe? Dio sa, conta l’intenzione, il pentimento, la consapevolezza, il bisogno di ricominciare...tanto, cosa crede, che la gente le viene a raccontare tutti i peccati? Raccontano ciò che ritengono giusto raccontare. Certi peccati sono impronunciabili anche per chi li commette. Vuole che vengano a dirli a un prete? Confidano nell’amore di Dio. Perché questa falsità? Dio, se davvero esiste, conosce, quindi lasciamo fare a Lui.”
Era infervorato: “Ora mi dirà che quella parola che dovrebbe pronunciare Dio, la frase che le ho citato prima, ma dì soltanto una parola, ricorda? Ecco, mi dirà che quella parola dovete pronunciarla voi al posto di Dio, perché voi ora, lì dentro, al buio, siete Dio. Spetta a voi ascoltare la nostra pochezza e dare l’assoluzione, voi, tramite sacro fra la terra e il cielo. Oppure farà appello al mistero, che tutto avvolge, o ci si crede o non ci si crede….Oppure, se vorrà far leva sulla mia vanagloria, dirà che non sono per niente umile, che mi permetto di giudicare millenni di cammino ecclesiale, che non so obbedire all’autorità……che in realtà non sono affatto nel clima spirituale necessario ad una confessione….mi dirà di tornare domani, di pregarci su, oppure mi proporrà di diventare il mio direttore spirituale, così saprà spiegarmi la faccenda punto per punto…..oppure lei in questo momento sta già pregando per la mia anima, evidentemente turbata….oppure farà cigolare lo sportellino, chiuderà la comunicazione abbandonandomi alle mie domande, dopo aver concluso che sono un caso disperato….in realtà io ho bisogno di perdono, tremo alla mia debolezza, desidero parlare perché il mio limite mi scoppia dentro, perché vorrei che qualcuno raccogliesse il mio pianto…forse per questo non mi basta un Dio lontano, forse ho bisogno di sentire l’odore di questa grata e il profumo di una presenza di carne….di un uomo come lei, che però non parla, tace, ascolta nell’ombra, come un ladro…..curioso di sapere come andrà a finire…..ma lei lo sa bene come andrà a finire….che sono come un fiore che al mattino fiorisce e alla sera è già secco..lei mi deve dire che questa sera non arriverà mai…Perché dentro ho un gomitolo di insoddisfazione che non si srotola, cresce e mi soffoca…manca l’aria, mi capisce? Manca la prospettiva, il senso di questo viaggio malinconico….voi la chiamate valle di lacrime….mio Dio, dica qualcosa….vuol sentirmi piangere? Lei non mi vede ma sto già vomitando lacrime…..”
Silenzio. Respiri d’affanno di qua e di là della grata.
“Ego te absolvo a peccatis tuis, in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti, Amen” disse il prete. “Un Pateravegloria, ma so bene che la penitenza è accettare di camminare ancora, dove altri hanno deciso per noi. E non pianga. Io sono messo peggio di lei.”