mercoledì 18 gennaio 2012

Il racconto del mercoledì




LA SCAPPATA

"Esci?"
"Esco. Me ne vado"
Giovanna fece rotolare verso il marito uno sguardo ingrigito. Ma fra le rughe di occhi strizzati brillava una luce.
"A che ora ti devo aspettare?"
Giorgio aveva già allungato mezzo piede oltre la soglia. "Solito."
"Solito cosa? Un'ora, due...fai lo sforzo, allambìccati per una previsione."
"Allambìccati?"
"E cerca poi di rispettarla, la decisione."
"Allambìccati?" Giorgio ritrasse il piede in casa "Chi te l'ha insegnato?" Raccolto solo silenzio e, forse, un "vaffan...."di passaggio, specificò: "Un'ora, massimo un'ora e un pezzo."
"Bene." Giovanna transitò dalla cucina alla sala. Il marito vide un'ombra e sentì la sua voce e la sua richiesta: "Se chiamano ti trovo al bar?"
"No, mia cara, oggi vado dall'amante!" e fu subito fuori, sorridendo al pianerottolo. Fece i gradini di corsa, mai fatto negli ultimi vent'anni.
Giovanna non sentì i balzi del marito, a ritmo col cuore festaiolo. Era nelle viscere del suo appartamento, con uno straccio in mano, sudore in fronte e delusione nell'anima. Posò il canovaccio, si sedette, riprese la tela per tamponarsi le goccioline alle tempie. Attese.

La verità. Giorgio aveva detto né più né meno tutta la verità, null'altro che la verità. Ma, nello specifico, il massimo della trasparenza valeva la menzogna più spudorata. Non era il primo tradimento, ma quel "No, mia cara, oggi vado dall'amante!" gli era sgorgato fuori come un'intuizione, l'inedita verità capace di non tradirlo mai. Ovvio che la sua cara Giovanna avrebbe preso quella boutade come, appunto, una battuta da cialtrone, fors'anche una frase di mezza tenerezza, un saluto meno scontato dei "Ci vediamo...ciao, amore...torno quanto prima...ciao, e non farmi la pastina coi tubini..." Ovvio che la sua mogliettina l'avrebbe odorato come uomo da bar, al sapore di fumo passivo, con le dita impiastricciate del bisunto delle carte da gioco, con i denti anneriti dal caffé e dalla liquerizia, che Giorgio mordicchiava per disperdere l'eco della sigaretta da poco abbandonata.
Fu in un attimo sulla via, poi in auto, quindi una veloce corsa e la prima colonna. Dietro un’auto che precedeva un camioncino sputacchioso di fumo nero da ciminiera, ad un centinaio di metri almeno dagli occhi colorati del semaforo (un buon dieci minuti di attesa), Giorgio pensò che quella palla del dire la verità proprio per depistare non avrebbe potuto reggere a lungo, né quel suo amore clandestino durare. Immaginò poi -un distrarsi anche per quietare l'eccitazione dell'incontro con Marta, un'adolescente- con quanti rami e rametti avrebbe potuto puntare al cielo la malapianta della sua verità con finalità di menzogna.
Intanto Marta non arrivava: colpa del semaforo, di quegli imbecilli incappottati nelle lamiere, incapaci di lasciare in garage l'auto e di usare piedi e gambe, mezzi pubblici oppure, ancor meglio, di starsene a casa appiccicati alla tele per agevolargli il suo contatto con quel corpo appena nato, fresco e incapace. Un'attesa penosa, sotto il sole precoce di maggio che gli aveva già chiazzato la camicia alle ascelle, che aveva reso forno l'auto e inutile il profumo. Si sbottonò, chiuse gli occhi appoggiando la fronte sopra il volante, fu colpito da tergo dal clacson di una vettura che lo palpava sul fondoschiena. Dovette scusarsi, ripartire, fermarsi per lasciar la via ad un pedone frettoloso, accelerare di nuovo, schivare una buca e schiacciare il freno, a ritmo con l'occhio rosso avanti una ventina di capotte.
Giovanna sospettava? E non era indecente, un lusso eccessivo con Marta, una ragazzina che si stava rovinando la reputazione per la voglia (sua) di diventar grande, per il vizio (suo) di tornar giovane? Che avrebbe detto per mollarla? Lo sapeva bene che non avrebbe mai e poi mai buttato alle ortiche un matrimonio -quantunque sterile- correndo dietro al bisogno di sesso. E almeno in questa ammissione si sentiva nel giusto, meglio di altri, oltre la glassatura romantica che nascondeva, sotto sotto, ciò che lui ammetteva, almeno a se stesso: sesso e basta. Il corteggiamento, le frasi zuccherine, l'attesa, i soldi delle cenette al chiaro di luna, le promesse e il letto, alla fine ma ben presente in partenza.
Con Marta era stato tutto più facile, sollecito, incredibile e bello. Aveva una stramaledetta fretta di crescere quella ragazza.
Giorgio non aveva ancora smarrito, per vizio incallito, la valvola di sfogo della vergogna, del sottile rimorso, delle domande, che si guardava bene dall'arricchire con la riflessione ma che si poneva, che respingeva e insieme coccolava, per non apparire brutale e senza criterio.
Marta aveva peccato d'irruenza, trovando sulla sua strada se non la persona meno adatta, almeno un uomo assai disponibile ad assecondarla.
Altro verde, altri metri, altro gas letale, altro tanfo e nuovi pensieri, impiastricciati in quell'accaldato meriggio. Non aveva il coraggio di mollare Giovanna. Perché non era tanto questione di coraggio, disponibilità ad affrontare parenti inquieti, amici increduli e tutto il conformismo di ritorno. Non era quello. Aveva il presagio, meglio, la convinzione che anche con Marta -o con qualsiasi altra amante che aveva incontrato per via- sarebbe stato, infine, come con la sua dolce e conosciutissima Giovanna.
Pensava così perché era inetto all'amore? Perché non era mai stato innamorato? Forse. Eppure tale legge immutabile era scritta a caratteri d'oro nel destino di tutti. Solo nei film, solo fra le righe di qualche buon romanzo, solo...nell'amore inventato. Vano giocare all'inganno. Perché mentire con Marta, fregando se stessi?
Arrivò il verde giusto. Sfrecciò come un proiettile verso via delle Nazioni 18. Il suo rovistare nei come e nei perché era stato capace di fargli salire l'acquolina alla bocca. E poi si sentiva un tantino orgoglioso per quella trovata dell'amante da non sottacere, proprio per celare.
Ecco la via, una stretta laterale alberata, zona residenziale. Maleodorava troppo per salire subito da lei. Cercò di far evaporare il sudore con fazzoletti di carta, salviette profumate e con l'ombra e la frescura di un minuscolo parco comunale, che apriva i suoi cancelli proprio di fronte al muso della sua auto.
La salutare siesta durò dieci minuti. Quandò capì d'essere presentabile, quieto e convinto del suo atto d'amore, guardò verso il quinto piano. Nessuna tendina scansata, una novità rispetto alle volte passate. Verificò sul quadrante l'esattezza dell'ora. Per essere in orario, era persino in anticipo di un primo e trenta secondi. Si grattò il naso, un orecchio, si pettinò con otto polpastrelli e s'avvicinò al citofono, senza fretta, lasciando sgocciolare i secondi residui. Infine schiacciò il bottoncino argentato: famiglia Zarro-Scarbini.
Fece la conta del suo cuore e del tempo d'attesa, prima del "Sei tu? Sali." La domanda non fu posta dal citofono, la serratura non scattò, tutto tacque, salvo la striminzita natura della verde oasi cittadina e il ronfare del traffico, oltre i palazzi.
Silenzio, un maledettissimo silenzio. Gli ciarlavano in testa i più cupi presentimenti. 'Il giorno è quello giusto, l'ora anche, che abbia capito male? Forse mi ha cercato e non ce l'ha fatta a parlarmi. Il numero del cellulare? Certo che gliel'ho lasciato. Il solito imprevisto a rompere i coglioni.'
Giorgio suonò a lungo, ma lungamente si protrasse l'assenza di scatti alla porta. Le veci di Marta le fece il portiere, che giunse scusandosi per la momentanea assenza. Intuendo la direzione dell'indice di Giorgio, si permise, con grande correttezza: "Mi scusi, stava per caso chiamando gli Zarro?"
L'altro annuì, con tracce di vergogna. Che ne sapeva quello?
"Ho un biglietto per il signor Giorgio. L'ha lasciato la signorina Marta. Non è che il signor Giorgio è lei?"
"Proprio.

Giorgio masticava liquerizia, rabbia e la sensazione -altrettanto sgradevole- che la disillusione non fosse bagaglio dei quaranta e passa. Marta, con quello scritto di poche parole, gli aveva insegnato che l'adolescenza (presunta) era età di grande consapevolezza e di risicati sentimenti. Altro che batticuore.
Giorgio, non so se chiederti scusa o se mandarti al diavolo. Comunque è finita. E' stato bello, ma è meglio che tronchiamo adesso. Un'altra cosa: impara a dire la verità, pezzo di merda! Alla tua età le bugie sono ancora più ridicole....Libero?...Ciao.
Appallottolò il foglietto, sbagliò il canestro nel vicino cestino dei rifiuti, intrecciò le dita, pose le mani giunte a guanciale dietro la nuca e sollevò lo sguardo verso l'ombra, propiziata dalle prime, tenere foglie di un platano. S'era scottato per eccessiva vicinanza al fuoco. Troppo gustosa quella pelle perfetta, cocente la sconfitta. Tutto era direttamente proporzionale: tanto in alto, tanto vorticosamente in basso. S'alzò con l'idea che la vita avesse ancora tanto da insegnargli. Ci sarebbero stati imprevisti, capaci di dar sale all'insipido del lavoro e di tutto il resto. Novità? Tornò il volto di Giovanna e il pensiero che anche la moglie, in fondo, avrebbe potuto arrecargli sentimenti forti. E perché no? Visto l'esito con Marta, anche Giovanna, sposa da vent'anni, avrebbe potuto riservargli sorprese. Ma no, quella donna era la sicurezza, la pazienza, il perdono, l'abitudinarietà, la noia, sì, anche -e purtroppo- la noia, comunque necessaria per non trasalire ad ogni momento. E Giovanna sostò in lui come la rada riparata, sottovento, abbracciata dal naufrago dopo la tempesta.
Era fuori da una quarantina di minuti. Che fare? Sfruttare tutto il tempo concesso o fare ritorno? Perché mai buttar via minuti a far nulla? Sorseggiando lo zampillo rinfrescante della pubblica fontana, Giovanna nacque in lui come donna capace di farlo intenerire. E tale sentimento nuovo e piacevole lo spinse fra le leccornie della vicina pasticceria.
"Due di tutto: cannoncini, bignè, sfoglie, frolle con la frutta, babà...ecco, basta così. Quanto pago?" chiese Giorgio alla commessa, davvero una bella figliola.
"Diecimila."
Tornò in auto col suo pacchettino; pensando alla sorpresa di lei, provò anche a chiederle scusa.

La porta era chiusa dall'interno, con la chiave nella toppa. Giorgio, che premurosamente, per non farla levare, aveva già preparato i ferri per lo scasso di casa sua, fu costretto a suonare. E nel 'drin,drin' il pensiero: 'Strano, Giovanna non chiude mai.'
La moglie s'era barricata in casa? Che diavolo era successo? Suonò con mano pesante. Sentì, oltre il legno, uno zampettìo leggero, la sbirciata di lei allo spioncino, l'attesa, un "Ah, sei tu?" e, senza fretta, il rovistare della chiave entro la toppa.
"Stavi riposando?" chiese Giorgio vedendola in sottoveste, e insieme smorzando un focolaio di disappunto. "Tieni, sono per te...per noi" e allungò il pacchettino dei dolciumi.
"Quanti sono?" domandò Giovanna, con la frase meno adatta.
"E che ne so! Saranno una dozzina."
"Quattro per uno. Li faremo bastare."


Tratto dalla raccolta 'Fax d'amore' (Carlo Zanzi - Macchione editore 1998)