venerdì 30 settembre 2011

Enrico il camminatore

Interessante incontro ieri sera, nell'ambito del Premio Chiara 2011: lo scrittore Enrico Brizzi (al centro, fra Bambi Lazzati e Lorenzo Scandroglio) ha parlato del piacere del cammino, che ha scoperto da alcuni anni e che lo porta a lunghe trasferte pedibus calcantibus in giro per l'Italia.
Il gusto del camminare: io l'ho scoperto molto prima di Enrico, perché sono più vecchio di lui. Più volte qui ho scritto che devo camminare per necessità del fisico e dell'anima, che le idee migliori mi vengono nel cammino, che riesco a rilassare la mente molto meglio se muovo i piedi che se sto seduto. Però non ho mai fatto un cammino lungo come quello che Enrico ha compiuto lo scorso anno, per celebrare i 150 anni dell'unità d'Italia. A piedi dalla Vetta d'Italia a Capo Passero, oltre 2000 km in 90 giorni, una media di oltre 20 km al giorno dall'Alto Adige alla Sicilia. I miei complimenti!

Il tempo di abituarsi

Per me, attento osservatore dei cigli della strada, è il tempo delle prime castagne e dei ricci che si aprono. Ma non è del dolce frutto autunnale che voglio parlare. Piuttosto di quei dolorini che a tutti vengono qua e là, che arrivano e poi se ne vanno, che pungono ma non più di tanto, che fanno male soprattutto perché non si sa da dove arrivano e uno, naturalmente, teme il peggio. Dolorini che non mi risparmiano, anzi, oggi mi pungono un po'. Hanno una funzione fondamentale: ci allenano poco alla volta al grande dolore. Non potremo dire che non eravamo stati avvisati.

Saluto (al) Romano

Tanti auguri, caro Romano (eccolo, a destra, insieme allo scrittore Stefano Domenichini), medico-letterato, poeta un po' in letargo (ma rinascerai), amico.

giovedì 29 settembre 2011

Essere prof di ginnastica non basta

Come ho già detto altre volte, credo di essere valorizzato di più per ruoli professionali secondari (l'essere anche giornalista e 'scrittore') che per il mio primo lavoro, cioè docente di Scienze motorie e sportive. Mi è giunta una nuova conferma da una mail di un amico, che in buona sostanza dice cioè: sarei un organizzatore capace e fidato perché prof. di ginnastica (ecco sempre l'utilizzo riduttivo della definizione della materia da me insegnata!) ma anche giornalista e scrittore. Quasi che l'essere solo prof. di ginnastica non garantisca sufficienti capacità organizzative. Non c'è niente da fare: per l'opinione pubblica val più un giornalista pubblicista che un prof. di ginnastica con 35 anni di esperienza. Povera ginnastica! E poveri prof!

in foto: memorial Calarco 2010, manifestazione Vidoletti

Auguri, Paola

Tanti auguri, cara Paola. (Eccola insieme alla mamma e al marito, al rifugio Gardeccia).

mercoledì 28 settembre 2011

La ricetta di Kouchner

Bernard Kouchner (foto da Google immagini), 71 anni, medico, nel 1971 dopo aver toccano con mano in Biafra la misera dell'uomo, fonda Medici senza Frontiere. Da allora (anche ad alto livello politico) non ha mai smesso di fare del bene al prossimo. Ieri ho letto sul Corriere della Sera una bella intervista. Dice in conclusione Bernard: "Faccio quel che posso, dove posso. La settimana scorsa ho posato la prima pietra di un ospedale per mamme e bambini a Conakry, in Guinea. Una volta che la si è provata, non si può rinunciare alla sensazione di essere utili."
Essere utili: una buona ricetta contro il mal d'autunno.

Il mal d'autunno

Oggi ho scoperto che esiste anche il mal d'autunno. Parola di scienziati. Ne soffrirebbero il 25% degli italiani, e le donne quattro volte in più degli uomini. Quindi 11 milioni di donne circa soffrirebbero di mal d'autunno, dovuto alla diminuzione della luce e del sole. Mal d'autunno, cioè ansia, tristezza e disturbi conseguenti. Non discuto, mi pare però che questo non sia un male stagionale, c'è sempre, cioè ogni periodo dell'anno può essere sfregiato dal male di vivere, e addirittura nella stessa giornata si può passare dal mal di vivere ad una vita che non fa male. Ci sono tante ricette e strategie per sfuggire al mal d'autunno. Io oggi suggerirei quella di Bernard Kouchner (vedi altro post).

IL RACCONTO DEL MERCOLEDI'

LA STAZIONE

Necessito dei ricordi come dell'acqua. O forse potrei farne a meno ma sono loro a chiamarmi, voci lontane e penetranti di mitiche sirene. Non posso affermare da convinta che vivo quel tanto che serve ad accumulare altri ricordi; esagererei, per quanto ogni eccesso contiene una scintilla di verità. I ricordi sono la mia vita, in parte la costituiscono, la rendono di volta in volta più piacevole o più melanconica. Non di rado, nel timore d'esser già vecchia, li scaccio in malomodo, o più educatamente li ripongo, li evito, perché ho anche tanto da fare, di interessante e di noioso, che nulla divide con quanto ho già vissuto.

Ma vi sono giornate che paiono votate alla memoria. Mi levo con una tale predisposizione alla nostalgia che il corpo si fa spugna, s'inzuppa di ciò che è stato e non è mai semplice, né indolore, convincerlo che i sogni sono amici incompleti, offrono un calore così fuggevole, una gioia così triste al risveglio, che non è un buon affare assecondarli sino alla delusione. Eppure queste giornate fanno parte della mia esistenza. Oggi, infatti, ci sono caduta dentro. Per questo sto camminando verso la stazione. Alla ricerca del profumo di Marco.

Ecco il sottopasso: scendo, fra poco il buio e le scritte. Allora, oltre vent'anni fa, ventitré per l'esattezza, erano assai meno questi fratelli neri, con le loro mercanzie, con le loro timide pretese.

Finalmente la scala in salita, la luce; anche oggi, forse più d'allora, provo il timore di stare qui sotto, sola, benché sia ora di punta. O è la paura d'esser rimasta orfana, lungo il viale dell'approdo?

I gradini, il sole, il vento che già s'è impadronito di marzo, la discesa fra due ali di platani e, sulla sinistra, la stazione: direi che ben poco è mutato.

Dio, che impressione pensare che i muri possono resistere più a lungo di me! Questo rigido blocco di porfido sopravviverà al mio sonno. Qui tutto si è conservato, eccezion fatta per la precaria tettoia là in fondo, deposito di biciclette e motorini. Hanno spianato, ne ha tratto giovamento il panorama. Si vede sino alla foce del viale, al di là del palazzo moderno, già edificato ai tempi di Marco. Con questa visuale allungata avrei riconosciuto il pullman qualche attimo prima.

Il sasso si conserva, assai meno il mio corpo. Se mi vedesse oggi...smorzato il panico della maturità, non l'ho mai più incontrato. Eppure, dalle fonti che ho qua e là rubato, abita sempre nello stesso paese, forse nella medesima casa.

Sono alla panchina. Mi sedevo o l'attendevo in piedi? Come avrei fatto, mio dio, a star seduta? Il tempo l'avrei avuto perché m'appostavo qui con almeno dieci minuti d'anticipo. Era, dal mio arrivo, un andirivieni da sentinella: seduta, in piedi, uno sguardo alla via, un secondo all'orologio (eccolo, tal quale, sopra di me), un terzo verso l'edicola, poi quattro passi sino a scorgere le rotaie. Giungeva un attimo prima di lui il treno delle sette e ventotto, intasato di studenti. Oggi sono più colorati, almeno epidermicamente policromi. Non so dentro. Dico degli studenti, con i loro zaini, i paille, le giacche a vento, i maglioni. Si usava, ai tempi miei e di Marco, lo zainetto militare, ben poco capiente; metà libri e i vocabolari trovavano alloggio sottobraccio, fasciati o no con gli elastici. Lui reggeva in spalla uno zaino sdrucito. Ricordo ancora le scritte, ad una ad una, e dov'erano collocate sullo sfondo grigioverde.

Ora mi siedo. Oggi riesco a star ferma sulla panchina, interpreto in me l'agitazione, sedàta ma vigile, del ricordo: di Marco e di quell'età. Solo gli occhi formicolano, come allora formicolava il cuore. Guardo là in fondo, verso il palazzo di dodici piani, verso un improbabile automezzo. Il pullman girava a sinistra, faceva le carezze alle foglie degli ippocastani e si fermava dinanzi alla mia attesa. Mai che fosse puntuale; ritardava sempre, ma non oltre i quattro minuti: del resto, di più non sarei stata in grado di resistere. Sole eccezioni i giorni di neve e di sciopero, giorni, per me, di lutto.

Camminavo e scrutavo, con dentro...oggi, di quel benefico spasimo, è rimasta l'impronta. Forse sono cattiva, ingiusta. Forse i ricordi conoscono l'arte dell'inganno: rubano aria al presente e riconsegnano un passato poco veritiero, incredibile. Dire impronta, o dire ombra di quel cuore in festa è troppo poco. Una differenza c'è, e netta, ma ha più attinenze con la naturalezza, la spontaneità.

E chi se l'era andato a cercare Marco? Dico Marco per affermare tutto ciò che, con lui, era filtrato nel mio cuore ancora imperfetto (ammesso che, oggi, sia meno precario di allora).

Ricordo un lento e insieme violento penetrare di quel ragazzo dentro la mia voglia un po' artefatta di studiare per imparare, per far carriera, per riscattare un ruolo...Marco possedeva le chiavi, ha aperto il mio futuro, ha scombinato le carte, ha mutato l'ordine dei valori, mi ha inconsciamente offerto sentimenti ignoti. Quel ragazzo, il più bello, resiste, come è vero dio che m'ha trascinata qui, sospinta dalle folate di marzo, nei luoghi dei nostri quotidiani incontri.

Oggi è diverso. Non dico più bello o meno bello: dico solo diverso. I miei piedi sono incollati a questo asfalto che avranno rinnovato almeno dieci volte. Allora consumavo le suole...dietro a lui.

Affermare che oggi non ho attese, non ho speranze per il domani, non ho modeste eccitazioni sarebbe ingratitudine verso la mia maturità di donna attempata. Sono sentimenti necessari, vitali e per questo li ricerco: per necessità. Perché la vita si spegne e se non hai pronto un nuovo lume, se il buio ti convince che comanda un solo padrone, sei condannata alla resa. Scappare o corrergli incontro, mai aspettarla seduti, con il capo che ciondola, senza scintille di luce, come s'attende un pullman sfogliando, senza interesse, una rivista di moda. La mia maturità è l'arte d'accendere piccoli lumi, e quando son tutti smorzati è il tempo di scendere quaggiù, alla stazione. Ad attendere il pullman, ma con interesse, senza il profumo di morte di quattro fogli di carta patinata.

Lui stava seduto immancabilmente sul fondo, con gli amici; pareva lo facesse apposta, sapeva che la nuvola bigia del fumo non mi consentiva di vederlo oltre il vetro. Questione di pochi attimi ma a quell'età si è intransigenti, si hanno molte pretese, non si ha pazienza. Si è tremendi. Si ha l'idea che qualcuno ci stia strappando la vita, si sia impadronito di noi, della nostra totalità, e così ci si vendica con l'arma della pretesa. Sono queste le gocce di dolore, che in me nascevano insieme alle lacrime. Perché si piange a quell'età, molto, e per un niente. E di seguito si scopre la gioia del riso. E se sono qui è perché ho voglia di ridere, e insieme di piangere.

Ecco un pullman. Allora era blu carta da zucchero, goffo, sporco, malcurato, con qualche traccia sin troppo opprimente del dopoguerra. Questi nuovi sono azzurri, metallizzati, più in linea, lucidati di fino. Per certo percorreranno la tratta in minor tempo anche se il traffico è, ne complesso, più consistente di quei tempi là. Il cartello, però, è sempre uguale, alloggiato sotto il volante: stessi caratteri, medesimi paesi elencati.

Conviene che mi alzi, che gli vada incontro, a tempo con questa irrisoria tachicardia, che pure ha iniziato il suo canto profondo. Precisamente come sulle tracce di Marco: procedevo a piccoli passi, veloce né più né meno come il mezzo intento a frenare, a curvare, a guadagnarsi lo spazio del posteggio. Io mi facevo sotto, così, sapendo che lui sarebbe disceso fra gli ultimi. Attendevo, salutavo i molti visi noti, sorridevo a qualche battuta, tipo 'Arriva, Ha parlato di te, Non ha studiato un c...'. Infine lui. Ogni mattina uno scoppio diverso, un'emozione mai identica.

Ma quell'uomo...Stai calma, avvicìnati...Impossibile! Tranquillìzzati, è di spalle, certo non hai visto bene, hai travisato. L'altezza è la sua, ma il mio Marco era magro, un'acciuga, anche troppo, tanto da farsene un complesso. Ma a vedergli i capelli, dal dietro, sono grigi oggi, non ne ha perso uno...Che faccio? Devo rubare il colore dei suoi occhi. Ma quell'uomo va di fretta, per raggiungerlo dovrei mettermi a correre. E' il caso? Mio dio, che ci sono venuta a fare alla stazione? Corro, sì, voglio correre. Che penserà la gente? E anche a correre, lui somma passi da atleta. Ma che fa? Non prende il sottopassaggio? Evidentemente no, preferisce attraversare alla luce. E se scendessi io? Guadagnerei giusto il tempo...per svelare il mistero.

Ma a che serve risolvere il caso? Stùpida, ragiona. Non vuoi ragionare, lo so, ma ti è necessario.

Io corro, lo voglio vedere. Parlargli, sapere, raccontare ventitré anni di vita senza di lui. E' un diritto dell'anima.

E dopo? E' stupendo narrare, ma in fondo? Che resta?

Io corro.

Fai pure.

Io volo.

Sai che il cuore può indossare le ali. Ma tu, che hai studiato al liceo, conosci le ali di Icaro.

Di quegli anni lui m'è rimasto. I libri, come sai, li ho tutti venduti.

Che aspetti allora? Vai. Non vedi che sta attraversando?

Lo vedo.

Dunque?

Lui non può essere.

Io invece te lo confermo: è lui, è Marco Ferri, sesto in elenco. Ma che fai? Lo saluti?

Saluto.

Qua la mano. Fra qualche giorno ci torni. La stazione, come vedi, è ancora al suo posto. Nulla è mutato.

Questo mio racconto è tratto dalla raccolta FAX D'AMORE (Macchione editore marzo 1998)

martedì 27 settembre 2011

101° Brinzio in bici

Il mio amico nonché mio dentista Umberto Palmiero (a destra in alto, cappellino azzurro) lo scorso sabato ha raggiunto un prestigioso traguardo: la 101esima salita del Brinzio in bici del 2011. La salita del Brinzio (pedalabile ma comunque impegnativa) è una delle salite classiche delle nostre terre, amata dai ciclisti. Con gli amici del sabato mattina (Marchino, Carletto -che qui vediamo con l'Elisir del ciclista...), Umberto ha festeggiato l'evento, meritevole di applauso. La foto che vedete è però del 2 gennaio 2010, salita al Campo dei Fiori in ricordo di Fausto Coppi. Sabato io non c'ero, perché al sabato lavoro: e poi dicono che i professori non fanno niente!!!!

E i ricci?

Cominciamo col dire che nel corridoio della palestra della mia scuola, la Vidoletti, oltre a molte foto degli alunni vi è anche una mia foto del 1984, primo anno di insegnamento alla Vidoletti: avevo i capelli lunghi e ricci, un po' come nella foto che vedete, che è del 1989. Stamani una mia alunna di prima media (sono i più simpatici perché sono ingenui, spontanei, e feriscono senza colpe) mi ha detto, dopo aver visto la sopracitata foto: 'Ma professore, lei aveva i capelli ricci. E dove sono andati?' I capelli sono uno dei miei talloni di Achille: ma come faceva a saperlo lei? Avrei dovuto risponderle: hanno fatto una brutta fine. Le ho detto: 'Mia cara, lì avevo 28 anni!' Ma il mio cuore sanguinava.

Festa dell'oratorio

Sono nato e cresciuto in oratorio. Ora non ci vado più, ma ne riconosco la validità. E' un luogo che può davvero aiutare i giovani a crescere con buone e profonde fondamenta. Per questo faccio volentieri pubblicità alla Festa dell'oratorio 'S.Giovanni Bosco' di S.Ambrogio Olona, la mia parrocchia. Data: 2 ottobre 2011. Prima una fiaccolata (con partenza dal Santuario di Re), poi la Messa solenne alle 11.15, il pranzo in oratorio e i giochi pomeridiani. Se c'è poi qualche adulto che intende dare una mano al bar dell'oratorio, alla domenica pomeriggio, prenda contatti con Antonella (320.1837689) o con Daniela (349.6767353).

in foto: maggio 2008, il cardinale Dionigi Tettamanzi inaugura il nuovo oratorio di S.Ambrogio

Andrea, proprio lui

Ieri sera scendevo come mio solito dal Sacro Monte ed ecco fermarsi un'auto dietro di me, scende un tipo, mi punta l'indice e dice: 'Carlo Zanzi!' S'avvicina, lo guardo, non lo riconosco subito ma poi l'intuizione: Andrea Polmonari. proprio lui. Non ci vedevamo dal 1979, abbiamo fatto il militare insieme a Merano e poi a Malles. Un tipo originale, non ubbidiva ai 'nonni' ed era castigato con continui gavettoni, lui, già laureato in ingegneria, costretto a subire angherie da diciottenni bresciani, bergamaschi e valtellinesi dal QI scarsetto. Andrea era superiore. Scopro che oggi vive grazie ad un ristorante, BOCCA DI LUPO (via Roma 8, Albiolo) e che fa anche il cantautore come passione. Grande Andrea, senz'altro verrò ad assaggiare il tuo menù. E se qualcuno vuol fare altrettanto, legga le recensioni del luogo su Google.

lunedì 26 settembre 2011

Sergio detto Zagor

L'avevo conosciuto esattamente un anno fa, al Premio Chiara. Parlo di Sergio Bonelli (eccolo in foto al centro, con Mauro Gervasini), editore di tanti fumetti (tra i tanti, il grande Tex) ma soprattutto inventore di Zagor, il mio eroe preferito: perché Zagor, rispetto a Tex, era più mite, più soft, e io sono un tipo mite. E' morto a 79 anni, l'anno scorso mi era parso in forma, e in effetti la sua è stata una malattia breve e inesorabile. Non sarà andato senz'altro 'a spalar carbone nelle fucine di Satanasso' (come avrebbe detto Tex) ma piuttosto nelle verdi praterie del cielo, dove riposa chi ha saputo -con le sue storie- divertire, appassionare e rilassare giovani e non.

Grande Romina

La squadra italiana di ginnastica ritmica ha vinto, per il terzo anno consecutivo, il titolo Mondiale. In pochi lo sanno, e pochi varesini sanno che del sestetto di formidabili atlete fa parte anche Romina Laurito (foto da Google immagini), che è di Gallarate, classe 1987. L'ho conosciuta un po' di anni fa, agli albori dei suoi successi. Grande Romina!

Passatempo

In questo momento della mia vita, il pensare di far qualcosa giusto per far passare il tempo (il classico passatempo) mi disturba. Inventarsi qualcosa per far scivolare via le ore, per non sentire il peso del tempo che ti opprime è cosa che non vorrei mai fare. E' vero, anch'io a volte perdo tempo, non sempre sono impegnato in attività utili, e so benissimo che ad esempio per gli anziani far passare il tempo è arte da imparare, impegno arduo. Ma il passatempo non dovrebbe esistere, dovremmo sapere molto bene cosa fare per non dover sopportare l'amaro sapore di una vita sciupata.

in foto: anziani a Riomaggiore

domenica 25 settembre 2011

Umana invenzione

Questa di Dio sarà pure un'invenzione degli uomini, nata dal bisogno d'eternità, dalla paura della morte, dalla necessità di dare spiegazioni ad eventi inspiegabili, a bellezze disumane. Sarà pure una nostra invenzione, ma che invenzione! Capace di costruire cattedrali, di indurre al martirio, di mutare la storia, di propiziare generosissimi gesti d'amore. Si dirà: ma anche gli atei si sono distinti per gesta favolose. Non discuto, ma questo non smentisce la mia tesi. Che grande invenzione (ammesso sia tale) questa di Dio!

in foto: chiesa a Santa Margherita Ligure

Le poderose braccia di Marco

LE PODEROSE BRACCIA DI MARCO

Questa mattina il lago di Varese sarà ‘accerchiato’ da due competizioni amatoriali contemporanee: il giro podistico del lago e la gara per atleti diversamente abili ‘Tre ruote intorno al lago’, entrambe di 25 chilometri. Organizzata dalla mia amica Daniela Colonna Preti (anima della Polha Varese) e dal Gam Whirlpool, la manifestazione mette a confronto gli amanti della corsa e coloro che –volente o nolente- hanno dovuto amare la carrozzina, sino a farne la compagna di una vita, capace di miracoli. Gli atleti disabili possono utilizzare sia la carrozzina da atletica (spinta sulle ruote) che la hand-bike (pedali spinti a mano), e qui voglio dire un paio di cose. La prima: il mio grazie verso tutti coloro che, con la loro disponibilità, permettono lo svolgimento di una gara di questo tipo. La seconda è invece un ricordo. Anni fa venni a sapere che il mio amico Marco Re Calegari, grande atleta paralimpico (in foto, da Google immagini), si stava allenando con la sua hand-bike in vista di competizioni a livello mondiale. Chiesi gentilmente se potevo seguirlo con la bici, e lui ben volentieri accettò la mia compagnia. Ci trovammo una domenica mattina a Capolago, la metà era Laveno. La faccio breve: non avrei mai pensato che due braccia avrebbero potuto spingere quanto due gambe. All’andata, con la strada in leggera discesa, ho davvero faticato per star dietro a Marco, che mulinava le braccia come una turbina, scansava buche, altre bici, auto in sosta e ostacoli vari con un’abilità sorprendente. Arrivai sul lungolago con la lingua fuori. Per fortuna il ritorno, un falsopiano in lieve salita, mi facilitò e in alcuni tratti Marco mi chiese addirittura di andare davanti a tagliare l’aria. Fu una mattina molto istruttiva per me; imparai che la volontà fa miracoli, e che le braccia di Marco valevano dieci volte le mie.

La Provincia di Varese domenica 25 settembre 2011



sabato 24 settembre 2011

I passaggi di Laura


Laura Locatelli (in foto, seconda da sinistra), di Romano di Lombardia (Bg), classe 1987, con l'opera dal titolo 'Tracce di passaggi', è la vincitrice della prima edizione del Premio Riccardo Prina-Fotografia e parola. Lo ha deciso una giuria composta da Mauro Gervasini, Francesca Damiani Prina, Francesco Zanot, Sabrina Ragucci, Giorgio Lotti, Romano Oldrini, Marina Petrillo, Laura Balduzzi, Matteo Inzaghi, Rudi Bianchi e Giorgio Vicentini. In foto, oltre alla vincitrice, vediamo (da destra) Bambi Lazzati, Francesca Damiani Prina e Mauro Gervasini.
Le opere esposte possono essere visitate in Galleria Ghiggini (via Albuzzi, centro di Varese) sino al 16 ottobre, da martedì a sabato (10-12.30/16-19)

Sofferenza

Ipotesi di brevissima analisi quasi medica alla luce di questo male_referto
Il dolore è di un taglio orizzontale sopra l'ombelico. una sensazione ampia, generica. parte dalla gola e scivola, si diffonde. il colore è bianco, come la schiuma leggera che si forma nella vasca quando non c'è troppo sapone. la scansione temporale aritmica. la causa sconosciuta. un vuoto bianco che non ha un'immagine come tutte le malattie di questa attualità che sono malattie nuove senza ancora un nome e senza un foglio d'istruzioni. senza legittimità. non si può vedere ma solo sentire e tracciarne come un percorso con le dita e gli occhi chiusi attraverso il corpo che lo contiene.

Con questa foto e queste parole Valentina, mia figlia, ha partecipato al Premio Riccardo Prima ed è stata scelta fra le finaliste, con esposizione in Galleria Ghiggini. Io, da padre, prima che una valutazione artistica, mi soffermo sul significato, che mi pare chiaro. E' la comunicazione di una sofferenza. Un genitore non vorrebbe mai veder soffrire un figlio. Un genitore s'illude di poter risparmiare ai figli -almeno in parte- il peso dell'esistere. Proposito lodevole, ma vano.

Severino 3

Emanuele Severino ieri sera ha esordito dicendo: "La filosofia cerca di andare al di là dell'ovvio." Io probabilmente, anche per pigrizia mentale o per tentativi condotti, seguiti da delusione e confusione, sarò un maestro dell'ovvio, ma dopo aver ascoltato Severino mi tengo ancora stretta stretta l'illusione di un Dio, capace di farmi intendere la necessità del limite, la bellezza della rinuncia ad una parte di libertà, per servire una libertà maggiore. Dio, per la filosofia, sarà morto e sepolto, per me invece continua ad essere anche risorto. Di che Dio si tratta? Forse di un Dio personale, mediato dalla mia volontà, artefatto ma questo Dio per ora mi sta bene, appaga le mie curiosità e soprattutto offre alimento alla mia speranza. In sintesi: mi rende felice.

Severino 2

Se dovessi, da buon giornalista, rendere in pillole ciò che ha detto ieri sera Severino, direi così: la filosofia è essenziale, la filosofia tradizionale parlava di una verità incontrovertibile, alla base del limite, senza verità non ci sono limiti; la filosofia contemporanea ha decretato la morte della verità, di Dio e quindi la fine del limite. Non ci sono limiti, e la filosofia ha messo le gambe alla tecnica, cioè gli ha detto: 'Guarda che hai le gambe, cammina, vai, fai ciò che vuoi.' Ma anche la tecnica non darà la felicità, perché quando uno è felice si angoscia per la paura di perdere la felicità raggiunta. Il paradiso della tecnica sarà un inferno di angoscia. Quindi? "La crisi economica attuale non è che il segno di una crisi ben più profonda, crisi fra il passato e il presente della nostra civiltà. Il pensiero umano ha oggi un compito fondamentale: ricercare un senso nuovo alla verità, alla morte e alla vita." E via con gli applausi al filosofo.

Severino 1

Pienone ieri sera nell'aula magna dell'Università dell'Insubria, per la Lectio Magistralis del filosofo Emanuele Severino, invitato dal Premio Chiara ed introdotto da Fabio Minazzi. Non conoscevo Severino, né orale né scritto. Devo ammettere che parla in modo chiaro, a tutti comprensibile, anche a chi non è esperto di filosofia come il sottoscritto. Anche se alla fin fine ogni uomo è filosofo, cioè arriva prima o poi ad una sua 'filosofia', spesso libera interpretazione di teologia e umana saggezza, mediazione personale che gli permette di tirare a campare, andando persino -di tanto in tanto- al di là dell'ovvio.

venerdì 23 settembre 2011

Auguri per Lizzola

Da lunedì a venerdì prossimo le classi prime della mia scuola, la media Vidoletti, saranno in montagna, a Lizzola, per il Progetto Accoglienza. Auguro ai ragazzi e ai prof 5 giorni di sole. Soprattutto stringo la mano ai miei colleghi che hanno deciso di dedicare questo tempo, oltre il normale orario scolastico, a vantaggio dei ragazzi. Ho sempre molta stima di chi sa andare 'oltre'.

in foto: ottobre 2010, Lizzola, passeggiata al rifugio

Sono contento

Sabato 24 settembre, ore 17, Galleria Ghiggini di via Albuzzi 17, verrà inaugurata la Mostra 'Fotografia e Parola-Premio Riccardo Prina', voluta dal Premio Chiara, da Emilio e Eileen Ghiggini e dalla famiglia Prina per ricordare Riccardo Prina, morto prematuramente lo scorso anno. Sono felice che fra i fotografi selezionati per la mostra vi sia anche mia figlia Valentina, che ha scelto questo lavoro non facile. Sono molto felice anche perché conoscevo Riccardo.
La mostra rimarrà aperta sino al 16 ottobre, da martedì a sabato 10-12.30/16-19

Grazie, Alberto

Ringrazio l'amico, fotografo professionista, Alberto Bortoluzzi, che mi ha immortalato ieri al Golf Club di Luvinate, durante l'esibizione del golfista Matteo Manassero. Ha la bontà di scrivere: Carlo Zanzi, fotografo. In realtà lui è un professionista, io sono un volonteroso dilettante. Grazie, Alberto.

giovedì 22 settembre 2011

Manuela e Carlo

Tanti auguri, carissimi Manuela e Carlo. Un abbraccio.

Sfida a quattro

Quattro gli sfidanti sulle buche del Golf Club Varese: Matteo Manassero, promessa mantenuta, Giacomo Garbin (campione italiano cadetti 2011), Alberto Binaghi (maestro di Manassero, giocatore professionista che sino ad oggi deteneva da solo il record del campo, 66 colpi, stabilito nel 1986) e Silvio Grappasonni, opinionista su Sky Sport. In questo caso l'allievo non ha superato il maestro, l'ha solo eguagliato.

in foto: da sinistra Matteo Manassero e Giacomo Garbin.

Record eguagliato

Matteo Manassero ha eguagliato, questo pomeriggio, il record del campo da golf di Luvinate: 66 colpi. Un pomeriggio stupendo, che ha fatto conoscere al giovane talento del golf nazionale uno dei campi più belli d'Italia. Tanti appassionati ad applaudire, compiaciuto anche il Monte Rosa, là attaccato al panorama, a ponente.

mercoledì 21 settembre 2011

Lectio Magistralis di Emanuele Severino

Dopo il prologo a Verbania, inizia il programma del Premio Chiara 2011, con la Lectio Magistralis del filosofo Emanuele Severino (foto da Google immagini). Introdotto da Fabio Minazzi, Severino parlerà de 'La violenza e il limite'. La lezione (ingresso libero) è in programma venerdì 23 settembre, ore 21, Aula Magna dell'Università dell'Insubria in via Ravasi 2, a Varese.

Più di 1000 volte

Il richiamo del Campo dei Fiori mi ha trovato, come sempre, bendisposto. Del resto il mercoledì è il mio giorno libero (lavoro il sabato) e con un meteo così splendente, voi sareste rimasti chiusi in casa? Non posso ovviamente fare un calcolo preciso, ma credo di essere salito in bici lassù (nella mia vita sino ad ora) più di mille volte. Eppure non mi annoio mai. Conosco quell'asfalto metro per metro eppure non c'è abitudine né svogliatezza. E' questo il grande miracolo del Campo dei Fiori.

Alla fine del giorno

Non importa se ciò che fai ti darà soldi oppure no, fama o non fama, grandi platee o la stretta cerchia degli amici, ciò che conta è che ti prenda per mano e che ti accompagni sicuro alla fine del giorno.

IL RACCONTO DEL MERCOLEDI'

LA CROCE

Siedo di fronte a mio padre. E’ sdraiato a letto, compirà novant’anni fra tre giorni, sopra di lui un crocifisso. Osservo la croce e faccio due conti. L’hanno comperata, lui e mia madre, più di sessant’anni fa in un negozietto della Val Gardena. Non ero ancora nato ma l’acquisto è stato motivo di molte narrazioni quando, ragazzi, sedevamo intorno allo stesso tavolo. Ascoltata due o tre volte questa storia del crocifisso noi avremmo voluto alzarci da tavola, passare ai giochi, sapevamo la trama: mia mamma avrebbe preferito appendere sopra il letto di giovane sposa una Sacra Famiglia e mio padre una croce. Il compromesso era stato raggiunto: la Sacra Famiglia sopra la testa di mia madre, la croce sopra il cuscino di mio padre

Guardo il muro (che avrebbe bisogno di una rinfrescata), della Sacra Famiglia si nota solo la traccia lasciata dalla luce, il contorno di quel quadro che mio padre ha riposto non so dove dopo la morte di mia madre.

Resta la croce.

Non ho mai saputo perché il mio vecchio preferisse già così giovane quei due legni incrociati, con il Cristo gardenese che pende in avanti, perfetto nelle proporzioni, un drappo a coprire il sesso, gli occhi chiusi, nessuna smorfia sul volto. Il loro ripetuto racconto si fermava in superficie. Oggi, se non avesse l’influenza, glielo chiederei. E molto altro domanderei a mio padre ma forse una cosa su tutte, che non è una domanda ma un imperativo: insegnami a morire.

Lo osservo, respira a fatica ma è solo influenza, il medico dice che non c’è pericolo, l’uomo che mi generò porta nei cromosomi la preziosa eredità di una salute che gli invidio. Non è certo in pericolo di vita ma è cotto dalla febbre e non posso domandargli perché mi ha messo al mondo, costringendomi a morire. Perché il venire al mondo non è il nostro problema; il vero problema è come lasciarla questa sfera, gomitolo di dolore.

Apre gli occhi, sorride, tossisce, vuole la mia mano, scotta, la sua mano destra è gonfia, pare un tizzone che arde.

Và a ca’” mi dice, poi zoppica in altra tosse, non riesce a continuare, mi butta in faccia un mezzo sorriso e socchiude gli occhi.

“C’è tempo” gli rispondo e capisco di volergli bene. Mi fanno pena i suoi pensieri, ad altro non può pensare un uomo della sua età: è qua. E forse riflette su un desiderio che oggi è il mio: ‘Devo sapergli regalare questa certezza. L’ho costretto a vivere, oggi gli dimostro che si può uscire con dignità, soffrendo senza soccombere all’angoscia del nulla.’

La vita è questo quotidiano adattarsi alla morte. E il non pensarci è la sola formula vincente. Ma quando si avvicina e ci presenta il foglio di via, che attesta la nostra resa, fingere di non vederla non è distrazione da uomini.

Perché il mio vecchietto scelse la croce? Per furbizia? Per saggezza? Aveva inteso che era meglio partire per tempo?

Go cald…damm ‘na gota d’aqua…”

S’è svegliato di nuovo.

“Tieni” e gli porgo il bicchiere, lo reggo per la nuca, lui sorseggia, tossisce. Gli tocco la fronte. Brucia. Gli porgo un panno umido, che se lo tenga in testa, temo che gli vada arrosto il cervello.

Lasa perd…al servìss a nagòtt

“Vedi tu” ma forse dovrei essere più impositivo, obbligarlo nonostante il medico minimizzi. Ma a dispetto dell’età difende la totale autonomia. Non vuole dar peso ai suoi figli. Sa di averci già messo sul groppone un macigno. Basta quello. Ma il peso non è quel reggergli il capo e bagnargli le labbra; pesa che lui è solo un anticipo del nostro destino. Una prova.

Prende fiato, raccoglie ciò che resta dell’aria che hanno pensato per lui; la ricaccia di fuori, tramutata in un lungo sospiro che racconta di risposte impossibili: “Se te vöratt fa cusè.”

Lo guardò e sorrido: “Già…”

“A cosa pensi?” mi chiede pochi secondi dopo che la pendola ha battuto i dodici colpi del mezzogiorno e sto pensando che forse è davvero tempo che vada.

A cosa pensi? Domanda inattesa posta da lui, tanto rispettoso dei nostri pensieri da sembrare distratto. Glielo dico? Mi confido? E perché me lo chiede? Mi sono tradito?

“A niente” e subito mi vergogno di quella menzogna.

Balòss” fa lui. “Vieni qua” e allunga le braccia.

Mi piego in avanti, lui alza le braccia e sfiora la croce, che sobbalza sul chiodo e finisce sul letto.

Ta vöri ben.” Vorrebbe piangere ma si trattiene. Un padre non piange davanti ad un figlio. Non lo può spaventare.

Un padre è un eroe.


in foto: crocifisso al Passo Pordoi

martedì 20 settembre 2011

Un record per Matteo

Per chi ama il golf, per chi non ha mai visitato lo stupendo campo da golf di Luvinate, questa è un'occasione che banalmente si direbbe ghiotta: Matteo Manassero (foto da Google immagini), il diciottenne di gran talento, speranza del golf italico, sarà da noi giovedì 22 settembre, a partire dalle ore 13. Tenterà il record del campo da golf di Luvinate (66 colpi), che appartiene ad Alberto Binaghi, professionista dal 1986 e suo attuale allenatore, che naturalmente sarà presente, insieme a Silvio Grappasonni (giocatore professionista e opinionista di Sky Sport) e a Giacomo Garbin (campione italiano cadetti 2011).

Foto non adeguata

Purtroppo mi sono accorto che non ho una foto all'altezza degli amici Antonella e Paolino, che oggi festeggiano l'anniversario di nozze. Mi scusino se utilizzo ancora questa, in attesa di qualcosa di meglio. Auguri.

lunedì 19 settembre 2011

Perché sei un essere speciale

...ti salverò da ogni malinconia, perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te....canta Franco Battiato. Se qualcuno merita questa promessa e questa considerazione, facciamoglielo sapere...certi silenzi sono omissioni gravi. Non diamo niente per scontato.

Cercasi volontari

Domenica 25 settembre è in programma un grande evento sportivo amatoriale, che unisce podisti normodotati e atleti disabili in carrozzina. Si tratta del Giro del Lago di Varese di corsa, e della 'Tre ruote intorno al lago' in carrozzina da atletica e hand-bike. Giro del lago, cioè 25 km, con partenza dallo stabilimento Whirlpool di Cassinetta di Biandronno (via Aldo Moro). Le carrozzine faranno girare le ruote alle 9, i podisti inizieranno a correre alle 9.05. Faccio mio l'appello della cara amica Daniela Colonna Preti, anima della Polha Varese (organizzatrice dell'evento, insieme al GAM Whirlpool): occorrono atleti in gara, ma anche pubblico e volontari che garantiscano la sicurezza. Chi è intenzionato a dare la sua disponibilità come volontario, telefoni entro martedì sera a Luciano Rech (329-9013220) o Marinetta (338-8161363).

in foto: sono con il grande atleta paralimpico e amico Marco Re Calegari. Qualche anno fa decisi di andargli dietro in bici (lui in hand-bike), da Capolago a Laveno e ritorno. Non so chi faticò di più!

Alloggia

Alloggia fra il cuore, i polmoni e lo stomaco la matassa delle nostre paure. Paura di solitudine, di inutilità, di incapacità ad affrontare il futuro. E quel groviglio si sbroglia poco alla volta, lentamente, grazie alla nostra arte di sopravvivere. Ogni mattina si ricomincia. Puntualmente.

in foto: autunno a Lizzola

domenica 18 settembre 2011

Riccardo e l'editore

Alla Conferenza Stampa di presentazione del Premio Chiara non poteva mancare il mio amico Riccardo Prando (a destra, maglietta La Coste), firma storica de La Prealpina, docente, narratore e grande amante dello sci nordico. Alle sue spalle il suo (e mio) editore, un sorridente Pietro Macchione.

Matilde

Ciao, cara Matilde, compagna di liceo, amica. In questa foto del 1972 siamo in Prima Liceo, al 'Cairoli'. Tu sei sulla sinistra del mitico prof. Anastasi, la prima, viso tondo, seduta sul muretto. Prima nello studio, ottima avvocato, prima anche ad 'andare avanti' (come diciamo noi alpini), e non avevi nemmeno cinquant'anni. Era il 18 settembre, l'anno non lo ricordo, comunque sempre troppo presto. Un abbraccio.

La passione di Gottardo

LA PASSIONE DI GOTTARDO ORTELLI

Il 21 settembre del 2003 moriva Gottardo Ortelli (foto da Google immagini), un artista, un uomo di cultura che molto ha dato al Premio Chiara. E’ stato naturale per me ‘incontrarlo’ giovedì scorso, in occasione della Conferenza stampa di presentazione del Chiara 2011. Perché l’amico Gottardo ha preso in mano questo evento letterario varesino agli inizi degli anni Novanta e per un decennio ha contribuito a farlo crescere. Eppure era nata male la vicenda fra me e lui, a causa di un mio articolo sul settimanale ‘Luce’ relativo all’Accademia di Belle Arti, che Ortelli avrebbe voluto a Villa Toeplitz e che non decollò mai. Chiarimmo a parole e per lettera, collaborammo in alcune iniziative e poi fu lui a chiamarmi, nel 2000, nella Giuria dei Grandi lettori del Chiara, in sostituzione di Marta Morazzoni. Un onore per me, tre anni che mi permisero di avvicinarmi all’uomo e all’artista, di conoscere la sua gentilezza, la sua cultura. Fui lieto quando Gottardo apprezzò molto un mio contributo alla rivista ‘Confini’ del 2001 (rivista che lui dirigeva), una ricerca su Piero Chiara e il suo rapporto con la morte. Forse Ortelli in quel 2001 già sentiva le prime avvisaglie di un male che nel giro di pochissimi anni lo avrebbe sconfitto. Forse si trattava di sensibilità e di partecipazione verso tematiche esistenziali che non si possono saltare a piè pari, buttandosi in un attivismo schizofrenico. Il pittore, docente a Brera, rafforzò le fondamenta del Premio invitando personalità culturali milanesi, coinvolgendo la stampa nazionale, ampliandone gli orizzonti con spazi legati all’arte. Un Premio letterario che si è ulteriormente consolidato, dopo la morte di Ortelli, grazie a Romano Oldrini, Mauro Gervasini, Matteo Inzaghi, Vittorio Colombo e tanti altri, oltre che al lavoro fondamentale di Bambi Lazzati. Ma l’amico Gottardo non si dimentica e puntualmente riappare quando torna il Premio Chiara, a dirmi che le cose si fanno con passione.

La Provincia di Varese domenica 18 settembre 2011

sabato 17 settembre 2011

Dovere e volere

Fosse dipeso da me, avrei creato un uomo senza troppe lotte interne, un individio ove albergasse la perfetta coincidenza fra ciò che si desidera fare e ciò che è bene fare, che è giusto e doveroso fare. Un uomo 'stupendamente semplice', come lo sono le torri di pietra delle Dolomiti. Ma così non è andata, e ci troviamo a battagliare fra desiderio e obbligo, fra voglia di fare una cosa e impossibilità (per senso di colpa o altri impedimenti) di portarla a compimento. Hanno voluto per noi un destino complicato e ansiogeno, una corsa ad ostacoli fra continue scelte di campo, rinunce e infrazioni di divieti. E' così che la ricerca di un equilibrio diventa ardua come la scalata delle Torri del Vajolet (foto).

venerdì 16 settembre 2011

Debitori

Siamo debitori della vitalità altrui. La assorbiamo come manna dal cielo. Facciamo nostro il rischio degli altri. Amici ai quali non diciamo mai grazie. Sconosciuti ai quali dobbiamo il nostro debole coraggio.

in foto: alpinista sulle Torri del Vajolet

In realtà

In realtà ce la facciamo tutti sotto. Poi c'è chi sa fingere meglio.

Non c'è

Non c'è pensiero più vitale che il pensiero della morte.

giovedì 15 settembre 2011

Premio Chiara 2011

E' stato presentato questo pomeriggio a Villa Recalcati, con sovrabbondanza di media, il Premio Chiara-Festival del racconto 2011. Un'edizione ricca, basta leggere l'elenco dei protagonisti (si veda la foto del cartellone pubblicitario, che si trova a Masnago). Il programma completo lo si può consultare su www.ilfestivaldelracconto.it
Vi terrò aggiornati.

Se non ci si innamora

Se un narratore non si innamora dei suoi personaggi, se non li ama o li odia, se non partecipa anima e corpo alle loro avventure, cosa mai potrà comunicare al lettore? O il personaggio si intromette nella vita del suo 'inventore', o sarà sempre un'anima debole, un individuo noioso, scontato, senza futuro.

in foto: finalisti e organizzatori del Premio Chiara 2010

Pensione

C'è un solo modo per non farsi prendere da rabbie per pensioni che vengono allontanate, ire da violazione dei diritti acquisiti, malumori per promesse non mantenute: amare il proprio lavoro. In tal caso l'approdo della pensione non apparirà una meta desiderabile, ma un esito da temere. E possibilmente da allontanare ancora un poco.

mercoledì 14 settembre 2011

Bravo Alberto

E bravo il mio amico Alberto Lavit, fotografo varesino (foto da Google immagini). Il suo Spazio Lavit riapre a tempo di record, dopo la grandinata di quest'estate che ha fatto disastri. La riapertura ufficiale dello Spazio Lavit (che si trova in zona Conca d'Oro, vicino alla Società Varesina di Ginnastica e Scherma, alla Centrale del Latte di Varese e alla Fitoconsult del mio amico Daniele Zanzi), la riapertura, dicevo, sarà sabato 17 settembre, ore 17, con la mostra di Adelmo Savani e la presentazione dell'Associazione Culturale Parentesi.

Un premio a chi va in bici

'Chi sceglie la bici merita un premio': questo il titolo dell'iniziativa a sostegno dell'uso della bici, organizzata da Fiab-Ciclocittà. Venerdì 16 settembre, fra l'altro, si potrà fare una Pedalata con il sindaco (ore 18-Piazza Monte Grappa), mentre non posso non segnalare la presentazione del volume di Luca Conti, 'Manuale di resistenza del ciclista urbano' (sabato 17 settembre, ore 17.30, Sala Morselli della Civica Biblioteca di Varese). In verità non conosco né il libro né l'autore, ma conosco il presentatore della serata, il mio amico Riccardo Prando, docente, giornalista, narratore. Nella foto lo vediamo a sinistra (maglia viola, bici sollevata) in occasione della mia centesima salita al Campo dei Fiori in bici, ottobre 2007. Riccardo eccelle nello sci nordico, ma se la cava anche con le due ruote. E sicuramente presenterà a dovere il libro di Conti.