mercoledì 13 aprile 2011

Don Zeno di Nomadelfia

Questa rivista entrava in casa mia anche prima che mi sposassi. Il numero di oggi mi fa ricordare che don Zeno, fondatore di Nomadelfia, è morto nel 1981, l'anno del mio matrimonio. E proprio in quegli anni era forte in me il desiderio di imitare i nomadelfi, che hanno preso e sull'esempio delle prime comunità cristiane sono andati a vivere insieme, mettendo in comune i loro beni. Era un destino, un segno profetico che credevo possibile anche per me, per i miei amici. Non è andata così. Trent'anni dopo vedo la realtà in modo diverso. La vita mi ha portato altrove, anzi, mi ha lasciato dov'ero, dentro un percorso che più comune non si poteva immaginare. Ma non sono affatto deluso.

La mano

Lo so bene che quanto sto per scrivere, di fronte, che so, alle sofferenze di un bambino (scandalo assoluto) può apparire ridicolo, banale, non meritevole di attenzione. Eppure noi siamo anzitutto noi stessi, e ciò che siamo, ciò che diventiamo, ci interessa particolarmente. E allora scrivo che, a mio avviso, dobbiamo rafforzarci verso due direzioni, se vogliamo sopportare il domani. Uno: mantenere viva la fede in una vita oltre questa, tangibile, perché questa è sin troppo breve e zoppicante. Due: fare amicizia, dialogare benevolmente con il nostro immiserimento. Ad esempio la mano: non l'avevo così, qualche annetto fa.

IL RACCONTO DEL MERCOLEDI'

LO SGUARDO

Sono lo sguardo di una donna. Direi di una bella donna. Mi sono appena staccato da lei e mi sto dirigendo, veloce, verso un uomo. Veloce ma non tanto da non potermi gustare la piacevolissima meraviglia di questo tale, un cinquantenne, nel complesso prestante, un po’ troppo adipe sul ventre, pochi capelli ma l’abbronzatura dà l’idea di rendere quei pochi più folti. A vederlo da lontano, diciamo i dieci metri della mia signora, non è un tipo che non dia nell’occhio: sarà il vestito, sarà il complesso, l’armonia degli ingredienti. Certo, ora mi sto avvicinando e si notano le magagne. Ma sono gli occhi che mi interessano: stupìti. Lo sguardo di lei (cioè io) sta regalandogli i connotati di una donna, intanto più giovane di lui di almeno dieci anni, poi di una capace di batterlo, nel confronto diretto, a mani basse. E ciò non fa che rendere quegli occhi di maschio (consapevole del suo fascino, in verità in declino) ancor più brillanti, interessati, sorpresi, ammiccanti, piacevolmente feriti da una luce di bellezza inattesa, da una prospettiva di reciproco feeling che dà freschezza ad un momento peraltro assolutamente privo di meraviglia. La banalità impreziosita da me, sguardo di donna. La svogliatezza inorgoglita da due occhi che si posano, lasciando intendere della voglia inevasa. Che poi, a dire il vero, essendo solo uno sguardo, non saprei se vi è, in colei che mi ha spinto verso l’uomo, reale interesse, voglia di provocare, fiacco istinto femminile, svogliatezza, noncuranza, malizia, e non ho neppure la certezza che proprio verso quell’uomo io debba dirigermi, e che invece non mi sia chiesto all’ultimo di mutare traiettoria, prendendo per caso la strada di quella tizia più a destra, che potrebbe essere anche un’amica della mia signora, o una che gli sta sullo stomaco.

Ecco, ora intuisco anche i pensieri dell’uomo, puro spirito (i pensieri) come puro spirito sono io…ecco, sento..però…..che sfrontato….che illuso!

Venticinquesimo


Il 13 aprile del 1986, quando vi siete sposati, era una giornata come oggi, sole, ma c'era vento e faceva freddo. Il giorno prima aveva nevicato. Che dire? Cari Fabrizia e Paolo, vi diamo sempre 5 anni di distacco, ma se vi mettete a correre magari ci raggiungete. Auguri per la corsa che ancora vi attende.