venerdì 24 dicembre 2010

Fabio

Stamani sono stato alla Messa in ricordo di Fabio, giovanissimo ragazzo morto 5 anni fa. Durante l'omelia di don Pino mi è venuta questa immagine. Di fronte a simili, inaudite disgrazie è tempo perso chiedersi PERCHE'? E' come se un naufrago, finito in mare, si domandasse perché è capitata proprio a lui, oppure perché non ha imparato a nuotare quando era giovane, oppure perché l'acqua è così fredda, perché è buio, perché ha deciso di imbarcarsi su quella nave....una sola cosa conta: aggrapparsi a un pezzo di legno. Per la storia di Fabio c'è un solo pezzo di legno: pensare che viva ancora.

in foto: lo squadrone del Memorial Fabio Aletti

La vigilia

Quando arriva la vigilia di Natale torna, impietoso, quel ricordo. Facevo le medie, quindi siamo negli anni dal 1967 al 1970. Durante le vacanze natalizie andavo a lavorare al Pastificio 'Bolognese'. La padrona, signora Luciana, era amica di mia mamma. Un lavoro anche pesante, a parte quando andavo con il motorino Ciao a fare le consegne e giravo a manetta per le vie della città. Ma quando arrivava la sera di Natale e io lavoravo magari sino alle 22 e passa, tornando a casa nel buio (spero stiate già piangendo) anziché essere avvolto da una nube di gioia, visto la prospettiva, tenevo sotto braccio la malinconia. Perché? A dirla tutta non lo so. Svanita la magia del Natale, con i magici doni in arrivo dal cielo, avvolto dai disagi della preadolescenza, dalle lune storte, dai timori di non essere in grado di vivere la vita futura, dagli amori immaginati che non riuscivo a dichiarare...insomma, un minestrone che rendeva poco appetibile il Natale. Mi addormentavo senza sogni. Eppure al risveglio avrei avuto regali. Ma, probabilmente, non erano quelli che desideravo.

in foto: il mio albero di Natale (particolare)

Quella strada

Ieri mattina ho ripercorso la strada che ho seguito per 5 anni, dal 1970 al 1975, dalla mia vecchia casa di viale Belforte al Liceo Classico 'Cairoli'. Sempre a piedi. E mentre camminavo rivivevo le (quasi sempre) spiacevoli sensazioni di quel viaggio d'andata (perché il ritorno era ben diverso). Un'ansia sottile e crescente, di mano in mano che il Classico s'avvicinava. Un malessere a volte potente, altre meno, ma comunque un disagio esistenziale causato dal timore delle interrogazioni e dei compiti in classe. Poco entusiasmo, solo in parte mitigato dalla vista di belle, sognate ragazze, dall'incontro degli amici, compagni sulla stessa, scomoda barca, e da alcune materie amate, in primis l'educazione fisica. Ebbene, due i pensieri. Il primo: per fortuna oggi sono un prof. di ginnastica, perché so che ai miei alunni non provoco ansie, ma addirittura piacevoli sensazioni. Il secondo: cari giovani amici, dopo è meglio, molto meglio. Quindi rincuoratevi, e tenete duro.

in foto: maggio 2010, l'annuale incontro al 'Cairoli' con i miei ex compagni di liceo