lunedì 2 gennaio 2012

Fausto il grande


Il 2 gennaio del 1960, a soli 41 anni, moriva Fausto Coppi, il campionissimo. Non posso non rendergli omaggio con questa breve nota. Guardando oggi un servizio su di lui, con immagini ormai note, ho notato ancora una volta che secondo me la posizione in sella di Coppi non era -come da tutti esaltata- molto elegante. A mio avviso (ma era un 'difetto' di tutti i corridori di allora) il sellino era troppo basso, la gamba non riusciva ad estendersi completamente, il corridore appare piuttosto 'schiacciato' sul sellino. Altra cosa è quando Fausto Coppi si alzava sui pedali (ma lo faceva mi pare piuttosto raramente, preferendo anche sulla salita dura la posizione seduta), allora sì che l'airone apriva le ali!

Tante piccole tessere di mosaico


Ho letto sul Corriere di oggi alcuni passi del libro autobiografico che don Verzè ha completato prima di morire, e che presto sarà nelle librerie. Una era la sua convinzione: lasciare alla sua morte un mondo diverso da come l'aveva trovato. Diverso, cioè migliore, in base ai criteri di Cristo. E così ha sempre operato, lasciando in eredità una struttura ospedaliera all'avanguardia, a prezzo -scrive il sacerdote manager- anche di grandissime sofferenze, soprattutto negli ultimi mesi della sua vita. Anch'io vorrei lasciare un mondo più bello, dando il mio contributo, ma ho pensato che non sono il tipo che riesce ad incanalare le sue potenzialità dentro una sola meta. Faccio mille cose, mille rivoli che si disperdono, ma sono fatto così: ho bisogno di cambiare, non mi specializzo, segue diverse strade. Spero di lasciare allora tante piccole tessere di un mosaico, e forse qualcuno saprà rimetterle insieme, scoprendo il disegno che ci sta dietro.

Potrà mai bastare?


In questo periodo della mia vita (come una ventina di anni fa) entro a contatto una volta alla settimana con la realtà drammatica del ricovero per persone anziane. Ieri ho assistito ad uno spettacolo musicale, organizzato da un gruppo folkloristico (foto), immagino di fratelli ucraini, per regalare agli ospiti un po' di distrazione e di gioia. Ascoltando i suoni di quelle terre lontane, ben eseguiti, mi chiedevo: 'Ma potrà mai bastare questa musica per alleviare il dramma della vita che si spegne?' E la risposta è una sola: no. Guardavo i degenti: quelli che capivano mostravano un cenno di sorriso, battevano anche le mani, ma dentro? Non mi permetto di giudicare, ma la disperazione per quell'esito certo si tagliava con il coltello.

Bisognerebbe


Bisognerebbe edificare un monumento, quanto meno innalzare una cattedrale a quelle persone che ci aiutano a crescere nella qualità della vita. E vi è una sola qualità desiderabile: la capacità di amare. Che non è una conquista d'intelletto, per la quale basterebbero i libri. Che non è uno sforzo morale, un impegno quaresimale, una meta sofferta. La capacità d'amare è avvertire la totalità di ciò che siamo che sente la vita e corre verso un compimento, un'unione, un dono di sé.