martedì 8 maggio 2012
Una Messa per Fabio
Venerdì 11 maggio, nel giorno del suo onomastico, verrà celebrata una Santa Messa per Fabio alle ore 18, nella chiesa parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo in Biumo Inferiore.
Il racconto del mercoledì
LA
CORSA
Inizio a correre. Piccoli passi di un corpo da elefante,
di un’anima che fa da zavorra e mi piega al centro della terra. Sopra di me un
inquieto cielo di maggio, con bianchi, grigi, rari azzurri e nero
all’orizzonte, verso la Martica. Le piante dei piedi sopportano a malapena la
mia pesantezza che spinge contro i sassi della via, le ginocchia cedono, il
fiato è da asmatico. Ma non torno in casa, dove il grigio è più grigio e l’aria
comprime il torace, gonfia lo stomaco in piccoli crampi.
Una lieve
discesa, il piano, una debole ascesa verso la curva. Piccoli passi, il busto si
piega in avanti, cerco il cielo di maggio. Resisto.
E lento si
svela il mistero, si compie il miracolo, la speranza che mi ha invogliato alla
corsa.
Resisto
cercando la vita nell’aria e nel corpo che non si trattiene, che procede a
balzi radenti. Il passo è più elastico, il respiro più facile. Ma digrigna i
denti il cielo ad oriente, ruggisce quel nero sopra il Poncione.
Il tempo
continua inesausto la sua marcia trionfale, io cammino al suo passo, mi fermo,
cambio direzione di corsa, mi illudo così di risalire le ore, corro controtempo
sperando di ringiovanire. Mi fermo di nuovo, sorrido all’illusione, riprendo la
direzione della vita, altra strada non c’è, se non assecondare i minuti.
Le prime
gocce, pesanti, lacrimano a terra, s’alzano sbuffi di povere sopra il terreno
assetato. Sarebbe facile, ora, tornarsene a casa, il temporale è in agguato, la
casa è vicina. Ma rimango perché il corpo è leggero, la corsa è una danza festosa.
Ci penseranno le foglie a riparami, ma non cerco riparo. Ora desidero
affrontare la pioggia con quel poco coraggio necessario a gustare l’esistere. E
corro, ora piove davvero, aumento il passo, aumenta l’intensità dell’acqua del
cielo, sui capelli senza cappello, sopra le gambe nude.
Un lampo,
subito un rombo a completare la luce, la paura del fuoco nel bosco, di una
scossa contro di me, ma io corro senza timori, volo nell’acquazzone di maggio,
i capelli che grondano, le mani che sgocciolano, la pioggia che scorre e si
infila nelle scarpe da running. Sguazzo con l’acqua che ha formato piccole
pozze sotto la pianta dei piedi, come un bimbo calpesto pozzanghere e prati
inzuppati. Non ho freddo né sonno (quella mesta apatia di chi gironzola in
casa) né fame né sete, solo voglia di andare dentro la pioggia, di ultimare
salite e discese, di compiere il mio giro di sport, la mia danza fra alberi e
fiori, mentre il cielo infelice mi invidia, si vendica ma non sa che oggi
nessuno mi batte.
Invincibile
e fradicio, col sorriso disegnato sopra che un viso che luccica, corro a ritmo
di gara. L’elefante è lontano, dorme nella savana, pesante, orecchie basse,
ventre gonfio.
S’allontanano
i pochi visitatori del parco, ombrelli colorati come gronde di tela, sottili rivoli,
cascatelle e fughe di persone che maledicono la poca serietà di maggio, la sua
inaffidabilità. Chi mi incrocia non mi capisce, ma io capisco me stesso. La
corsa ha svelato il senso nascosto dalla polvere dell’immobilità.
Ma ora
basta. Qui ci vuole una doccia, acqua calda, bagnoschiuma e accappatoio, bianca
spugna che asciugherà un uomo rinato.
Camminare tra le parole
Nel 2008 ho festeggiato i miei vent'anni di scrittura, i vent'anni dal primo libro pubblicato, e il 28 maggio di quell'anno il mio amico poeta Arnaldo Bianchi mi regalò una sua poesia inedita, che forse troverà spazio nella raccolta, che ha in animo di pubblicare a breve. Non sempre è faticoso scrivere, per fortuna, ma la scrittura -come la vita- sa far soffrire.
Che fatica camminare tra le parole
quando non si ha nulla da dire,
che fatica fingere di amare
quando non si ha nulla da dare,
che fatica vedere
quando non si vuole guardare,
che fatica sperare, che fatica scoprire
la vita, nostra comunione dei silenzi,
nell'oscillare libero dei giorni.
Insoddisfatti
L'insoddisfazione è alla base di ogni rivoluzione. Chi si accontenta è, se va bene, un conservatore...però bisogna ammettere che è comodamente quasi felice...accontentarsi è una grossa tentazione, e spesso la via migliore per stare in pace con se stessi...perché il rivoluzionario è -spesso- un 'esaltato' votato all'infelicità, quindi....però quell'insoddisfazione ci rovista dentro, e se c'è è meglio...se resta a disturbarci, forse siamo ancora relativamente vivi.
in foto: Sally Pearson, una che non si è accontentata di essere una mediocre ostacolista
in foto: Sally Pearson, una che non si è accontentata di essere una mediocre ostacolista
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