mercoledì 16 novembre 2011

Autunno

La foglia, rinsecchita, se ne va con un sorriso.

Amor, ch'a nullo amato amar perdona

Qualche anno fa, intimorito per presunti cali di memoria, ho imparato a memoria tutto il V Canto dell'Inferno, ma questo i miei lettori già lo sanno. Aggiungo qui che consiglio a tutti, ai 'vecchietti' come me in particolare, di imparare a memoria un canto della Divina Commedia, meglio se il V canto dell'Inferno, perché è stupendo. E parla d'amore. Ci vuole molta pazienza, ma ce la si fa. Ed è un regalo per tutta la vita. Oltre che una prova di efficienza mentale. Per una strano blocco, non so perché, non riesco mai a ricordare il significato del verso forse più importante del Canto: Amor, ch'a nullo amato amar perdona e così stamattina sono andato a rileggere la nota. Amore che non tollera (perdona) che chi è amato non riami.

Adultescenza

E' uscito un libro dal titolo 'Adolescenza e adultescenza'. Si parla di adolescenza ma anche della difficoltà degli adulti di assumersi le responsabilità dell'età, con fughe frequenti e inopportune verso adultescenze poco dignitose. Eppure la tentazione è grande. Ogni mattina, guardandomi allo specchio, dico all'adolescente che è in me: 'Ancora lì? Ma mi hai osservato bene? Ma per piacere...' e lui, dopo la mia sgridata, da bravo adolescente, scappa in camera sua, sbatte la porta, mette la musica a palla...e sogna.

IL RACCONTO DEL MERCOLEDI'

IL REGGISENO

Ed ora la curava.

Dopo essersi lavato con estrema cura, liberato di una barba di non molti giorni -per lei assai fastidiosa- dopo essersi disteso sopra la coperta, dopo aver leggiucchiato distratto qualche pagina di un libro di racconti di Juan Garcìa Hortelano e sfogliato il quotidiano; dopo essersi rialzato per completare l'ultima minzione; dopo aver ridotto la luminosità della camera da letto, buttato all'indietro coperta e lenzuolo, messo in forma il cuscino, osservato distratto un quadro della Madonna di Loreto e pregato per consuetudine, s'era infine lasciato andare, con l'ombelico rivolto al soffitto, stanco, non appagato, con fili di pensieri e di immagini avvoltolati in lui come cavalli di frisia.

E l'attendeva, curando ogni sua spostamento.

Ora sostava in cucina. Sfogliava la rivista, e nella quiete della mezzanotte le pagine patinate possedevano una loro voce. Avrebbe scaldato l'usuale bicchiere di latte più due cucchiaini di miele, tiepido al punto giusto? Con buona probabilità sì.

No, s'era alzata, aveva lanciato la carta e le foto a colori sopra il calorifero, ma...In bagno? Già in bagno?

Si voltò sul fianco destro e si sfiorò tutta l'ansia di quell'attesa. Ebbe conferma che era scivolata proprio in bagno, quindi una decina di minuti e si sarebbe distesa al suo fianco. Ma il secondo clic della luce (il primo era servito per illuminare il piccolo locale) giunse troppo alla svelta. Era ancora vestita. Peggio: non ne aveva voglia.

Intuì che aveva spento anche la luce della cucina ma era corsa in sala. Corsa, quella sua corsetta a piedi scalzi, sulle punte, come una farfalla: di quando in quando la praticava per regalare al suo corpo l'elasticità e la leggerezza che qualche anno prima poteva vantare senza dover corricchiare per casa come una maniaca; passo dopo passo, rischiava di radicalizzare un comportamento, scivolando nel patologico.

Era corsa in sala. Televisione? I suoi timori si materializzarono nello sfrigolìo dell'immagine da video. Si girò con disappunto sul fianco sinistro. Resse non più di un minuto. Altro cambio di posizione: prono, e in aggiunta il disagio del primo caldo. La sua prospettiva, stante i fatti, era di addormentarsi perché se aveva acceso la tele, dubbi non ve n'erano. Caso mai l'avrebbe svegliato. Caso mai...

Non fu facile per lui rassegnarsi, quietarsi, accettare di dover dipendere dalle sue voglie, sempre, immancabilmente; non fu semplice né immediato. Ci volle il tempo di uno zapping prolungato, nervoso.

Ora il malcontento vagolava in lui con meno rabbia e più speranza, meno rimpianto e più attesa di qualcos'altro quando lei schiacciò il tasto rosso del telecomando. Fu subito buio in sala, semibuio in tutto l'appartamento; restava accesa solo una lampadina-spia in camera. Per assenza di luce lei non potè correre ma i suoi passi, mai pesanti, aumentarono le frequenze sino in bagno. Luce accesa e la trafila della toilette, che poteva durare dai tre minuti al quarto d'ora. Dipendeva dalle proiezioni sul futuro. Lei smorzò la luce dopo un tempo brevissimo, al che lui tornò sul fianco destro, fingendosi addormentato.

Dormiva ormai, ma bastò che lei gli accarezzasse, con i suoi, i piedi, per ridestarlo. Che significato poteva avere quel gesto di tenerezza? Come andava tradotto? Leggendo tutto il prologo, i preparativi, lo scorcio di vita sul quale aveva investigato disteso sul letto, come avrebbe dovuto reagire? Era davvero, solo, una buona notte scandita coi piedi? O non piuttosto un buon giorno, un garbato ed eccitante invito a voltarsi sul fianco sinistro?

Prese tempo. Ricambiò le carezze senza voltarsi, con levità, curando di non farle dei graffi con le unghie, certo non curate come le sue. Lui stava leggero e lei appesantiva la carezza, e saliva, dalle dita alla caviglia, su e giù, con lentezza e profondità. Lui rispondeva, eseguiva un obbediente controcanto, ma era lei la voce solista. E il suo piccolo piede saliva, scendeva, s'arrampicava sulla parete della tibia, in vetta al ginocchio, sopra la coscia. E lui resisteva sul fianco, con gli occhi socchiusi, col cuore in festa.

Perché se ne stava lontana, discosta, dialogando con le sole estremità?

E saliva, lo cercava con l'alluce smaltato di rosso corallo, sfiorava e mutava respiro.

Volle sorprenderla. D'un colpo mutò posizione, se la strinse sul cuore. La sentì subito nuda.

Reclinò il capo, corse ai seni, ai capezzoli già gonfi. Li sfiorò con le labbra, l'uno e l'altro, veloce, sempre più veloce. E poi con piccoli morsi, e baci profondi su quei seni minuti che ora raccoglieva nella coppa delle sue mani.

"Ti amo. Ti amo. Ti amo" era il canto di lui, ritornello che scandiva le pause delle strofe del suo corpo senza vergogne, che pretendeva e attendeva, inesausto.

"Ti adoro, piccola" e altri baci: sulle labbra, sui capelli, e morsi alle orecchie, al naso, e baci sul collo e sui piccoli seni, che avrebbe potuto inghiottire, ubriaco d'amore.

"Sei tutto, tutto, tutto..." ripeteva nel silenzio di lei, che ascoltava e reagiva col suo corpo piccino e perfetto.

"Amore, mio, mio mio...amore" e lunghe carezze sui fianchi, e lei fremeva di solletico e di gioia, e lui ancora, più in basso e baci, a cercarla. Toccò il centro di lei col suo centro, sino a raggiungerla.

Supini, proni, e supini e proni, nel gioco più antico.

E la baciava come impazzito, su ogni lembo di quella pelle di broccato e di seta, su quel corpo mai domo e mai pago, corpo che lui ora temeva, che mai avrebbe voluto deludere. Doveva pensare, quando avrebbe voluto annegare in quel mare.

Lei, muta, dialogando a sospiri e a silenzi, lo curava, ora immobile, esausta, ora viva, irrequieta, smentendo le pause e la paura di lui che l'amore potesse troncarsi anzitempo, non oltre la linea della vittoria. E non importava che potesse finire dentro una gioia già delusione. Tutto doveva compiersi, sino all'estrema rapina di un fiotto di piacere, sino all'ultima, sapidissima goccia.

E ogni gesto trovò il suo compimento.

Lui dormiva. Lei vegliava, nuda, senza comprendere perché l'avesse lasciata tanto in fretta; mai più avrebbe immaginato che già s'era assopito, e profondamente.

Forse solo per farsi servire, pigra d'amore, o forse per la nostalgia di un corpo e di un'anima, lo chiamò, sfiorandolo al fianco: "Dormi?"

Un istante di pausa, quindi un "No" inventato di getto.

"Scusa, il reggiseno, lì dalla tua parte.

Sbuffò contro il buio, tastò sul marmo gelato, raccolse. "Tieni" le disse, col desiderio assonnato d'apparire gentile.

Il soffio di noia non le sfuggì.

Ma lui, nuovamente, dormiva.

questo racconto è tratto dalla raccolta 'Fax d'amore' (Carlo Zanzi - Pietro Macchione editore 1998)