domenica 4 gennaio 2009

Zio Bruno



Il 4 gennaio 1978 moriva mio zio Bruno Ravasi, fratello di mia mamma Ines. Non avendo sue foto recenti, ecco una sua immagine giovanile. Essendo nato nel 1911, ed essendo lui il bimbo in piedi sulla sinistra, la foto sarà del 1916-17. Infatti mio nonno Battista è in tenuta militare, poi c'è mia nonna Angela, mia zia Ines (che morirà a vent'anni) e l'altro mio zio Mario. Manca mia madre, che nascerà nel 1928 e si chiamerà Ines, proprio perché nata per far dimenticare la morte della sorella.
Zio Bruno: un grande architetto, un artista, un intellettuale, un uomo geniale e sfortunato, esigentissimo con se stesso e con gli altri, amante della sua Varese, per la quale si è speso sino all'ultimo.
E poi era il mio padrino di battesimo. Io infatti mi chiamo Carlo Bruno Luigi (perché la madrina era Luisa Carimali, mia zia, moglie di Mario).
Se n'è andato, mio zio Bruno, in una fredda mattina di gennaio, probabilmente insoddisfatto di come gli era andata la vita. No, non è così che si deve morire. Già la morte è un'ingiustizia, che almeno si lasci la scena in pace con se stessi e con il mondo.

Il dolore


Parlavo stamani a Brinzio con il papà di una mia alunna. Si lamentava: "Mi fa male la coscia...a non allenarsi mai...ma io continuo lo stesso, magari passa." Spesso chi fa troppo sport, o chi ne fa troppo poco ed esagera, ha qualche dolore. Molti continuano 'sul dolore', come si suol dire. Non sono affatto d'accordo. Il dolore è un segnale d'allarme, dobbiamo piantarla lì, altrimenti peggioriamo la situazione. Dobbiamo rispettare il nostro corpo (dobbiamo rispettarci, perché noi siamo un corpo, non è che abbiamo un corpo), siamo noi che dobbiamo piegarci a lui, andargli dietro, dargli retta. Con la volontà facciamo solo guai. La forza di volontà non fa passare uno stiramento, un principio di artrosi al ginocchio, una lieve distorsione tibio-tarsica. Dobbiamo avere l'umiltà di fermarci, in attesa di tempi migliori.

Il senatore

Alla guida della motoslitta del Brinzio, davanti a Pippo Gazzotti, ecco Alberto Zuffi. Classe 1937, i fine settimana li passa alla casetta all'inizio della pista. E' uno dei responsabili del Centro fondo, un ultrasettantenne spesso con la sigaretta in mano. Non lo si vede mai con gli sci ai piedi. "Di chilometri ne ho fatti abbastanza" dice Zuffi. Come dargli torto? E' un 'senatore' della Marcialonga, la più classica fra le granfondo dello sci, che si disputa fra la Val di Fassa e la Val di Fiemme. Senatore perché ne ha corse 25 di fila, senza saltarne neppure una (a parte quelle non disputate causa assenza di neve), e sopratutto ha partecipato alla prima, nel 1971. Purtroppo alla 25esima, siamo nel 1997, premiato prima della gara come 'senatore', lungo una discesa, e non per colpa sua, Alberto Zuffi è finito a terra e si è rotto una caviglia. Aveva sessant'anni. Basta con gli sci. Chi va sulla pista del Brinzio e incontra Alberto lo guardi con il dovuto rispetto: è un senatore della libera, bianca repubblica dello sci nordico.