sabato 3 novembre 2012

Quel giorno che tremò la notte 17


DICIASSETTE

Romano riprese conoscenza. Cercò di aprire gli occhi. Entrò terra. Li richiuse. Sentiva lo scarto più sottile del terremoto sfregare contro il bulbo, pungere. Non poteva muoversi, non poteva usare le nocche delle dita, anche di una sola mano, nel gesto di sfregarsi gli occhi, per liberarli da un corpo estraneo che infastidisce. Cercò un respiro più profondo ma altra terra entrò in bocca, tentò di buttarla fuori con la lingua, sentiva il sapore del mattone, del sangue, dei suoi denti. Riusciva a compiere piccolissimi respiri: aumentarono, moltiplicati dall’angoscia. Era incastrato sotto al letto. Non poteva aprire gli occhi, ce la faceva solo a spostare per pochi centimetri il capo, sfregando il mento contro il pavimento. E Roberta? Non riusciva a chiamarla, non la sentiva, nella testa gli girava un ronzio continuo.
Urlò dentro di sé tutta la sua paura, la rabbia per averla portata in quella tana, il terrore che fosse morta e che sarebbe morto anche lui. Non avrebbero avuto scampo. Minuti, ore e la fine di tutto. Voleva morire subito. Aveva freddo. Il suo corpo era dolore e angoscia. Si sentì svenire, soffocare, non c’era più fiato, non riusciva a sentirselo dentro, a soffiarlo fuori. Gli parve di sentire voci e rumori di passi sopra di lui, tegole che si muovevano. Tornò il silenzio. 

                                                                            17 - continua