martedì 10 luglio 2012

Il racconto del mercoledì



FRA IL PRATO E IL CIELO
Camminava sopra un prato, nell’ora quieta della sera. Solo. L’erba era ben curata, lo invitava a sdraiarsi. Così fece, dopo aver saggiato con la mano il grado di umidità. Il prato era fresco, non bagnato. Si distese, guardandosi attorno. In lontananza una coppia camminava lentamente, forse mano nella mano. Erano troppo distanti per giudicare il suo modo poco elegante di affrontare quell’ora del giorno, sdraiato a terra, come un barbone. Si accomodò, dovette compiere alcuni movimenti di assestamento, un sasso lo infastidiva all’altezza della scapola destra, una zolla più alta premeva sull’osso sacro. Mise le mani dietro la nuca, come per un esercizio ginnico alle spalle, e guardò il cielo. Solo azzurro, un soffitto uniforme, senza veli di nuvole. Pochi moscerini gli volarono vicino agli occhi. Si rilassò sotto un cielo liscio come un vetro, ora attraversato da due rondini. Il sole, in discesa ma ancora alto all’orizzonte, indorava i loro corpi sottili nella parte superiore, le ali parevano infuocate. Arrivarono le formiche a disturbare, due, tre quattro sopra il braccio nudo, un pizzicore irritante che lo obbligò ad alzarsi, a scacciarle, a schiacciarle con poco garbo. Decise che quel disturbo era sufficiente per rimetterlo in piedi. Pensò che sarebbe stato in grado di sopportare quella natura poco accogliente, che avrebbe resistito e si sdraiò di nuovo, ricercando e ritrovando in pochi attimi la comodità del suo punto d’osservazione. Cercò di rilassarsi al meglio, di allentare ogni contrazione, accompagnando quella mollezza con ampi respiri. Sentì lo zampettio di altre formiche ma riuscì a dimenticarle alla svelta. Tutto riusciva ad annullare, non i pensieri. Chiuse gli occhi immaginando il cielo sereno e pensò alla potenza dei ricordi. Alla loro bellezza. E  un ricordo piacevolissimo planò in quel prato come un aliante. La memoria di quei fatti li depurava da ogni scoria lasciata dalla realtà e li riconsegnava con una purezza rara. ‘Mio Dio, che bello!’ e rivedeva e rigustava e cercava di trattenere ogni sequenza, come un bimbo che gusta il gelato per non farlo finire. Ma al colmo del piacere salì uno struggimento violento, inatteso eppure già sperimentato. I ricordi parlavano di fatti irripetibili, lontani ma vivi come fossero su quel prato, a quell’ora, lì; il piacere lasciò spazio al dolore, un malessere profondo, insanabile. Quella gioia non sarebbe mai più tornata, il ricordo era il più vendicativo degli amici, un mentitore che vende felicità avvelenata. Cercò allora la sola medicina, la dimenticanza. Scappò dai ricordi come un ladro, come se quelle immagini si fossero trasformate in bestie feroci, pronte ad inseguirlo per azzannarlo, per finirlo fra i tormenti. Cercò di distrarsi, risentì il pizzicore degli insetti, capì che un tafano si era posato sopra lo stinco e lo scaccio alla svelta. Troppo tardi. ‘Mi ha già punto quel bastardo!’ disse, sfiorandosi la pelle irritata.
Era dunque quella la vita? Ricordare e dimenticare? Ricordare per vivere, dimenticare per non morire, come l’onda che va e che viene, come il cuore che si contrae e si distende, che soffia e prende fiato, che regala il sangue al corpo  e subito si ritrae, per paura di avere esagerato?

Paolo, il re della mtb

Tanti auguri, caro Paolo (a sinistra), re della mtb, anche se quando siamo saliti insieme al Campo dei Fiori (tempo fa) 'cavalcavi' una bellissima bici da corsa. Quando hai voglia di tornare in alto, al cannoncino, io ci sono.

Grazie, Carlo


Stamattina andando a scuola ho avuto la gradita sorpresa di un regalo. I regali non sono mai in esubero. Soprattutto se sono libri. Il mio amico fotografo Carlo Meazza ha regalato a tutti i docenti del corso D della Vidoletti (il corso di suo figlio Pietro, un ragazzo in gamba) il suo libro LOMBARDIA, PATRIMONIO DELL'UMANITA'. I luoghi dell'Unesco (Jaka Book). Un libro fotografico davvero di pregio. E insieme al libro un biglietto: Carlo ringrazia i prof per il lavoro svolto nel triennio. Ed io ringrazio te, caro Carlo. E come ho già avuto modo di dirti, questo non sarà certo il tuo ultimo libro.

Ma tu te la racconti


Alcuni problemi sono risolvibili, ed è giusto darsi da fare per trovare la soluzione, ma altri non lo sono. Ditemi voi come si può risolvere il problema della nostra finitezza e del senso di vuoto che, associato ad essa, ci accompagna. La morte è una grana tosta. Il problema. E allora gli psicologi dicono che 'ce la raccontiamo', cioè falsiamo la realtà, raccogliamo ottimismo dove possiamo, facciamo finta di nulla. Anche Dio, per chi non crede, è una bella narrazione, un racconto edificante.
Ditemi voi: che altro possiamo fare?

in foto: Premio Ghiggini Arte Giovani        utilizzo di un osso come base di lavoro

Un sogno


Dopo il mio post sulla Banda di Velate, mi è arrivata una mail da Enrica Crippa, mamma dell'attuale presidente della banda, un musicista che suona con passione da 32 anni (scrive la signora Crippa) e che avrebbe un sogno: poter inserire ragazzi disabili nel complesso bandistico Edelweiss di Velate (in foto, il campanile della chiesa parrocchiale di Velate). Un sogno positivo e forse nemmeno irrealizzabile. Passate parola.

Tutti i giorni

Uno degli aspetti positivi delle mie ferie è che posso andare in chiesa tutte le mattine, alle 8, a suonare l'organo. I miei soliti 5 brani e mezzo, non riesco a progredire ma nemmeno a  regredire. Uno degli attimi più belli è alla fine, quando termino la Salve Regina e suono contemporaneamente sei note, tengo il suono almeno cinque secondi, una musica potente, metto il massimo del volume e immagino di essere alla tastiera di organi prestigiosi, in una chiesa importante, che so, il Duomo di Milano, Notre Dame, St. Paul (l'immaginazione non ha limiti) poi lascio salire i tasti e il suono per qualche attimo rimane, eco che viene assorbito dal silenzio e dalla penombra. Non c'è mai nessuno in chiesa a quell'ora. Solo un organista meno che dilettante e una musica che se ne va.