lunedì 31 dicembre 2012

Cicale al carbonio 14



                                     quattordici


Di mano in mano che Beatrice s’avvicinava alla fontana dei Giardini di Palazzo Estense, si convinceva che quell’uomo seduto sul bordo di pietra era lui. Arrivato in anticipo.
Il sole, alto, saliva oltre le punte dei pini che coprivano il colle di Villa Mirabello. La grande fontana era ai piedi della montagnola, il forte getto d’acqua era sputato dalla pompa per molti metri; ricadeva come pioggia leggera, allargandosi in uno zampillo che dilatava il suo diametro con minuscole gocce di vapor d’acqua.
Eccolo: casco in mezzo ai piedi, s’era tolto la giacca di pelle, camicia azzurra aperta sino a metà petto, maniche rimboccate, jeans, scarpe da tennis.
Si sentiva impotente, finita dentro una storia non sua, che seguiva da spettatrice. Ma era l’attrice.
Lui che certezze poteva offrile? Era davvero stata capace di far impazzire un uomo o lui era solo indispettito verso una moglie incapace di dargli un figlio?
Sceso dalla bicicletta Marco era un mediocre, ma lui chi era? Cosa voleva, arrivato come un ladro dopo cinque anni di matrimonio?
Camminava lentamente per tenere al riparo le domande, ma alla fine arrivò alla fontana.
“Ciao” e s’alzò, prendendo il casco fra le mani.
Era già un ciao di vittoria? Trattenne il suo, che uscì malamente, con una vocina poco spontanea.
“Andiamo su a Villa Mirabello?”
“Va bene…” Era deciso, persino troppo. Un uomo, e lei si stava comportando da ragazzina.
Si sedettero su una panchina, all’ombra, non lontani da una piccola costruzione; pareva un trullo di Alberobello, era l’ingresso di un rifugio antiaereo sotterraneo. I varesini di quelle parti correvano lì sotto durante la Seconda Guerra Mondiale, quando i bombardieri americani impestavano il cielo della città e sganciavano bombe.
A intervalli regolari un trenino sferragliava a pochi metri dai lori piedi; i vagoncini erano occupati da un piccolo viaggiatore soltanto, due, tre al massimo; era una mattina feriale.
“Ti amo…ti amo…” ripeteva, e le accarezzava i capelli biondi, li pettinava dietro l’orecchio con le sue dita da pianista.
Beatrice non aveva parole adatte alle sue certezze.
“Sono sincero…fanne ciò che credi…”
“Isa?”
“Sospetta.”

***   
 
“E qui comincia il bello” disse Mauro a Paride e a milioni di telespettatori.
“Già” disse Paride. “Quando superi Trafoi e ti vedi davanti tutti quei tornanti, quel muro da scalare, ti passano i brividi per la schiena.”
“E tu, caro Paride, di brividi ne hai sentiti da queste parti” disse Mauro.
“Lo Stelvio mi ha sempre fatto paura. Ci sono arrivato quattro volte nei miei Giri d’Italia. Ti assicuro che ogni volta sono emozioni diverse ma la fatica è sempre quella, enorme. Uno sforzo immane.”
“Io posso solo descrivere la fatica degli altri, quella che ho letto sul volto degli atleti, stando comodamente seduto, bhè, neanche tanto comodo, per la verità, sulle moto della Rai. Posso intuire…del resto questo è uno sport per duri e non sono certo io il primo a scoprirlo. Ma facciamo il nostro lavoro. Andatura turistica lungo la Val Venosta, anche a causa del forte vento contrario e ora, un chilometro dopo Trafoi, il gruppo è ancora compatto.”
“Ricordiamo la situazione di classifica alla partenza da Bolzano” disse Paride. “Maglia Rosa sulle spalle di Giuseppe Togni, del Team Tortex, secondo Casavola a cinquantacinque secondi, terzo Marco Marchi della Toshibas Bike a un primo e due secondi, quarto Javier Saienz a due minuti e dieci secondi, quinto Moies Aldape a due e quindici.”
“Tutto è possibile” disse Mauro “ma restringerei la cerchia dei papabili al trionfo di Milano ai primi tre: Togni, Casavola e Marchi.”
“E se pensiamo alle tante salite ancora in calendario, direi solo Togni e Marchi.”
“In effetti Casavola regge ancora, grazie ad uno stato di forma a dir poco strepitoso, se si pensa alle sue caratteristiche.”
“Certo, perché Casavola è un passista che si sta scoprendo scalatore.”
“Mentre per Togni e Marchi nessuna sorpresa. Come da pronostico, sono lì a giocarsi la maglia sino all’ultimo chilometro.”
                                                                

                                                                                                  14-continua











                                  




domenica 30 dicembre 2012

Cicale al carbonio 13




                                        tredici


Beatrice era sola in casa. Inquieta. Gli aveva detto di no ma la sola cosa che desiderava era poter parlare con lui. Vederlo. Chiarire. Capire. E capirsi. E scopare. Forse.
Guardò l’orologio in sala: le dieci e tre minuti. S’avvicinò al telefono per chiamarlo. Stava perdendo il controllo.
Tornò indietro. Accese una sigaretta. Non s’era ancora seduta sul divano quando partì la suoneria del cellulare. Rispose.
“Dove sei?”
“In casa…che vuoi?”
“Vengo.”
“Dove?”
“Da te.”
“T’ho detto che sono in casa…”
“O da un’altra parte o vengo lì.”
Beatrice schiacciò la sigaretta nel posacenere. Il cilindro di tabacco, consumato meno della metà, si piegò; salì un filo di fumo, diritto ma poco più in alto impazziva. “Qui no.”
“Dimmi tu…”
“Stiamo sbagliando…cosa stiamo facendo?”
“Va bene Varese, ai Giardini?”
“Non ho chiuso occhio.”
“Nemmeno io…Sto rischiando un casino.”
“E io?”
“Ai Giardini, fra un’ora. Alle undici. O sei lì o vengo a casa.”
“Non mi aspettare…non posso.”
“Ciao…fra un’ora…alla fontana.”
“Ciao…” Beatrice attese qualche secondo. “Perché non chiudi?”
“Chiudi tu.”
“Tu.”
“No, prima tu” le disse.
“Tu, tu.”
“Tu.”

*** 

Da Merano si risale la Valle Venosta, fasciati dal vento. Un’ampia vallata che ti respinge, che pare benvolerti con  estese piantagioni di mele e di pere per poi soffiarti contro tutto il suo rifiuto, urlato dall’Austria. Come fossi uno straniero respinto. Il corso dell’Adige scivola da ovest ad est ad indicarti che sarebbe meglio tornare a Merano, a Bolzano e non proseguire per Lasa. Eppure tu vai, continui in salita leggera sino a Prato allo Stelvio, svolti a sinistra e ti lasci risucchiare dalla Trafoier Tal, bella nel canto del Suldenbach, un torrentello che schiaffeggia le rocce e solletica la ghiaia minuta del fondo.
E quieti si sale a Gomagoi. Si mutano acque e il Trafoierbach ti consiglia la strada per Trafoi. Sei protetto a sinistra dall’Ortlergruppe con il Grande Zebrù, quattro chilometri di ghiacci e di pietre. Ma se prosegui dopo Trafoi, qualche tornante ancora e poi svolti a destra e allunghi lo sguardo all’orizzonte, ecco là in cima la tua condanna. Vedrai alla sinistra del Trafoierbach boschi di pini, pascoli macchiati dal rosa dei rododendri e granito e neve e la cima del monte Scorluzzo. Ma per chi sfida lo Stelvio a cavallo di tubi in carbonio, pigiando il metallo e trasmettendo la rabbia a due ruote sottili, la vista deve andare alla destra del rio di Trafoi. Lì si incontra, lungo quanto dista da noi il paradiso, tutto il serpente d’asfalto che striscia sui prati, spire di tornanti aguzzi, di angoli acuti. E tu da lì devi passare, per forza, se vuoi meritarti la cima Garibaldi e lo Stilfer Joch, se punti alla Cima Coppi del Giro d’Italia, lassù, fra l’asfalto ed il cielo. 
                            
                                                                                                   13-continua


                                    

sabato 29 dicembre 2012

Cicale al carbonio 12

                                                                                    salita al Mortirolo



                                            dodici


Beatrice risalì in auto, poche centinaia di metri e si fermò a bordostrada.
Lo chiamò al cellulare.
“Ciao.”
“Ciao…allora?”
“Non ho dormito…Faccio pena…oggi non me la sento…”
Silenzio, rotto da un “Peccato” senza voglie.
“Non me l’aspettavo…non sino a questo punto.”
“Aspettavo, cosa?”
“Ieri sera…quello che mi hai detto…ma di che scelta stai parlando?” Quasi singhiozzava. “Volevo richiamarti subito…ho resistito…poi non ho chiuso occhio, non so nemmeno perché non ti ho chiamato prima.”
“Perché non ci vediamo?”
“Non ho voglia…ma di questa tua scelta mi devi parlare subito…”
“E perché? Tu fai la preziosa e io dovrei…”
“Non fare il cretino…non si scherza più, adesso. Io sto male.”
“Non ho mai scherzato…”
“Scusa.”
Un lungo silenzio. Beatrice piangeva.
“Non piangere…dimmi dove sei…”
“No…oggi no…” Voleva chiudere la comunicazione ma pretendeva la sua voce. Si trattenne. Attese.
“Mollo Isa. Voglio te.”

*** 

Marco era in sala massaggi. Guardando fuori dalla finestra, cercava conferme a quanto aveva già visto: bel tempo, sole per la tappa della verità.
“Allora, Marco, com’è?” chiese il massaggiatore.
“Lo capisco se salgo in sella.”
“Già..”
“Però le sensazioni non sono male.”
“E’ qualcosa” e manipolava il quadricipite femorale.
Ora era passato al polpaccio della gamba destra. Marco chiuse gli occhi, immaginò la giornata, dicevano che la Val Venosta sarebbe stata piena di vento contrario, soffiato in faccia al gruppo dal passo Resia e dal quel lago col campanile affogato, che portava sfiga.
Le alternative non erano molte: resistere in caso di attacco e cercare la botta sul Mortirolo, sperando che l’altro non recuperasse nella discesa sulla Val Camonica. Sarebbe rimasta sempre la salita verso l’Aprica, poca roba, pendenza minima. Doveva dimezzare lo svantaggio oggi, confidando poi nel Cuvignone e nel Campo dei Fiori.
“Dove pensi di fregarlo?”
“E dove, secondo te?”
“Non vorrai partire sullo Stelvio.”
“Stelvio?”
“Ti conviene stare a ruota…”
“A ruota ci starà lui, visto che ha la maglia.”
“Già…il Mortirolo sembra fatto apposta…”
“Per farsela nelle mutande.”
Il massaggiatore rise e passò alla gamba sinistra.
   

                                                                              12-continua



                                                    



                                       

venerdì 28 dicembre 2012

Cicale al carbonio 11



                                         undici


Marco Marchi scendeva dal Passo Sella verso Canazei, dopo aver saltato la gobba che separa la Val Gardena dalla Val di Fassa. Faceva freddo. Un freddo insopportabile, feroce. Sopra di lui un cielo duro e grigio come marmo; dal fondovalle saliva la nebbia. Pioggia sottile, aghi gelati capaci di penetrare il giubbino impermeabile. Le migliori fibre si sbriciolavano contro il fiato pesante delle Dolomiti. Di fronte a lui la Marmolada, neve e nebbia. Alla sua destra le sommità del Sassolungo, del Sassopiatto e delle Cinque Dita pungevano nuvole che si andavano dilatando. Alla sinistra e alle spalle il massiccio del Sella, massa incombente. Non poteva distrarsi, ma lesse un cartello di legno, che indicava la Val Lasties.
“Gesù Madonna” disse Audisio, suo compagno di squadra.
“Dio bono…e siamo all’inizio” disse lui.
“Come va?”
“Di merda.”
Marco chiamò l’ammiraglia, si fece dare altro da coprirsi, cercò di mettersi sopra qualcosa ma sentiva che il freddo, ormai, era dentro. Solo la salita avrebbe potuto scaldarlo. Solo il sole, che per quel giorno non era previsto. Davano piuttosto neve, su al Fedaja e al Giau.
Cercava di ripararsi stando dietro ai suoi uomini, appiattendosi, fasciando la bici, abbracciandola ma quel metallo era freddo.
Il casco, gli occhiali ma l’aria dei sessanta all’ora trapassava ogni protezione. E più adagio non si poteva andare. Nonostante la pioggia. Nonostante il freddo. Nonostante un paio di cadute, appena dopo la sommità del passo.
Marco cominciò a tremare, e c’era anche paura lì in mezzo, la paura di cadere e farsi male sul serio, e la paura di non poterlo vincere quel Giro.
Frenò andando incontro ad un nuovo tornante. La ruota posteriore derapò, restò in sella ma il cuore diede una botta forte. Si pulì gli occhiali, strinse le corna del manubrio quasi a strozzarla quella paura, ad aggrapparsi ad un sostegno rassicurante.
Canazei era ancora lontana. Anche raggiunta non sarebbe arrivato l’albergo ma altre salite e discese e salite e discese per tutto il giorno. Come tirare sera senza mollare?
Il traguardo di Bolzano gli parve irraggiungibile.
Ora un lungo rettilineo, la velocità si impennava, non bisognava farsi staccare. Il vento lo prendeva a schiaffi senza riguardo.
Frenò di nuovo, partendo da lontano. La pioggia in aumento girava come una fontanella sulla ruota, gli solcava il viso e il culo.
“Mestiere da derelitti!” Era Gentiloni, della Niker.
Marco avrebbe voluto piangere. Zacchei rideva, nonostante tutto: uno che avrebbe riso all’inferno, fatto divertire Belzebù.
Un piccolo lago, alberghi e il bosco più fitto. Ai tornanti cartelli indicavano l’altitudine: millesettecentotrenta metri sopra il livello del mare. Nessuno s’era permesso di scattare, neppure gli avventurieri alla caccia di qualche ripresa televisiva. Avevano tutti freddo lì in mezzo. Quando potevano, s’avvicinavano per scaldarsi. Ma nel gruppo allungato, biscia colorata a picco su Canazei, scoppiavano soprattutto imprecazioni, battute e, non dette, ricerche di un senso a tutta quella sofferenza fra i monti.

***

Marco aveva chiamato Beatrice, come al solito, prima della partenza della tappa. Tappone di montagna, partenza da Ortisei, un’infinità di passi da valicare. Le aveva comunicato che il tempo era orribile, che sarebbe stata una giornataccia ma che l’umore era buono, si sentiva in forma, avrebbe retto alla fatica, avrebbe forse sfilato la Maglia Rosa a Togni.
Suo marito era stato rassicurante, o almeno così aveva inteso lei: freddo sì, pioggia sì, ma era nel conto di un mestiere che non capiva, ma che considerava alla fine ben pagato, per tutto quel sudore. 
Beatrice aveva in testa altro quel mezzogiorno. S’era fatta prestare uno scooter, non ci saliva dai suoi sedici anni.
Laveno s’abbronzava al sole di maggio, già estivo. Il lago pareva una cartolina dalla Sardegna, acqua increspata e pulita ma solo all’apparenza, perché recenti analisi della Goletta dei laghi avevano negato la balneabilità proprio ad alcune spiagge del lavenese. Fregandosene dei responsi degli ambientalisti, aveva preso verso sud, sino a Santa Caterina del Sasso.
Guidava adagio, per ricordarsi emozioni di una decina d’anni prima. Poi dava gas e allora l’aria si rinfrescava, quasi fredda, mai fastidiosa. Piacevole come una carezza.
Aveva lui nella testa. E lui ingigantiva, schiacciando paure e rimorsi. Non aveva fatto nulla al marito. Non l’aveva tradito. Per il momento. E nulla avrebbe fatto, forse, però quel forse se lo teneva, guidando sui confini del lago.
Passò la spiaggia di Reno, salita, discesa e lo sperone, nel quale avevano incastonato come una pietra dura l’abbazia dedicata a Santa Caterina del Sasso.
Fermando lo scooter al posteggio s’accorse che faceva caldo. Sfilò il maglione, ripose il casco nel portaoggetti, rimise gli occhiali da sole e decise che ci sarebbe stato il tempo di farsi tutta la scalinata. Né era intimorita dal ritorno, centinaia di gradini contro la forza di gravità.
Arrivò in basso, entrò nel porticato che conduceva alla chiesa. S’affacciò sul lago. Vele bianche sfidavano onde degne di rispetto; di fronte le isole, la sponda piemontese, Stresa, Verbania, il braccio che s’infilava verso Gravellona Toce, le montagne in crescendo sino ai ghiacci delle Alpi. Aveva fatto molta neve quell’inverno.
Il portone della chiesa era bloccato. Beatrice non ci rimase male, non aveva voglia di pregare, solo un po’ d’ombra perché il sole alto e la scalinata in discesa le avevano messo sete. Si sentiva sudata, impresentabile. Pensò ai gradini da ripercorrere in senso inverso come ad una scocciatura. Avrebbe dovuto pensarci bene, prima di lasciarsi scivolare dall’alto al basso, verso le acque del Verbano. Non era una sportiva, ma da lì a Reno di Leggiuno ci sarebbe stato il tempo di mettersi un po’ in ordine.

***  

“Gentili telespettatori, oggi potrebbe anche decidersi il Giro d’Italia. Tu che ne pensi, Paride?”
“Anzitutto un saluto anche da parte mia al pubblico televisivo, che ancora una volta, letti i dati auditel, nella tappa di ieri con arrivo a Ortisei è rimasto per ore incollato davanti al teleschermo.”
”E oggi abbiamo ragione di credere che sarà lo stesso, perché con oggi iniziano tre giorni pazzeschi.”
“Al termine dei quali si saprà chi potrà vestire definitivamente la Maglia Rosa.”
“Con pieno merito, perché solo un campione di razza può reggere a queste tre tappe infernali.”
“Intanto oggi si comincia con una giornata di quelle che hanno fatto la storia del ciclismo, reso eroi atleti ammirati da tutto il mondo degli appassionati di questo sport.”
“E sì, oggi danno persino neve, al Passo Giau, al Pordoi.”
“Qui al traguardo di Bolzano tira vento e scende un’acqua di ghiaccio. Freddo intenso, anche se non nuovo per i tapponi dolomitici, che hanno contrassegnato le vicende dei Giri d’Italia.”
“Ecco una notizia d’agenzia…la leggo così come mi è arrivata…neve allo Stelvio, Cima Coppi di questa edizione del Giro. Quindi è in forse il passaggio domani…c’è il rischio concreto di un ridimensionamento della tappa.”
“Intanto ricordiamo ai telespettatori cosa attende i corridori. Questi i passi dolomitici di oggi: Sella, Fedaja, passi che i corridori hanno già valicato in questo momento della corsa. Ora stanno scalando il Passo Giau…purtroppo non abbiamo immagini in diretta, gli elicotteri che garantiscono il ponte non hanno potuto levarsi in volo, non resta che accontentarsi delle notizie via radio…”
“Come ai vecchi tempi, caro Paride. Dunque, stavi elencando le fatiche di oggi: Giau, e poi Falzarego, Pordoi, picchiata di nuovo su Canazei, passo di Costalunga, che non è un gran passo rispetto agli altri, ma arriverà al termine di una giornata da tregenda, quindi la picchiata conclusiva per la Val d’Ega, con arrivo a Bolzano.”
“Oggi niente arrivo in salita, quindi forse la classifica potrebbe risultare immutata, ci sarà il tempo di recuperare in discesa, e ricordiamo che Togni, a differenza di Marchi, in discesa è una moto. Rischia, qualcuno dice anche troppo, ma lui risponde che il rischio è la benzina del ciclismo, come la sofferenza è il suo ossigeno.”
“Nemmeno il tempo di prendere fiato e domani ancora in sella, per una seconda tappa di montagna, con la Cima Coppi al Passo dello Stelvio, duemilasettecentosessanta metri sul livello del mare.”
“Dove, come già detto, in questo momento sta nevicando a larghe falde. C’è chi mette in dubbio la regolarità della tappa di domani, ma le previsioni meteo fanno ben sperare. La perturbazione che oggi rende la vita difficile ai corridori, domani sarà nella ex Jugoslavia, e da ovest è previsto sereno.”
“Non possiamo che augurarlo ai campioni che domani avranno, dopo la partenza da Bolzano, il passaggio a Merano, subito salita lieve, svolta a sinistra a Prato allo Stelvio e poi via, verso la Cima Coppi. Previsto un  traguardo volante a Trafoi, il paese del grande sciatore Gustav Thoeni.”
“Stelvio, picchiata su Bormio, l’alta Valtellina e poi di nuovo svolta a sinistra, questa volta verso il Mortirolo.”
“Che non sarà lo Stelvio in quanto ad altitudine, ma non ha nulla da invidiargli in quanto a difficoltà.”
“Discesa in Val Camonica e arrivo in salita all’Aprica, un arrivo che spesso ha visto concludersi tappe del Giro d’Italia.”
“Infine dopodomani. Potrebbe essere considerata una tappa di trasferimento, quella che dall’Aprica condurrà i girini a Varese. Se non fosse che a pochi chilometri dall’arrivo gli organizzatori hanno voluto rendere la vita difficile ai corridori, con la doppia ascesa del Cuvignone e con l’arrivo in salita al Campo dei Fiori.”
“Ci comunicano che gli elicotteri si sono alzati, approfittando di un buco fra le nuvole…dovrebbero vedersi le prime immagini, probabilmente a metà del passo Giau…ecco, sì, quella è la testa del gruppo, un gruppetto di una decina di uomini…ma si fa una gran fatica a distinguere le maglie, le immagini ci giungono in bianco e nero…”
Sullo schermo apparvero ombre sbiadite di uomini che pedalavano nella nebbia. La sequenza resse pochi istanti, poi il collegamento venne nuovamente interrotto.

***  

Beatrice aveva ripercorso a ritroso la scalinata con leggerezza. Non pensava ai gradini, ai passi in successione, non sentiva la fatica. Distratta da lui, che la attendeva verso le quattordici sulla spiaggia di Reno.
“Se è bello vengo in moto” le aveva detto. Bello era bello, e certo si sarebbe sorpreso di trovarsela in scooter.
Ce l’aveva nel petto eppure lo teneva a bada. Perché, superato l’inizio, quando stava per annegare nell’emozione, le cose procedevano  sotto il suo controllo. Ogni tappa era preparata. Con il crescere del rapporto, saliva un muro fra la sua vita di moglie e quella nuova di amante non ancora compromessa. Un muro che le permetteva di reggere i due ruoli. Quella bugia non era così grave da darle sensi di colpa. A lui il compito di interpretare una donna indecifrabile.
Ci mise poco a raggiungere la periferia di Reno. Era in anticipo. Pensò di fermarsi in un bar, mezzo chilometro non di più da una delle spiagge più frequentate di tutto il lago.
Nel bar la tele era accesa, gracchiavano notizie di un telegiornale. Beatrice ordinò un’aranciata amara, non fredda. Si sedette a un tavolino e finse di seguire le notizie dal video ma pensava all’ora che s’approssimava. 
“Perché non metti sul Giro?” disse uno che stava seduto vicino al flipper, rivolgendosi al gestore del locale.
“C’è già il collegamento?” fece l’altro.
“Ma non sai che tappa c’è oggi?”
Te ghè resùn...Dolomiti…”
“Tanto se lo porta a casa il Marchi il Giro…sabato sono su al Cuvignone…”
“Io vado al Campo dei Fiori.”
Arrivarono le immagini in diretta dalle Dolomiti.
“Fischia, che tempo da lupi” disse uno dei presenti. “Mi sbaglio o sta nevicando?”
“Se stai zitto, magari sentiamo…”
Beatrice chiese scusa e uscì dal bar.
L’ansia la stava opprimendo.
Lo chiamò al cellulare. Concordarono di trovarsi da un’altra parte.

***  

Al passo di Costalunga, ultima asperità di quella giornata d’inferno, le nubi sfioravano la sommità delle creste del Catinaccio. Si stavano alzando, non pioveva più, chiazze di sereno macchiavano l’orizzonte verso ovest, ogni tanto raggi di sole bucavano la coltre e scaldavano l’aria. Solo scintille perché i buchi presto si tappavano, tornava il vento e il freddo impossibile.
Marco concentrava ogni sforzo per evitare di pensare al giorno dopo. Restava lo scollinamento e il budello della Val d’Ega, con l’arrivo a Bolzano.
Aveva dentro un freddo vorace, le salite erano finite, forse si sarebbe scaldato un po’ nei lunghi rettilinei a pochi chilometri dal traguardo, ma intanto restava tutta quella discesa. Da un tifoso a bordostrada ebbe La Gazzetta dello Sport da infilarsi sotto la maglia, ma era carta velina.
Dall’ammiraglia gli allungarono una mantellina. Cercò di infilarsela ma non poteva permettersi di farlo con calma. Togni era una furia in discesa, Marchi aveva penato a non farsi staccare lungo tutti i tornanti precedenti. Forse il bergamasco aveva in animo di braccarlo ancora, di ferirlo proprio in quell’ultima pendenza. Tutti gli uomini di classifica erano insieme, in quel gruppo, forte di una trentina di atleti sfiniti, irriconoscibili.
Nikanov, suo gregario, cercò di dargli una mano ma quella manica non entrava. Quindi la scelta: fermarsi per infilarsela con calma, togliersela del tutto e morire di freddo, fermarsi col rischio che l’altro partisse a tutta, tenersela su a metà, scomoda, col rischio di cadere; scelse la sosta, ci avrebbe messo pochi secondi, sarebbe rientrato subito, Togni non sarebbe stato così bastardo. Quella sua Maglia Rosa avrebbe perso ogni dignità. E perché? Altre volte non era forse successo che un ciclista carogna aveva approfittato per partire? E lui che avrebbe fatto, al posto di Togni? Aveva la coscienza a posto?
Si fermò, le mani erano insensibili, tremava, provò a sbatterle l’una contro l’altra, a sfregarle, subito sentì la frenata dell’ammiraglia della Toshibas Bike, il direttore sportivo allarmato che sacramentava.
“Ma che stai facendo?”
“La mantella…dammi una mano…presto, presto…”
Per farlo ripartire più alla svelta, uno dello staff lo spinse verso valle, facendo pressione sulle sue natiche, dure come un’incudine.
Passò dal lago di Carezza, e subito dopo Togni era già ripreso. Era stato un signore.
Marco mise in bocca qualcosa, barrette e liquidi, ogni sostanza lo nauseava, aveva la bocca infiammata, non poteva dire d’aver sete eppure soffriva.
Il gruppetto era una freccia lanciata velocissima in direzione di Bolzano. Passarono a tutta una galleria malamente illuminata.
Alla loro sinistra un guard-rail poco affidabile, rocce, boschi e, al limitare inferiore di quella vallata stretta, il torrente Betaler ruminava sassi e schiuma.
Pochi i tornanti ma la strada era stretta, il fondo bagnato con qualche chiazza d’asciutto, segno che la temperatura era in rialzo.
Marco prese fiato: Beppe Togni non dava l’idea di voler scattare ancora, dopo che l’aveva fatto per tutta la giornata, e dopo che anche lui ci aveva provato sul Giau e sul Pordoi. Del resto spettava a Marchi l’ònere della prova, toccava a lui sfilargli di dosso la Maglia Rosa, che l’altro si teneva bene abbottonata.
Prese fiato anche perché vedeva azzurro all’uscita della Val d’Ega. Ci sarebbe stato il sole, domani, lungo le rampe dello Stelvio e del Mortirolo.

***     

Arrivata di nuovo alla deviazione per Santa Caterina del Sasso, Beatrice fermò lo scooter. Non riusciva a scacciare dagli occhi le immagine televisive del Giro d’Italia. Cercò una zona in ombra. Il sole la infastidiva.
Pensò alla fatica di Marco. Gli buttava addosso altro fango?
Lo chiamò di nuovo al cellulare: “Non me la sento…facciamo domani…”
“Ma che hai?”
“Niente…vedo l’arrivo della tappa…”
“Non capisco…prima prometti….”
“Se non capisci sono affari tuoi…se ti va bene, domani…”
“E adesso t’arrabbi…”
“Scusa, facciamo domani, non cambia nulla…ti richiamo stasera…”
Ci mise poco a rientrare in casa. Entrò e accese la tele prima ancora di togliersi il casco. Si sedette. Sintonizzò su Rai Tre. Posò il casco, le chiavi e gli occhiali da sole sopra il tavolino con il piano di cristallo. Alzò il volume. Il gruppetto dei fuggitivi era all’ultimo chilometro. Né Marco né i migliori stavano lì. I telecronisti le fecero sapere che non era in pericolo né la Maglia Rosa né il secondo posto di Marco Marchi, della Toshibas.
Altre immagini; questa volta lo vide, un’ombra a ruota di Togni. Ebbe la tentazione di chiamarlo per la terza volta, di annullare tutto. Si trattenne, vide l’arrivo, sospirò.
Attese lo spazio delle interviste, si versò una bibita fresca.
Nel ristoro della bevuta, risentì la piacevolezza delle ore trascorse con lui. Non stava facendo nulla di male. A Marco cosa rubava? 
Intervistato dal cronista Rai, Marco aveva detto: “E’ stata dura. Domani non sarà da meno, speriamo nel sole, oggi il freddo ci ha preso alla gola.” E l’altro: “Attaccherà sullo Stelvio o sul Mortirolo?” E Marco: “Saranno le gambe a comandare.”
Beatrice girava per casa scalza, inquieta. Andò in cucina ma non aveva voglia di pensare alla cena.
Suonò il telefono. Era lui.
“Ciao…stai meglio?”
“Ciao, perché hai chiamato qui?”
“Non sei sola?”
“Sì.” Pausa. “Che vuoi? Ti avrei chiamato io. Più tardi.”
“Non ho resistito.”
Beatrice sentì una vampata sul viso.
“Voglio vederti…adesso…” Silenzio. “Mi ascolti?”
Beatrice era nel panico.
“Ti amo…dobbiamo decidere…devi decidere…Io la mia scelta l’ho già fatta.”
     
                                                                                           11-continua
 


                                     


                                           

giovedì 27 dicembre 2012

Cicale al carbonio 10

                                                                                                  Ortisei



                                           dieci


Quando Marco Marchi svoltò a destra, lasciando la valle dell'Isarco e affiancando il rio Gardena, a Ponte Gardena, sentì che l'ansia dilagava, rendendo vani i tentativi di stare tranquillo. Tutti quei chilometri, dalla partenza di Verona, a ripetersi come una fissa che stava bene, che avrebbe retto sino ad Ortisei, che la salita finale sarebbe stata dura ma anche gli altri cominciavano ad essere intossicati dalla fatica. Lo stesso Togni non era più quello di Atri. Maglia Rosa, ancora Maglia Rosa da quella volta, ma lui qualcosa aveva recuperato, già ai Prati di Tivo, anche se quasi nevicava su al Gran Sasso, quel quindici maggio di gelo. Aveva preso fiato nella Gran Sasso-Roma e nella Roma-Arezzo, cercato di recuperare un po' anche nella Arezzo-La Spezia.
La giornata di riposo del diciassette maggio gli era parsa poco benefica. Era partito per la cronometro di La Spezia da favorito, con l'impellenza di rosicchiare secondi a Togni e agli altri che lo precedevano in classifica. Ma era depresso. Anzitutto le ferite della caduta di Manfredonia; le cicatrici sanguinavano soprattutto nel cervello, e poi la vista, un occhio destro ancora annebbiato; le abrasioni s'erano seccate al sole dell'Italia centrale, ma stava male dentro. Poi la tappa a cronometro era guarita da sé, lungo il tracciato, e Marchi aveva vinto, portando via anche più del previsto a Beppe Togni, a Casavola, al messicano che tutti davano pieno di doping come una calza. Qualche rischio lo aveva corso nella decima tappa, La Spezia-Parma, ma i suoi compagni di squadra erano stati fantastici. Una gran stanchezza, poi, nella Parma-Verona, ma aveva occupato lo stesso la sua zona d'ombra fra i primi, sperando che a star lì avanti, respirando l'aria della testa del gruppo, faticando molto ma mostrando gli occhi freschi e il viso disteso, la sua convinzione si sarebbe ripresa. E che aveva fatto per tutte quelle ore, da Verona verso le dolomiti, se non ripetersi come un'ossessione che il Giro sarebbe stato suo, che quella corsa doveva vincerla, anche a costo di crepare? E costeggiando l'Isarco anche a quello aveva pensato, quando lo sforzo lo invadeva come un nemico: buttarsi là sotto, basta con quel mestiere impossibile. Ed eccolo adesso, alla svolta di Ponte Gardena, tredici chilometri sino ad Ortisei-St.Ulrich tutti in salita. Avrebbe mantenuto la quinta posizione nella generale? Primo Beppe Togni, poi il messicano Aldape a uno e ventitré, terzo Casavola a uno e trenta, quarto Javier Saienz a uno e trentuno e quinto lui, a uno e quarantacinque. Quell'ansia che gli faceva bruciare il petto nessuno doveva vederla.
Risalì il gruppo. Davanti a lui i suoi tre gregari per le montagne: il russo Dimitri Nikanov davanti, Luigi Zacchei e Gabriele Audisio.
Togni lo affiancò, non si voltò, lo superò andando davanti al russo. Non s'era voltato ma anche a indagarlo così, di profilo, gli era parso per nulla in affanno; tirava agile un sedici, e lui faticava con un diciotto. Intanto la salita, senza impennate, aumentava i gradi di pendenza. Togni: la sera prima, gli aveva lanciato una frecciata cattiva. Che aveva trovato, come risposta bergamasca, una bestemmia e un "Taci, gardesano di merda!" Se esisteva qualcosa di più ostile dell'odio, quello era il nome del loro rapporto.
In quei primi otto chilometri, sino a San Pietro, partirono a turno Casavola, Aldape e il lettone Belok, ma il treno di Marchi aveva sempre riportato sotto il capitano. Luigi Zacchei pagò quelle rincorse. "Sono cotto" confessò a Marco, rese più agile la sua pedalata e si lasciò ingoiare da chi seguiva i protagonisti, una ventina in tutto i ciclisti nel ridotto gruppo di testa. Ora Marchi aveva un gregario in meno, a San Pietro, cinque chilometri dall'arrivo di Ortisei, quando la pendenza s'ingrugniva e gli scatti sarebbero stati cattivi. E lui faticava a tenere la ruota di Gabriele. Una fuga a quel punto...Ma anche ammesso di arrivare coi primi al traguardo, come sopportare le tre tappe di salita, una dietro l'altra, senza riposo, in calendario dopo quella?
Gabriele lo affiancò, uno sguardo come a dirgli 'Come va?', Marco simulò uno stato decente, Audisio superò l'altro gregario Nikanov e si portò davanti. 'Gesù Santo, non ce la faccio...' e non riusciva a capire come avrebbe fatto a sopportare una sofferenza maggiore. Poi qualcosa scoppiò dentro di lui, a dirgli di varcare la linea di confine di un atto sensato. Chiese a se stesso un sacrificio superiore: senza domandarsi il perché, se valesse la pena, se avesse un senso, se i soldi meritassero tanto. Pur di crepare, come Tony Simpson sul Mont Ventoux al Tour del 1967, ma avrebbe sofferto sino a farsi spappolare il cuore.
Era a tre spanne dalla ruota del russo Nikanov, risalì sino allo sfioro dei copertoncini. Quattro chilometri al traguardo. I tifosi cominciavano a farsi sotto, riducendo la sede stradale. Marchi ebbe l'idea che in quella parte d'Italia, un po' troppo austriaca, tifassero soprattutto per la Maglia Rosa, qualcuno per lui ma il tifo esagerato e le scritte sull'asfalto erano per Emil Insam, enfant de pais, di Santa Cristina; correva in casa, fra le sue montagne, e stava lì davanti contro ogni previsione, spintonato verso Ortisei dal vento delle urla dei suoi fans. Proprio Insam tentò la fuga, a tre chilometri. L'altoatesino guadagnò una decina di metri, Togni fu il primo a reagire, seguito dal messicano Aldape, da Casavola.
Gabriele Audisio riuscì a non farsi scappare il vento buono della ruota di Casavola, il russo davanti a Marchi aveva perso brillantezza, Marco capì che anche un secondo senza reagire sarebbe stato di troppo. Superò Nikanov, respirando come un asmatico si riportò su Gabriele.
Dallo Sciliar, dall'Alpe di Siusi, dalla Val Gardena soffiavano verso i corridori alitate di vento caldo. Marchi ormai non stava quasi mai seduto. In posizione Pantani, con il culo che ondeggiava su e giù nella danza della fatica e le mani strette nella parte bassa del manubrio, come un toro con le banderillas nella carne, Marchi seguiva la ruota di Audisio. Non era più il tempo di bere, di pisciare, di far calcoli, di parlare via radio con il team manager. Fatica allo stato puro, rabbiosa, disperata. Sotto lo striscione dei due chilometri, quando la folla si faceva invadente, con le moto troppo vicine, la vista sempre più annebbiata (scaraventò gli occhiali da sole sull'asfalto), Marco intuì che Gabriele non reggeva più la ruota di Casavola, un metro, due, tre. Cotto anche lui. Restava solo. Come è solo il capitano, che ostinatamente non vuole abbandonare la nave succhiata dal mare. Era il tempo di tirar fuori le palle.
Se Marchi, a quel punto, avesse pensato alle tre tappe che lo attendevano da lì alla fine del Giro, non ce l'avrebbe fatta a continuare. Ma la fatica almeno questo regalava: la dimenticanza. Superò Gabriele e riuscì a raggiungere Casavola. Qualche metro più innanzi intuì la sagoma di Aldape. Più avanti ancora erano in due, la Maglia Rosa e l'altoatesino, esaltato dall'impresa di giornata.

*** 

“Eccoci sotto lo striscione dell'ultimo chilometro, gentili telespettatori. In pochi metri ci sono tutti i migliori. E resiste anche Emil Insam, della Niker. E' lui che passa per primo ai mille metri, con a ruota la Maglia Rosa Giuseppe Togni detto Beppe. A tre secondi Moies Aldape...Sette secondi, questo il distacco dell'altra coppia, Giacomo Casavola della Landre-Didal e Marco Marchi della Toshibas Bike. Più indietro Audisio e il russo Nikanov. Siamo agli ottocento metri...”
“Ultimi ottocento metri e tutte le carte sono ancora coperte. In teoria, se Casavola riesce a raggiungere i due di testa, è il più veloce in volata, ma in un arrivo in salita tutto è possibile. Nessuna teoria vale più. E poi Togni vorrà i secondi dell'abbuono.”
“Certo non farà vincere Insam, il gardenese che corre fra la sua gente...”
“Non può permetterselo...ecco, scatta Togni”
“Ai trecento metri è partita la Maglia Rosa...Emil Insam non ce la fa, non ha le gambe per stargli dietro, ma arriva Aldape...al suo traino Casavola e Marchi..finale stupendo, al cardiopalma...Primo Togni, Insam è risucchiato da Aldape, ripreso anche da Casavola e Marchi...Togni mantiene qualche metro...ai cento metri è sempre primo ma i tre sono in rimonta, Casavola, Casavola...sa di poter sfruttare un miglior spunto in volata, il messicano non reagisce, Insam è battuto, Marchi tiene la ruota del capitano della Landre-Didal...”
“Lo riprendono, lo prendono...”
“Casavola è su Togni, Marchi è lì anche lui...Casavola, Casavola, Marchi, Casavola, Marchi, se la giocano spalla a spalla...Casavola, Marchi, Marchi, Marchi...vittoria di Marchi, mezza ruota su Casavola...vittoria stupenda del capitano della Toshibas.”
“Marchi, ancora lui, dopo la crono di La Spezia...”
“Marco Marchi...il veronese meglio di così non poteva inaugurare le tappe di salita, il trittico della fatica...del resto è questo il suo terreno.”
“Sarà lui l'uomo da battere, anche se oltre un minuto e trenta da recuperare sulla Maglia Rosa non sono uno scherzo.”
“Un Giro apertissimo...appassionante...”  

                                    
                                                                                                10-continua