giovedì 20 dicembre 2012

Cicale al carbonio 4



                                                quattro


Sarebbe cambiato qualcosa? Chi può dirlo. La storia è mutevole come un treno perso, un passo in più, una porta che si apre ma poteva restare chiusa, e sarebbe stato meglio.  Probabilmente.
Beatrice si voltò, guardandosi alle spalle, quando la ruota posteriore della bici di Marco aveva già completato la curva a gomito, davanti all’Arco detto Porta del Rosario. Vide il luccichio del sole contro i raggi metallici, il rettilineo in pendenza che reca alla Via Sacra, in fondo il salto nel vuoto e la città nella piana. Ma non riconobbe chi pedalava. Aveva ancora nelle orecchie il colpo secco della portiera dell’auto, chiusa con rabbia e con gioia. Rintronava  d’eccitazione e di pentimento.

***  

Prima della stretta curva sulla sinistra, Marco aveva guardato verso l’acciottolato della Via Sacra ma non l’aveva vista. Auto posteggiate e pellegrini con il capo chino. Forse lei aveva già passato la Porta, stava nascosta dietro una colonna.
Dopo la curva a gomito arrivava un tratto in piano, nuova curva sulla destra e il muro, l’asfalto più duro della salita al Campo dei Fiori.
S’arrampicò sui pedali, raddrizzò la schiena, fece pressione sul manubrio. Accompagnava il giro rotondo delle gambe con strappi di braccia, per faticare meno. Più muscoli possibili, chiamata a raccolta contro la pendenza.
Faceva caldo. Scese seduto sulla sella. Gocce di sudore scivolavano lungo il crinale del naso, cadevano sul manubrio. Soffiò contro una goccia rimasta a penzolare sulla punta del naso; la goccia si spezzò e finì nel cono di luce del sole. Alla sua destra il ciglio della strada era verde d’erbe, grigio di pietra, giallo di ginestre selvatiche e di ranuncoli.

***

Beatrice fece il segno della croce, gesto convenzionale, per dire che era entrata sulla Via Sacra, rizzàda verso la Madonna del Monte. Davanti a lei quattro viandanti e, sullo sfondo, la Fuga in Egitto di Renato Guttuso, macchia di colore. Dietro le spalle l’ansia di quell’incontro la spintonava in su, verso la porta di Sant’Ambrogio, inizio dei Misteri Gloriosi.
Sapeva di sbagliare ma era certa di volerlo fare. Suo marito non avrebbe saputo niente, né lei sapeva cosa l’attendesse davvero, oltre la Terza Porta, al bivio che conduce al paese senza seguire l’acciottolato antico.

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‘Sbarcare il lunario…sbarcare il lunario…’: pedalando, Marco ci pensava. L’espressione era venuta seguendo il filo di un ragionamento, partito dalla grande fatica di quel mestiere, ciclista professionista, e quando un lavoro pesa non si dice forse ‘sbarcare il lunario’? ma perché sbarcare? E che significa lunario?
Le domande durarono quattro pedalate. Non era giornata. Lo capiva subito come girava la gamba. Il tratto più duro della salita, quello, sino al ponte della funicolare, gli confermava una verità già intuita. Troppo sudore per quei quindici all’ora. Un mese più tardi, se la sua gamba avesse reagito così alla pendenza, avrebbe potuto perdersi tutto proprio su quella salita. Vide l’ombra di sé, copia incolore del suo dondolìo sui pedali, macchia che scivolava sulle rocce del ciglio della strada. Non era mattina per illudersi di superarla, quell’ombra ripetitiva.

***  

Alla Quinta Cappella del Sacro Monte di Varese, Beatrice aveva raggiunto due pellegrini col rosario fra le dita. Perché andava così di fretta? C’era tempo. Prima del Secondo Arco si fermò alla fontanella d’acqua non potabile. Pensò che anche a sciacquarsi la bocca, senza ingoiare, avrebbe potuto infettarsi. Si lavò solo le mani, rinfrescò i polsi, le braccia nude. S’accarezzò con un riguardo verso di sé  che la sorprese.

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Uno e settantotto per sessantatré chili, come Richard Virenque, il transalpino da imitare nelle imprese. Passista scalatore, un po’ alla Eddy Mercks ma con meno talento. Immenso il belga, monarca assoluto come Coppi e Bartali, eroi baciati dal fisico e dagli dei. E così Marco transitò sotto il ponte della funicolare; appena dopo l’arco sentì sferragliare il vagoncino bianco e verde. La salita spianava, il peggio era alle spalle. Ma sino all’Hotel Campo dei Fiori mancavano cinque chilometri almeno. E all’Hotel si sarebbe conclusa la penultima tappa del Giro d‘Italia. L’ultima capace di cambiare la classifica. Asciugandosi il sudore col guanto sditato pensò al dispiacere di un nuovo distacco. Un mese via da casa, il tempo di un Giro per lo Stivale. Ma presto tornò all’idea che lo stava determinando: questione di testa. L’anno prima il Giro l’aveva perso per quella debolezza. Da non ripetere.

***  

L’aveva conosciuto da qualche mese, amico dei suoi amici varesini. Beatrice non arrivava all’uno e sessanta, non pesava cinquanta chili, il seno era un assaggio. Capelli corti biondo naturale, occhi piccini e vivi; quando rideva, le labbra trasmettevano la loro bellezza a tutto il viso, dolce anche nella cattiveria.
Nonostante fosse leggera, lieve anche per ciò che la attendeva, faticò a risalire dalla Quarta alla Quinta Cappella. Non praticava sport, non camminava mai, e se ora s’era decisa a farlo era per la meta. Per meno non si sarebbe mossa da casa, rischiando la rizzàda e i pettegolezzi.

***   

Marco era già stanco al bivio fra il Sacro Monte e il Campo dei Fiori. ‘Accorcio?’ pensò. Si poteva ridurre l’allenamento, salendo al paese. Ma girò a sinistra, come l’allenamento imponeva, come la sua testa ora obbligava. Se avesse seguito l’altro ciclista avanti a lui, forse un pensionato che ancora si radeva i peli e mostrava una gamba lucida e soda, e avesse girato verso l’Albergo Colonne, li avrebbe incontrati. Ma lui andò a sinistra, non si fermò alla fontanella, vedendo il getto d’acqua sfilò la borraccia e si lavò il viso, poi il breve piano, la corta discesa e altra pendenza. Ora la carreggiata si riduceva, s’entrava nel bosco di robinie, di faggi e di castagni; sulla sommità, anche qualche abete. La salita ricordava tratti del Mortirolo, del Gavia o pendenze che aveva incontrato nel sud, sulla Sila Piccola.

***    
Sedevano su un tavolino all’aperto dell’Albergo Colonne. Beatrice e un uomo, elegante, sportivo nell’abito e nel fisico. Era un campione di motocross che continuava a gareggiare, nonostante due brutti infortuni. Beatrice guardava verso la stazione d’arrivo della funicolare. Sapeva che Marco non poteva arrivare da lì, ma come escluderlo in assoluto? Il timore le guastava l’attenzione, non riusciva a farsi prendere totalmente dalle sue labbra e dai suoi occhi.
“Hai ancora sete?”
“Mi basta” rispose Beatrice.
Lui fece camminare le dita della mano sulla tovaglia, poi le lasciò strisciare. S’avvicinava. Beatrice ritrasse la mano.
“Come mai siamo qua?”
La domanda di Beatrice rotolò verso valle, senza travolgere nulla.

***   

Ecco il punto. Lì Marco doveva scattare, quella l’ultima opportunità, a un chilometro dall’arrivo  Nel folto del bosco, dove l’asfalto vecchio lascia il posto a quello nuovo, dove un grande cartello marrone indica Campo dei Fiori – Comune di Varese, dove la pendenza aumenta, di poco ma aumenta. Al termine di una tappa come quella, con la doppia ascesa del Cuvignone, dopo il Brinzio e il Campo dei Fiori, ogni cambio di pendenza avrebbe fatto male.
Provò ad immedesimarsi, pensò a scattare, ci provò ma il solo stimolo dell’immaginazione non fu sufficiente a reggere il peso di uno sforzo a tutta.
S’alzò sui pedali, tenne sino alla prima curva sulla sinistra, qualche metro e poi la resa. Si risedette in sella.  
Non era mattina.
Diede un pugno al manubrio, si fermò, girò la bici verso valle. Aveva solo voglia di lasciarsi annegare nella doccia. 


                                                                                      4-continua