mercoledì 24 agosto 2011

Gioia e dolore


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'Quanto più a fondo scava il dolore nel vostro essere, tanta più gioia potrete contenere.'
E' questa una delle intuizioni più note del libro IL PROFETA di Kahlil Gibran, che rassomiglia molto al 'piacere figlio d'affanno, gioia vana che è frutto del passato timore' (La quiete dopo la tempesta - Giacomo Leopardi).
Tutti siamo costretti, nostro malgrado, a passare attraverso l'esperienza del dolore, che ci fa apprezzare la salute, che moltiplica il valore della gioia. E più il dolore scava, più la gioia -frutto del passato timore- sarà esuberante.
Quando una cosa c'è, è scontata; quando una cosa manca, è valorizzata.
Siamo sottoposti al vincolo di un'attesa.
La gioia è desiderio.

Un piccolo regalo

Sebbene in ritardo: tanti auguri, caro Marco. Guarda, ti regalo lo Sciliar: non mi pare poco!

Auguri, Adriano

Tanti auguri, caro Adriano, sherpa della Shalom, guida sicura e conciliante.

IL RACCONTO DEL MERCOLEDI'

Non sono un narratore per ragazzi, ma qualche rara volta mi sono cimentato in racconti per bambini, compreso un romanzo breve, LA SFIDA ELETTRONICA (Sei - settembre 1999). Questo che segue è uno dei miei tentativi di raccontare storie a bambini delle scuole elementari.

Il soffio del desiderio

C’era una volta, e c’è tutti gli anni, il dieci di agosto, San Lorenzo, la notte delle stelle cadenti. Ci sono un padre e suo figlio. Il padre ha un desiderio e sa che può spenderlo bene, perché la notte di San Lorenzo è la notte dei desideri realizzati: il desidero è quello di regalare stupore al proprio bambino.

Anche il figlio ha un desiderio, anzi tanti, o forse nemmeno uno: è annoiato. Già, dimenticavo i nomi: il padre si chiama Claudio, il figlio Mattia.

Papà Claudio vorrebbe fare una proposta al figlio ma senza innervosirlo, perché da qualche tempo Mattia è spinoso come un carciofo.

Claudio si butta: “Mattia, perché non usciamo a vedere le stelle cadenti?”

“Stelle cadenti?”

“Sì, al parco.”

Mattia ci pensa. Ha in mano il cellulare, sta mandando un essemmesse. Pensa poco e dice subito: “Non ho voglia.”

“Dai” insiste papà Claudio.

“Ufff” risponde Mattia. “E poi guardare le stelle mi fa venire il torcicollo.”

“Ma io ti insegno come fare per evitarlo.”

“Come?

“Se vieni te lo spiego.”

Mattia ha dentro il nervoso da ragazzino svogliato. Accende la tele.

“Ma che fai?” dice il padre.

“Guardo la tele.”

“Non vieni?”

“Aspetta…forse c’è…”

“Che cosa?”

“Uffa…è già finito…”

“Dai, andiamo.”

Mattia si alza come fosse un elefante, adagio, pesante. “Però se mi scoccio torno a casa.”

“Certo” promette papà Claudio.

Escono. Fa caldo, siamo nel cuore dell’estate. Claudio alza gli occhi al cielo e manda un piccolo mugugno.

“Cos’hai visto?” chiede Mattia.

“Niente” risponde suo papà.

E allora guarda anche lui, vede piccole luci lontane, e subito il male al collo. Sbuffa.

I due entrano nel parco pubblico, poche centinaia di metri da casa loro. C’è gente, la notte è rumorosa per le voci che si rincorrono, il buio non fa paura. Claudio e Mattia salgono in cima alla collinetta del parco. “Speriamo non ci sia gente quassù” dice Claudio “ma sarà dura, tutti vogliono andare in alto.” E invece sono soli. Strano. Ecco un tavolo e due panchine.

“Bene” dice Claudio. “Ora ti faccio vedere” e si sdraia sul tavolo, a pancia in su. “Così niente mal di collo.”

“Bella forza” dice Mattia, che non può nascondere la sorpresa. La soluzione era facile ma non ci aveva pensato.

“Vieni, ci stai anche tu” dice Claudio.

Mattia si sdraia e proprio in quel mentre arriva una coppietta. Lui dice a lei, con disappunto: “E’ già occupato.” E lei: “Peccato!” Se ne vanno.

Mattia è felice per quel tavolo tutto per loro.

Claudio no, ora può spiegare al figlio il perché del mugugno di prima: “Che sfortuna, stanno arrivando le nuvole.”

Ora le vede anche Mattia, bianche, sottili, veloci. La luna piena le illumina, ma la più villana delle nuvole copre la luna, il buio sommerge il parco pubblico e i tanti visitatori, arrivati apposta per gustarsi le stelle cadenti, annegate ora nella nebbia.

“E se soffiassimo contro le nuvole?” propone Mattia.

Claudio resta stupefatto per quell’idea elementare, fantastica, fantasiosa, meravigliosamente irrealizzabile. “Perché no?”

“Dai, insieme” dice Mattia e dà il buon esempio, prende fiato, pompa la gabbia toracica, gonfia le guance e soffia il suo fiato caldo contro il cielo nero.

“insieme” dice il padre, e cercano di coordinare il tempo dell’espulsione dell’aria.

Incuriosita da quel rumore, la coppietta torna sui suoi passi, vede i due che soffiano e fa lo stesso. Con sorpresa i quattro notano che il loro fiato fa ondeggiare le punte dei pini. Questo li incoraggia, li invoglia a continuare.

“Dai, più forte, più fiato” dice papà Claudio, con voce eccitata.

“Mi gira un po’ la testa” dice Mattia.

“Allora fermati un attimo, riposa, continuiamo noi” dice Claudio.

“Siamo troppo pochi” dice la signorina al suo ragazzo.

“Hai ragione” e allora lui si affaccia verso il grande prato del parco e urla: “Perché non soffiate tutti con noi?” Lo grida al buio e a quelle piccole luci, sono le torce a batteria di chi è venuto a vedere le stelle cadenti e ora se ne sta andando deluso. Le lucine si fermano, disegnano ghirigori nella notte, puntano verso il cielo. E poi è tutto un rincorrersi di ‘sì, soffiamo, tutti insieme, mandiamo via le nuvole dispettose’.

Ora il vento caldo che esce dalle tante bocche fa rumore, come per una tempesta. I pipistrelli fanno planare i loro voli, si aggrappano agli alberi e cominciano a soffiare. Lo stesso fanno i dieci gatti che stazionano d’abitudine nel parco, i cani giunti sin lì al guinzaglio dei loro padroni, i topi campagnoli, molti insetti notturni e persino alcune lucciole, che non si vedevano da tempo in quell’area verde della città.

Si sa che le cicale cantano di giorno e dormono la notte. Svegliate dal soffio potente degli umani curiosi, mutano il canto in piccoli rivoli di fiato, che si uniscono al tutto, piccole gocce in quel mare d’aria diretto vorticosamente al cielo.

Il rumore richiama passanti lungo il viale, corrono preoccupati a vedere, capiscono e si aggregano senza far troppe domande.

“Ecco, guarda ora” dice Claudio al ragazzo. Ha interrotto il suo lavoro, ha fatto uscire da un piccolo zaino un binocolo, che allunga a Mattia. “Guarda con questo.”

“Come si fa?” chiede Mattia. Non l’ha mai usato.

Ci mette del tempo, ma alla fine riesce a fare di due un’immagine sola, punta dritto sopra il tavolo e vede un grande buco nelle nuvole. S’allarga, scavato dal soffio poderoso di uomini e bestie.

“Che vedi?” chiede suo padre.

“Le stelle” risponde Mattia.

“Il desiderio..ricordati il desiderio…aspetta…pazienza.”

Il foro si dilata, più s’allarga più i soffiatori insistono, e fra questi il più scalmanato e proprio suo padre. Così Mattia può vedere un tondo di cielo sempre più sgombro di nubi, può contare sempre più luci. Che, però, non cadono affatto. Piccoli fori d’oro che vanno e che vengono ma nessun bagliore di stella che lascia la scia dietro di sé. E sta per protestare ma si trattiene, pensa al desiderio, le braccia si fanno pesanti in quella posizione, sta per cedere. Ma ecco la coda luminosa, il graffio nel buio, il pianto dorato del cielo.

“L’ho vista, l’ho vista” urla felice Mattia.

“Bravo” dice Claudio. “E il desiderio?”

Mattia passa il binocolo al babbo, sorride, fa il prezioso, indugia.

“Ho capito, ho capito…”dice Claudio, appagato.

E aveva capito bene: c’entrava proprio Rossella.