martedì 22 maggio 2012

Il racconto del mercoledì



IL CARRELLO

Per prima cosa si sincerò che ci fosse l’euro per il carrello: c’era. Lo prese e lo mise in tasca. Poi si premurò di lasciare le chiavi dell’appartamento in auto, perché nella tasca della giacca pesavano e non andavano confuse con le chiavi dell’auto. ‘Però se mi rubano l’auto mi rubano anche le chiavi di casa’ e allora si prese qualche secondo di riflessone, infine decise che le chiavi dovevano stare in auto. Raccolse i sacchetti della spesa e uscì dalla vettura, che aveva posteggiato nel parcheggio sotterraneo del supermercato. Entrò da una porta in vetri scorrevole e cominciò i palpeggiamenti: la chiave dell’auto era nella tasca della giacca, a destra, il portafoglio a sinistra, la tessera per i pagamenti nella tasca posteriore destra dei jeans, compressa contro la natica, l’euro per il carrello nella tasca sinistra anteriore dei jeans.
La moneta gli servì subito, fessura, scatto e via col carrello. Aveva ore davanti, nulla da fare di programmato per quella mattina ma si mosse con nervosa velocità. Non concepiva la spesa rilassata. Per guadagnare tempo aveva l’abitudine di lasciare il carrello all’inizio o alla fine delle corsie, posteggio del resto abituale per molti clienti come lui. Così fece, dopo aver depositato un casco di banane e una confezione di kiwi; lasciò il veicolo di ferro e rotelle al principio della scaffalatura uno, verso sud. Si diresse a nord, di fretta, alla ricerca del cubetto di lievito. Intanto di sfiorò la natica destra: la tessera era sempre lì. Ne approfittò per ripassare il codice, 1243, più semplice di così? Per farsi del male volle ripetere i cinque numeri di cellulare che aveva memorizzato, quelli dei familiari più intimi. Era una delle sue tante prove di memoria. Raccolse il lievito, due mozzarelle, girò la corsia e scesa da nord a sud verso il latte e il suo carrello. Lo trovò subito. Si diresse verso le corsie davanti a lui, una lunga successione di merci perfettamente incasellate.
‘Ma le chiavi di casa dove le ho lasciate?’ si domandò, giunto che fu al bancone freddo della carne fresca. Tastò le grosse tasche della giacca, trovò solo quella dell’auto. ‘Le avrò lasciate in macchina’ pensò, ma il dubbio lo innervosì.
Giunto a metà della stretta via fra gli scaffali cinque e sei trovò un ingorgo, due anziane se la raccontavano e avevano lasciato i carrelli ad ostruire il passaggio. La loro reazione al suo bisogno di velocità fu tardiva, il varco non si aprì, lui non chiese ‘permesso’ ma si fermò, in attesa, con volto permaloso. Le due non videro o non vollero vedere, lui disse ‘permesso’ cozzando la prua del suo carrello contro le fiancate dei due piccoli mezzi di trasporto. Le anziane si infastidirono, lui non comprese il loro risentimento ma per evitare altre soste abbandonò il carrello a metà della corsia fra gli scaffali sette e otto, vicino ad una penisola con le spezie. ‘Ricordati le spezie’ si disse, ma la sua mente era già impegnata nella ripetizione ossessiva del codice della tessera, dei numeri di cellulare, del numero della tessera bancomat e della carta sconto benzina. Andò verso il reparto profumeria, doveva acquistare una crema per sua moglie. Le indicazioni stavano scritto su un foglietto stropicciato. Cercò la confezione, non aveva gli occhiali, non ritrovò alcuni dati essenziali ma non voleva chiedere aiuto. Alla fine, con imbarazzo, si rivolse alla commessa; lei non parve felice di dover svolgere quel compito, che considerava straordinario e non compreso nello stipendio. La malavoglia della dipendente lo stizzì, non disse grazie e si avviò alla ricerca del carrello, con la certezza di chi va a colpo sicuro: penisola delle spezie. Ma in quel settore trovò tre carrelli posteggiati, non il suo. Guardò bene, erano carrelli straboccanti, come potevano essersi confusi? Quale mente bacata, distratta o vigliacca aveva operato quello scambio irresponsabile? Palpandosi per il nervosismo e per verificare l’ubicazione di chiavi e tessere, andò imbufalito di corsia in corsia, nella speranza di trovare il suo carrello in mani nemiche. Ma l’operazione era molto irritante. Inoltre il supermercato erano affollato. Tornò alla penisola delle spezie e attese, certo che il buontempone avrebbe scoperto l’errore e sarebbe tornato sui suoi passi. Per calmarsi, andò veloce a prendere gli ultimi acquisti, una bottiglia di vino e il pane. Tornò alle spezie dove –stranamente- erano spariti tutti i carrelli. ‘Ma porca di quella…’ pensò e parte dell’imprecazione gli scappò di bocca. Trattenne la stizza e fu costretto a recarsi dai responsabili di settore per l’annuncio all’altoparlante, prima volta in vita che doveva sorbirsi quell’umiliazione. Contrariamente a quanto si aspettava, il carrello arrivò spinto non da una persona anziana ma da un tipo sulla quarantina, con un fare da boscaiolo, malvestito e arruffato nei capelli e nei modi, con una giacca a vento sporca e un alito alcolico. Il ladro non chiese scusa e protestò contro il responsabile, perché non riusciva a trovare il suo carrello, quindi andava diramato subito un nuovo annuncio. Si separò malvolentieri del mezzo che non gli apparteneva, quasi lo volesse tenere come caparra. ‘Grazie, se permette ne avrei bisogno’ disse il legittimo proprietario, che si avviò alla cassa veloce: aveva infatti meno di dieci pezzi. Ma una lunga coda lo attendeva. Fece quattro conti ad occhio, considerò che comunque conveniva sostare lì.
Stava nuovamente palpandosi la natica destra (quella della tessera per il pagamento) e ripassando alcune terzine di un poeta amato (altra prova di memoria) quando sopraggiunse un tale con in mano un sacchetto di pane e una busta con il prosciutto cotto. Senza chiederlo, il nuovo arrivato sperava che lui gli lasciasse la precedenza, ma la rabbia lo rese antipatico. Quello del prosciutto disse: “Sarebbe la cassa veloce, ma è la più lenta di tutte.”
E lui: “Si vede che c’è tanta gente che ha preso poca roba.”
E l’altro: “Si vede che c’è tanta gente che ha pochi soldi.”
E lui: “Ha ragione…..guardi, se vuole, passi pure.” Il dialogo lo aveva ingentilito.
“No, no, faccio la mia coda.”
Arrivato al momento di digitare il codice, scrisse 1234, la cassiera gli fece notare l’errore, andò in panico, quello del prosciutto sorrise, si confuse con il numero del bancomat ma prima di digitare ebbe l’intuizione: 1243. E lo scontrino scivolò verso di lui.
Nell’uscire dal supermercato sbaglio porta, fu costretto a rientrare e non trovò subito la sua auto. Infine la identificò, la aprì, trovò con gioia le chiavi di casa, si palpò per l’ultima volta, sentì che a destra non stava infilata nessuna tessera, raggelò, si toccò a sinistra, sorrise. Estrasse la carta rigida color oro, la baciò, la mise con cura nel portafoglio. Caricò la merce in auto, andò a depositare il carrello, dentro il maschio nella femmina del carrello davanti, zac, fuori l’euro, che gli scappò dalla mano, rotolò e andò ad infilarsi sotto un’auto.
Disse ‘pazienza’, scivolò nell’abitacolo e fece cantare il motore.         

Il sorriso indefinito

Mi piace proporvi questa bella poesia del mio amico poeta Arnaldo Bianchi. E' tratta dalla raccolta 'Le ombre delle nuvole' (Macchione editore), che contiene liriche scritte fra il novembre 1999 e il novembre 2003. Amo molto la dedica che Arnaldo mi ha scritto, regalandomi il prezioso libro.
"La narrativa riguarda tutto ciò che è umano e noi siamo fatti di polvere, dunque se disdegnate di impolverarvi non dovreste tentare di scrivere narrativa." (Flannery O'Connors)
A Carlo, che si impolvera sempre con passione


Il sorriso indefinito
dalle labbra scivola
e s'accende nei tuoi occhi
che luccicano perduti
dentro i miei
ombra di un desiderio non detto,
specchio di una speranza
che trema.

    maggio 2003

Auguri, Antonio

Tanti auguri, caro Antonio.

Auguri, Brigitte

Tanti auguri, cara Brigitte.