giovedì 30 giugno 2011
Giorni intensi
mercoledì 29 giugno 2011
Marta e Fabio
Pochi Pietri e tanti Paoli
6° Memorial Fabio Aletti
A tutti gli Amici del Memorial Fabio Aletti
Carissimi,
“Gli Amici veri sono quelli che ci vengono dati dal Signore per camminare verso di Lui”.Al termine delle giornate del Memorial, la frase riportata sulle magliette esprime davvero il senso, il significato ultimo di ciò che il Memorial rappresenta per me, per la mia famiglia e per tutti quelli che in questi anni ci stanno accompagnando nel cammino di Speranza intrapreso dopo la nascita al cielo di Fabio.
Il sentimento che scaturisce dal nostro cuore è di sincera e gioiosa gratitudine nei confronti di tutti i partecipanti, giocatori e non : GRAZIE!!!
Aver visto un nutrito gruppo di ragazzi e adulti che con passione si sono messi all’opera dentro e fuori dal campo di basket, ci colma di gioia e ci invita ad andare ancora più a fondo dell’esperienza che stiamo vivendo attraverso il Memorial.
Esperienza di Fede, Amicizia e Solidarietà che sono i valori a cui Fabio ha sempre guardato come fondamentali per la sua crescita. Tali valori sono ritrovabili anche nello sport che diventa elemento educativo e come dice il Papa Benendetto XVI ”… aiuta l’uomo a percepire le proprie capacità come un talento e la sua vita come un dono di Dio.”
In questi giorni è stato sicuramente testimoniato il valore dell’Amicizia attraverso gli Amici delle “Vecchi Glorie”, sempre presenti con immutata passione, ma soprattutto attraverso i ragazzi che si sono “affrontati sul campo” e che nonostante l’immancabile delusione per una sconfitta, hanno alla fine lasciato prevalere sui loro volti il sorriso.
E’ il medesimo sorriso che grazie al vostro contributo potremo vedere sui volti dei bambini della Missione di Suor Giuseppina Riotti in Etiopia ed è il sorriso che abbiamo avuto la grazia di vedere sui volti dei genitori dei ragazzi che abbiamo ricordato e sentito particolarmente vicini a noi: Andrea, Fabry e Giuseppe senza dimenticare Giancarlo, Luca, Carlo ed Emiliano.
Stringendovi tutti in un affettuoso e sincero abbraccio vi diamo appuntamento al prossimo anno nella certezza che, ancora una volta, tutto ciò cha compiamo “ con le nostre mani, ma con la sua forza” (S.Benedetto) non smette di rinnovare la sorpresa per come Dio possa far germogliare il bene anche da un grande dolore.
Ancora Grazie a tutti e arrivederci al prossimo anno.
Attilio Aletti e fam.
Varese, 29 giugno 2010 Festa dei SS.Pietro e Paolo
IL RACCONTO DEL MERCOLEDI'
IL PORTASIGARETTE
Sono il portasigarette metallico, citato da Speri della Chiesa in una sua nota poesia. Dunque: intanto diciamo chi è Speri, prima di parlare di me. Speri è il massimo vate dialettale di Varese. Ora in sintesi la poesia, assai carina, a detta di molti: un tram, primi decenni del Novecento. Un gruppo di studenti seduti e una bella ragazza in piedi. Le viene offerto di sedersi sulle ginocchia di un giovane, accetta di slancio ma si rialza subito, arrossendo. Il suo nobile fondoschiena ha incontrato qualcosa di duro, lei sospetta e s’indigna, immagina e trasecola. Il giovane comprende l’imbarazzo ma ha pronto l’alibi: è il portasigarette metallico. Sono io, insomma. Un vecchietto vede la scena e aggiunge: “Si sieda qui, mia cara. E non si preoccupi. Da tempo ho smesso di fumare.” Immaginatevela in dialetto…uno spasso. Io sono quel portasigarette che, nel buio di una tasca, ha vissuto il piccolo dramma, l’imbarazzante equivoco. Ammetto che ho goduto nell’affondare in quel morbido sedere. Ma è durata poco. Peccato. Non sono qui a lamentarmi, tanto tempo è passato, dico solo che faccio parte di quella categoria di oggetti resi più o meno celebri da una poesia; cose persino rovinate da un verso, che li ha malamente caratterizzati, infangandoli per sempre. A me tutto sommato è andata bene, faccio parte della categoria oggetto di un equivoco. Grazie a me il giovane salva la faccia. Che poi, a ben vedere, che c’è di male se uno si eccita? La signorina avrebbe avuto motivo di vanto, più che di ritrosia. Grazie a Speri Della Chiesa Jemoli e al suo doppio senso, sono diventato per taluni oggetto di culto. Da quando il giovane mi ha portato alla luce sfilandomi dalla tasca, palesando la sua innocenza (innocenza di che?), sono diventato capostipite di una generazione di portasigarette da alibi.
Ma diciamola tutta. Io so una cosa che solo oggi, a decenni di distanza, mi permetto di rivelare, morto Speri, morto il giovane e defunta anche la signorina. Io c’ero, ho visto e sentito. Di duro c’era il mio metallo, e va bene, ma non quello soltanto!
Genio
I buoni consigli
martedì 28 giugno 2011
Dono?
O cavallina, cavallina storna....
lunedì 27 giugno 2011
Solo un miracolo
Buon anniversario
Grande Noemi
domenica 26 giugno 2011
Antonio al microfono
Giovani contro vecchi
Memorial Fabio Aletti
La quotazione dei problemi
Eileen e tutte quelle scale
EILEEN E TUTTE QUELLE SCALE
Santa Maria del Monte sopra Varese
sabato 25 giugno 2011
Annalisa vince il Ghiggini Arte Giovani
Avanti così!
venerdì 24 giugno 2011
Avete, per caso....
La pasticceria Marcolini
giovedì 23 giugno 2011
L'amore ai tempi di Roma
Buon 23 giugno
mercoledì 22 giugno 2011
Maroni l'arciere esaurito
IL RACCONTO DEL MERCOLEDI'
LA STECCA
La commozione genera dal cuore e sale, prende la gola, il naso e negli occhi diventa lacrime: a questo pensò mentre la musica, lenta, riempiva la chiesa e la sua voglia di mistero. Un giovane organista sfiorava con le dita i tasti, coi piedi senza scarpe i lunghi pedali di legno. Regalava note che si univano a parole in inglese, un canto d’introduzione, un corale che non sfigurava in quella chiesa, anche se avrebbe preferito liturgie protestanti, in edifici di culto del nord Europa.
Chiuse gli occhi per evitare che la musica e il canto perdessero parte della loro efficacia; non voleva lasciarsi distrarre dai molti fedeli presenti, dagli addobbi floreali dell’altare, dalla curiosità su chi avrebbe celebrato. Accettò, gradito, solo il profumo d’incenso, nuvola che dall’altare e dal cero pasquale si disperdeva nella navata.
Se apriva gli occhi, tenendo il capo volto verso l’alto, incontrava la nuca dei bassi e dei baritoni, e ancora più su il crocifisso, sproporzionato. Troppo piccola la testa incoronata di spine rispetto al tronco e alle gambe massicce. Il volto del Cristo sofferente pendeva in avanti. Fosse stato vivo, il crocifisso avrebbe visto la mensa e i sacerdoti intorno all’altare.
Avrebbe voluto la concentrazione assoluta, il distacco da ogni pensiero che non fosse il bisogno di mantenere viva la commozione: perché gli ammorbidiva il cuore e gli regalava l’impressione che avrebbe potuto diventare più generoso, più buono, amante come il Salvatore, messo in croce per noi. Ma se chiudeva gli occhi, le distrazioni giungevano dal di dentro. Una in particolare era ricorrente e fastidiosa: perché si lasciava commuovere da quel canto in musica e non da uno dei tanti sofferenti, che incontrava sul ciglio della strada o nelle notizie televisive? Ma un’immagine era ancora più violenta: anche i nazisti, nei lager, si commuovevano ascoltando musica classica, restando gelidi come il marmo di quell’altare davanti alla loro crudeltà senza perdono.
Così riapriva gli occhi, preferendo pensare che proprio quella musica e quel senso di pace lo avrebbe reso capace di gesti caritatevoli; il cuore di pietra mutato in cuore di carne grazie a quegli occhi lacrimevoli. Sollevò gli occhiali al di là delle sopracciglia, si passò gli occhi con il dorso della mano, col fazzoletto soffiò il naso.
Avrebbe voluto un canto eterno. Il coro non sbavava, l’organista centrava ogni nota, nessuna stonatura incrinava l’armonia del prologo di quella solenne celebrazione eucaristica.
Era felice: di credere (una fede dubbiosa e fedele) e di aver scelto quella chiesa per la Veglia Pasquale.
Rari colpi di tosse disturbavano la pace di quel canto. Fu nuovamente distratto dal pensiero che qualche imbecille avrebbe fatto suonare il ritornello del telefono cellulare. Dovette accettare di avere una mente che non gli obbediva, pensieri vaganti e dispettosi che indispettivano il suo bisogno di distacco.
Lentamente, come avevano esordito, la musica e il canto si spensero, lasciando nella chiesa un silenzio, ferito da piccoli rumori in sottofondo.
Ora toccava al celebrante.
Eppure glielo avevano detto, e più di una volta. Quel sacerdote aveva il malvezzo di scandire le parole con eccessiva velocità. Col rischio di mangiare le sillabe. Pezzetti di parole che si smarrivano nella sua foga d’arrivare alla fine, per non far durare troppo la celebrazione o per altri motivi che nessuno sapeva.
Lo avevano avvisato, ma un uomo in abito talare non è stato educato ad obbedire, se non al suo vescovo o al Papa.
In quel silenzio d’attesa, cessata la musica, muto il celebrante, lui aveva preso il foglio della liturgia e aveva anticipato la lettura che spettava al prete: ‘Esultino i cori degli angeli, esulti l’assemblea celeste. Per la vittoria del più grande dei re, le trombe squillino e annuncino la salvezza.’
Il sacerdote partì e questo regalò all’assemblea dei fedeli, con voce squillante: “Esultino i cori degli angeli, esulti l’assemblea celeste. Per la vittoria del più grande dei re, le trombino….e annuncino la salvezza.”
La breve pausa, frutto di consapevolezza, accentuò nei presenti la percezione che ci si trovasse davanti ad una stecca clamorosa.
Lui se ne accorse. Si guardò intorno. Vide due ragazze del coro, giovani e carine, che si guardavano negli occhi e sorridevano. In quelle labbra malizia e divertimento.
Guardò verso il possente crocifisso, che pendeva sopra il prete. Il Cristo, potendo, se lo sarebbe mangiato.
martedì 21 giugno 2011
Solstizio d'estate
E anche se....
Tricolore
lunedì 20 giugno 2011
Camoscio femmina
La Giuria ha deciso
Il dottor Andrea
domenica 19 giugno 2011
In memoria di Giovanni
ASSERRAGLIATI SUL CAMPANILE
Salendo stamani in bici al Campo dei Fiori me lo sono trovato davanti, che camminava, insieme all’amico Gerosa. E non poteva essere altrimenti, perché il mio amico Giovanni Cerutti, tutte le domeniche, saliva a piedi al Campo dei Fiori. Sì, anche ad 85 anni, anche pochi giorni prima di morire, dopo una breve e irrimediabile malattia. Qualche giorno fa il funerale, nella nostra Sant’Ambrogio. Di lui l’ex parroco don Giuseppe Cattaneo (che ha tenuto l’omelia durante le esequie) ha detto ciò che avrei detto anch’io: uomo esemplare, dal sorriso buono, dalla generosità svelta (‘Arrivo subito!’), padre e marito devoto, uomo di fede, parrocchiano sempre attento alle necessità dei più bisognosi, vicepresidente della scuola materna ‘Gianna Beretta Molla’..insomma, un lungo elenco di buone qualità e di talenti ben spesi, al servizio della comunità. Ma don Giuseppe non ha citato un aneddoto che io avrei citato; perché Giovanni Cerutti è stato anche un uomo politico, un esponente della Dc che non ha fatto una gran carriera in giacca e cravatta (non era nelle sue intenzioni) ma ha dimostrato che bene celeste e bene terreno si possono conciliare. E poi l’aneddoto. Nel primo dopoguerra, quando all’eccitazione della fine dell’incubo bellico si univa l’ardore giovanile, Giovanni (insieme ad altri santambrogini doc, fra i quali Natale Gorini) aveva escogitato un piano: salire sul campanile e far suonare le campane, nel bel mezzo di una proiezione cinematografica all’aperto, in piazza Milite Ignoto, organizzata dai comunisti. E così fecero, più volte, obbligando i ‘rossi’ ad interrompere le riprese. Ma gli uomini di Stalin non furono certo concilianti, e attesero ai piedi del campanile la discesa dei buontemponi della Dc. Che furono dunque costretti a passare la notte asserragliati sulla torre campanaria, in attesa che sorgesse il sole e che la gente del Pci andasse al lavoro, liberando l’uscita.
La Provincia di Varese domenica 19 giugno 2011