giovedì 6 dicembre 2012

Vicolo Canonichetta 11



Undici

Consumato il pranzo –quattro bocconi buttati giù per dovere- Sofia era tornata in camera. Entrata, con circospezione e un po’ di timore, la sorella l’aveva vista sdraiata a pancia in giù, testa compressa prima dalle cuffiette e poi dal cuscino, piedi callosi lanciati in alto, che ritmavano la musica, probabilmente You’re beautiful di James Blunt, quella che lei –date le mitragliate di ripetizioni ossessive- aveva giudicato essere la canzone preferita della sorella, in quella primavera del duemilacinque.
Così era, infatti: Sofia impazziva per James Blunt e per You’re beautiful e proprio quella stava ascoltando, traducendo il testo e complimentandosi con lei, che aveva saputo trasformare la meravigliosa nostalgia per un amore impossibile con la stupenda realtà di un amore, che s’era materializzato nella sostanza, quanto mai apprezzabile, di Altin. Altin Meciani, albanese di Skoder, classe millenovecentottantaquattro, due anni più di lei, arrivato in Italia, al porto di Brindisi, il dieci marzo millenovecentonovantuno, sette anni non ancora compiuti (nato infatti il ventun marzo), in braccio alla madre, guardando impaurito il padre, perché a Brindisi faceva un freddo cane, pioveva, la traversata in Adriatico era stata un incubo e nemmeno la voglia di novità dei sette anni, l’amore per l’avventura che regala quell’età erano stati sufficienti per non impaurirlo. Atterrito si aggrappava alla mamma, il suo scoglio in quel mare di disperazione.
Questo Altin aveva raccontato a Sofia. E altro le aveva confidato: la famiglia Meciani in varie tappe era risalita verso il nord di quella nazione così vicina all’Albania, così diversa. I genitori avevano trovato lavoro, casa, ospitalità e comprensione, persino affetto, tanto da decidere di non varcare il confine. Niente Svizzera né Germania. Lì si stava bene. Altin, figlio unico, a vent’anni compiuti poteva vantare anche un lavoro dignitoso.
You’re beautifull finì. Adesso sarebbe arrivata I bambini fanno oh di Povia, ma Sofia non aveva bisogno di prepararsi, di sfruttare la canzone per succhiare gioia. La canzone semplicemente la prendeva per mano lungo la meravigliosa china che aveva imboccato, dopo aver conosciuto quello che molti dei suoi amici chiamavano, anche con disprezzo e un po’ di invidia, l’albanese.      

                                                                                     11-continua 

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