mercoledì 7 settembre 2011

Per fortuna

e poiché dopo tanti anni di vita non mi piace guardare la mia faccia, evitai lo specchio di fronte a me, alzai gli occhi e li lasciai vagare sul soffitto bianco macchiato.

(Milan Kundera Lo scherzo p 18)

E' proprio così. Però una notizia giunge a consolarci: gli altri hanno una visione più positiva di noi, rispetto a quella che di noi abbiamo noi stessi. E' abbastanza intuitivo: chi conosce meglio di noi i nostri difetti? Chi si è guardato per anni e anni allo specchio con attenzione meglio di noi? Gli altri, benché osservatori attenti, non avranno mai la nostra percezione, quindi in genere sono più benevoli nei nostri confronti. Per fortuna. Questo è consolante e dovrebbe regalarci un po' di autostima.

Auguri, Nicoletta

Tanti auguri, cara Nicoletta.

IL RACCONTO DEL MERCOLEDI'

IN BILICO

La sua richiesta mi ha stordita.

“Devo parlarti. Hai cinque minuti?”

Me l’ha appena chiesto. Ecco perché i bambini sono rimasti a cena dai nonni. Mi suonava strano quell’invito. Ha organizzato lui. Voleva la nostra solitudine.

Mi ha fatto cenno di seguirlo in sala, probabilmente sul divano. Gli vado dietro.

Penso che l’abbia scoperto.

L’ansia ti scoppia dentro, non la controlli. Senso di nausea, il cuore pompa veloce, ti mancano la saliva e le parole. Come ha fatto a scoprirlo? Lo sapevo, lo sapevo, ogni precauzione non avrebbe retto a lungo. Non so dove abbiamo sbagliato. So che lo sa.

Ho un niente per decidere. Siamo già seduti sul divano. Lui, mio marito, si rialza, prende il telecomando e fa zittire la tele.

Prendo tempo: “Scusa, spengo la luce in cucina.” Mi alzo, sto male, non credo di arrivare sino all’altro locale. Mi appoggio ad una sedia nel corridoio, vorrei sedermi lì, vorrei aprire la porta e scappare, vorrei trovare parole che non ho. Mi basterebbe la calma, ma l’ansia mi brucia dentro. Non ho capacità decisionali. Non sono in grado di trovare alcuna soluzione. Forse mi metterò a piangere, che è come dargli ragione.

“Bevo un bicchiere d’acqua” gli urlo a tre locali di distanza. Avrà sentito? Ho bisogno di rinfrescarmi la gola. Dove l’errore? No, cazzo, non è quello che interessa adesso…ammettere o non ammettere, confessare o mentire, o dire e non dire, minimizzare. Sono in biblico e devo far presto. Già questa mia prima reazione è sbagliata. Avrà capito? Avrà raccolto conferme?

“Arrivo” ma la voce s’azzoppa, è stridula, falsa. Come me. Ora ho solo la lunghezza di un corridoio per decidere di una vita insieme. I figli, lo devo fare per loro. Mentire per loro. Che faccio? Che dico? La mia faccia dice già tutto. E’ finita. Sono sul ciglio del baratro: se ammetto sono nel vuoto. E muoio. E se l’ammissione fosse cadere dalla parte della terra, la menzogna il volo e la fine? Ma non ho tempo. Non me l’aspettavo, stasera no. Pensa che bello se non avessi fatto nulla? Stronza, lo sapevi, lo sapevi e l’hai fatto…..Il corridoio è finito, non ho altre scuse, non ho più luci da spegnere, non ho acqua da bere ma la gola è secca. Sudo, puzzo da far schifo. Capirà subito. Glielo dico, glielo dico…seguo l’istinto, come è stato con l’altro, parlo e che sia finita, mi libero, rischio per davvero, sarà difficile all’inizio ma si risolverà, torneremo come prima, meglio di prima…ma tremo, non saprei mentire, anche se sto zitta ho già parlato, tutto ma non è uno stupido, infatti ci ha scoperti…ecco, entro in sala, gli sputo addosso la verità: “Senti, lo so…”

Ma che fa? Trovo mio marito seduto, è piegato in avanti, un cuscino sotto lo stomaco, la testa nelle mani. Singhiozza, piange.

“Ma che c’è stasera?” e intanto mi siedo. La mia domanda è cattiva, se la prende con la vita, che ci ha creato pieni di tagli. Feriti. Infelici.

Mio marito piange e resta a testa in giù. Gli accarezzo i capelli. E’ un gesto spontaneo, non saprei fare altro. Il suo pianto chiama il mio. Gli bacio i capelli. Le mie lacrime gli scivolano addosso.

Lo chiamo per nome e sto per risolvere la questione. La verità potrebbe anche essere meno dolorosa del previsto. Un pianto liberatorio, la verità una volta per tutte, la risalita.

“Non fare così…” ma lui si rialza. Mi abbraccia. Sento le sue lacrime sulla mia guancia. Mi chiede un fazzoletto. Glielo porgo.

“Scusami…” dice.

Non ho concluso la frase. Ho il presentimento di aver evitato il peggio.

“…è tutto finito…ora…..c’è stata un’altra.”