domenica 24 ottobre 2010

Gran finale

Ed eccoli i quattro finalisti del Chiara 2010. Da sinistra: Stefano Domenichini, Jole Zanetti, Giorgio Falco e Gianrico Carofiglio, insieme a Bambi Lazzati e a Romano Oldrini. Ne approfitto per ringraziare Bambi e Romano: per il loro lavoro e la loro dedizione al Premio. Io ho dato il mio piccolo contributo, leggendo i molti libri in concorso. Come al solito ho i miei riti e fra questi, da dieci anni, faccio autografare i volumi dagli scrittori finalisti e scatto loro una foto. Fra le dediche di quest'anno, la più originale è quella di Domenichini, che scrive: Ho messo le (parole) al davanzale. Questo libro è per Carlo

La sorpresa

La vera sorpresa del Chiara 2010 è il secondo posto, con 54 voti, di Stefano Domenichini (qui a sinistra, insieme a Romano Oldrini). Ed è stato proprio il mio amico Romano, presidente degli Amici del Premio Chiara nonché della Giuria del Grandi Lettori, ad insistere perché venisse inserito nella terna (poi quaterna) la raccolta 'Acquaragia' (edita da Perdisa). Oldrini si è subito innamorato della scrittura di Domenichini ("E' forte 'sto ragazzo!"), al suo primo libro. Uno scrittore che canta 'il controcanto' della vita, cioè quella parte nascosta e vitale che alberga (a suo dire) in ciascuno di noi. E che è quella foriera di novità. Di sorprese. La parte meno prevedibile.

Come previsto

Con 61 voti, Gianrico Carofiglio ha vinto il Premio Chiara 2010 con la raccolta di racconti 'Non esiste saggezza', edito da Rizzoli. Era fra i miei favoriti, soprattutto perché immaginavo l'effetto 'ridondante' dato dalla notorietà del personaggio, dei quattro finalisti del Chiara senz'altro il più noto: magistrato, senatore e scrittore di fama. E' un uomo anche simpatico. Sincero. Ha ammesso ad esempio (cosa che condivido) che la scrittura è anche e sopratutto fatica, qualche volta persino pena.

Tenero con i suicidi

Non ho mai guardato con distacco, sufficienza, superficialità chi ha scelto di suicidarsi. I suicidi sono diventati a volte protagonisti delle mie storie d'invenzione. Leggo oggi un bell'articolo di Adriano Frinchi. Chi vuole leggerlo per intero scriva: http://www.livesicilia.it/2010/10/17/dio-sara-tenero-con-chi-si-perde/. Lo condivido in pieno. Fra l'altro si legge: "...Di queste esistenze disperate e solitarie ci resta una bara che non chiede solo pietà cristiana ma chiede ancora una risposta a quella domanda sul dolore e la sofferenza a cui i fortunati di questa vita non sanno rispondere, a cui i filosofi rispondono con un'altra domanda e a cui alcuni teologi hanno risposto con l'inferno o alcuni secoli di paradiso..." E poi la citazione finale: "La tenerezza di Dio sarà la risposta eterna al dolore e al fallimento perché come cantava Fabrizio De Andrè, in uno di quei suoi acuti dell'anima, il Dio misericordia il suo bel paradiso lo ha fatto soprattutto per chi non ha sorriso."

Cinque anni

Il 24 ottobre 2005, alle dieci di sera, entrava in casa nostra il nostro primo gattino familiare. Aveva circa un mese di vita, regalo degli amici Fabrizia e Paolo. Le ragazze, in principio, con grande creatività la chiamarono 'gatto', ma ben presto venne chiamata Amelie, e poi con altri soprannomi. Convenzionalmente festeggiamo il suo compleanno il 24 ottobre, quindi oggi Amelie compie 5 anni. Eccola mentre si scalda la zampa nel calorifero. E' bello avere un animale in casa. Credo abbia fatto del bene a tutti, soprattutto alle ragazze. Ci si affeziona. E' un po' scontrosa, non ama farsi accarezzare, è molto pulita ed abitudinaria. E' una tipica gatta casalinga, non l'abbiamo mai fatta uscire di casa, il suo è un piccolo mondo ma si accontenta, non protesta e se la gode.

Pareggio

Torno un attimo all'argomento Correre è bello, perché non vorrei regalare al prof. Arcelli una vitoria, quando in realtà mi pare più giusto parlare di pareggio. Come già ho scritto, il medico sportivo di fama mi batte nella maratona, essendo lui sceso sotto le tre ore mentre il mio personale è di 3 ore e 29'. Corricchiando con lui in Villa Toeplitz all'inizio del nuovo millennio, gli confidavo le mie perplessità sulla maratona. Ne avevo corse due e una mezza maratona, e la mia impressione era che fosse una pratica troppo usurante, non certo positiva per piedi, ginocchia, schiena eccetera. Gli dicevo che avevo intenzione di passare al triathlon, pratica più varia e a mio avviso più salutare. Ebbene, lui mi confidò che ci aveva pensato ma che non era mai riuscito a realizzare l'intento, perché nel nuoto non riusciva ad andare oltre i 300-400 metri di fila. Quindi indirettamente ammetteva che 'Correre è bello' ma 'Triathlon è ancora meglio'. Passai senza indugio a questa triplice specialità (nuoto+bici+corsa), nella quale ho quindi battuto il prof. Enrico Arcelli: uno pari.