domenica 25 novembre 2012

Quel giorno che tremò la notte 31-10



TRENTUNO  dieci
Per la seconda volta lo lasciava non con una domanda, tante domande che sarebbero tornate, subito, nelle ultime ore della notte. Avrebbe avuto ancora bisogno di lei, ma avrebbe trovato il coraggio di chiamarla? Voleva parlarle. E voleva risentirsela vicino, l’eco dei respiri. Il calore di due corpi che si toccano. Dio mio, com’era freddo il suo Dio. Distante. Capace di rivoltargli la vita, di condizionarla sino alla vocazione estrema, alla scelta senza ritorno, ogni ora, ogni attimo, ogni rinuncia per Lui, un Signore invisibile e muto. Un Dio senza corpo, intangibile. Un Dio di pura invenzione, necessario quindi creato come una fantasia qualsiasi. Quanto aveva bisogno di poter stringere un’anima fatta di carne.
Guardò la ragazza e invidiò il loro atto d’amore e provò una pena infinita per come era finita. ‘Un segno, mio Dio…perdonami per ciò che ho detto…annulla i miei pensieri, Tu che lo puoi…. Non capisco questa notte, il senso, non mi comprendo più, sto perdendo l’orizzonte, illuminami con la Tua luce….Ti prego, sono nelle Tue mani, sono povero e solo, aiutami…’
Tornò vicino al letto, raccolse la croce che era finita vicino ai piedi di Roberta, si sedette sul divano, baciò il crocifisso, più volte, con delicatezza, sentì il fresco del metallo, guardò il volto del Suo Signore. Non era una smorfia di dolore. Pareva sorridere.
Si alzò, tornò vicino alla parete, risalì sulla sedia e cercò di appendere il crocifisso. Non ci vedeva abbastanza per riuscire ad infilare il gancio. Accese una lampada più potente. La luce artificiale lo obbligò a socchiudere gli occhi. La vista si era abituata alla penombra. Con quel fascio luminoso riposizionò il Cristo al suo posto, lì, dove si notava la sua ombra chiara. Si distrasse pensando che la luce sulle pareti bianche le ingrigisce. Discese dalla sedia e spense subito la luce. ‘Tanto non l’avrebbe svegliata’ pensò. Anche un faro più potente, anche lo stesso sole sceso in quella camera non sarebbero stati in grado di liberarla da quel male insanabile. ‘Signore, luce della mia vita, fai ciò che è nel Tuo disegno. Ma falla vivere’ pregò rivolto al Cristo pendente, tornato nella penombra. Camminando verso il divano schiacciò un oggetto che era finito a terra, perse l’equilibrio, rischio di finire sul pavimento, con un movimento da clown, sgraziato, riuscì ad ancorarsi al letto, che cigolò. Aveva schiacciato la corona del rosario. La raccolse e tornò seduto.
Pregava augurandosi che tornasse Maria. Lo avrebbe aiutato a raggiungere l’alba. Avrebbero parlato. Si augurò una nuova scossa, sarebbe ricomparsa, forse si sarebbero abbracciati di nuovo. Pensava e pregava, Ave Maria, Ave Maria…la Santa Madre, e si distrasse subito, ‘Il Signore accetterà anche questa mia preghiera senza concentrazione, il Signore è buono e grande nell’amore, è misericordioso’…sì, perché ora pensava a Maria e dalla Vergine arrivò alla madre, a sua madre, che venne con tutta la sua tenerezza e il suo vigore. Una donna che l’avrebbe voluto prete (‘dei mie figli tu sei il più adatto, pensaci, Marco’) ed era stata accontentata. Una donna che aveva sofferto troppo ed era morta da un anno, tre mesi e dieci giorni. E gli mancava. Pensò a Maria, forse era la madre morta che rivoleva nel loro abbraccio, il bisogno di una mamma che non finisce mai. ‘Ecco perché hanno inventato le Avemarie, certo, ci voleva la mamma di Gesù, una madre divina…’ Non si scandalizzava più di quelle trovate della mente. Le accettava come parte della sua debolezza di uomo, ma anche della sua ricchezza. Si consolava pensando che, al termine della danza dei suoi pensieri blasfemi, tornava comunque a pregare…’Signore, dove andremo? Tu solo hai parole di vita eterna’…La preghiera restava l’arma più potente, il solo approdo.
Seduto non riusciva a rimanere. le gambe inquiete, nervose lo obbligarono ad alzarsi di nuovo. Guardò una volta ancora la camera, che conosceva nei particolari. Vide il cestino dei rifiuti, conteneva un quotidiano, ‘strano, ieri non l’hanno svuotato?’ e il giornale lo riportò alla cronaca del terremoto. Volle prenderlo per sfogliarlo, ci ripensò, tanto non sarebbe cambiato nulla, e sulle notizie la tendenza era chiara: cercare il colpevole, l’errore umano, affidare al materiale scadente la colpa di quella disgrazia mortale, che obbligava migliaia di persone al soffrire. Si raccontava anche della sopportazione degli abruzzesi, della loro pazienza e dei progressi nella rinascita, ma il dito era puntato contro chi avrebbe potuto prevenire e non lo aveva fatto. Accuse ai politici del passato e ai presenti, alla protezione civile, e certe telefonate che tornavano, uno schiaffo che bruciava, la dimostrazione della pochezza degli uomini. Era stato tentato di scrivere ai giornali, con il desiderio di raccontare anche il bene, le prove di coraggio, la santità quotidiana, ma aveva sempre desistito, ‘non serve a niente, meglio fare fare fare, raccontare non aiuta questa povera gente’ così si era meritato solo qualche breve cronaca sulle pagine locali, il prete che dice messa nella tendopoli, don Marco, il sacerdote che si è fermato in Abruzzo, aveva raggiunto una sfumata notorietà della quale a volte si faceva vanto, pentendosi di tanta vanità. Il colpevole, la caccia al ladro, il capro espiatorio per soffrire meno, per dare una ragione a quello sfogo della natura: don Marco si fermò e guardò la croce. ‘Sei Tu il colpevole? Sei forse Tu il sole responsabile, al quale nessuno si rivolge in protesta? Sei Tu che meriteresti le nostre maledizioni e invece la passi liscia un’altra volta? Distante e silenzioso? Qualche bestemmia, qualche bestemmia te la sei presa, giusta o ingiusta non lo so, tu non mandi segni…o forse il segno è proprio la terra che trema, per ricordarci cosa? Per ammonirci? Per castigarci? Come Sodoma e Gomorra? Questi pensieri mi fanno paura, io voglio un Padre Buono. Lo so, lo so che non ci punisci così, che un Padre buono accoglie. Hai scelto la Croce per salvarci, e dalla croce ci obblighi a soffrire in questo modo? Che senso avrebbe? Doni la tua vita per la nostra salvezza, e poi ti riprendi la nostra esistenza fra i tormenti? O sei costretto ad obbedire ad un Padre lontano? Mio Dio, fatti capire! Devo sapere che non sei Tu il responsabile.”
                                  31-10 continua 

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