sabato 27 ottobre 2012

Quel giorno che tremò la notte 8



OTTO

Intimorita, Roberta entrò nell’appartamento di Romano. Carlo non c’era. Fu colpita dall’odore di fumo, un sapore cattivo di aria senza ricambio, di avanzi di cibo. Ma di quello tacque.
“Carino.”
“Un buco, ma ci basta. Vieni.”
Glielo aveva anticipato, sapeva dove sarebbero andati, non credeva così in fretta.
Entrò in camera da letto.
“Siediti qua”  e Romano le indicò quale parte del letto avrebbe dovuto occupare; avrebbe fatto da sedia ad una piccola scrivania, un tavolino appeso alla parete. Romano lo abbassò come un ponte levatoio, ci appoggiò sopra il notebook, lo accese.
“Non è un po’ piccolo per te?” disse Roberta, battendo le mani sul materasso.
“Ci sto, ci sto…Vuoi un caffè? »
“Un bicchiere d’acqua.” Aveva la gola secca.
“C’è solo quella del rubinetto.”
“Ottima.”
Andò, tornò, si sedette di fianco a lei. “Tieni” e le allungò il bicchiere. “E’ da cambiare, troppo lento questo pc. Mi fa perdere un mare di tempo.” Romano schiacciò il pulsante sulla destra, si accese la piccola luce arancione, partì un fruscio e la porticina si aprì con uno scatto. Infilò il cd.
“Siediti” e la prese in braccio. Ora le sue ginocchia picchiavano contro il tavolino. “Metti queste” e le passò le cuffie.
“Finalmente scopro il segreto.”
“Zitta” le disse, con un tono troppo impositivo.
“Ma tu così non senti.”
“La conosco a memoria.”
Partirono le immagini, Romano le regolò nel punto che aveva pensato per lei: una grande sala di un ristorante, gente ben vestita ai tavoli, un palco, musicisti e l’applauso per l’ingresso di due artisti, lei col violino e lui con una strana chitarra, che teneva in posizione insolita. La riconobbe subito: Alison Krauss.
“Ma che strumento è?” chiese.
Romano non rispose.
Iniziò la musica. Non era una delle canzoni che aveva visto su Youtube, ma la conosceva cantata da James Taylor. Un brano molto noto. Alison aveva i capelli dello stesso colore degli occhi, le sopracciglia curate, un trucco perfetto, pareva il volto finto di una bambola. Ai lobi due orecchini pendenti, che dondolavano ai lievi movimenti del capo, ondeggiare che seguiva il ritmo del canto. Indossava un vestito color nocciola, discutibile, a coprire un corpo con seni piccoli e cadenti, addome come una bassa collina che degradava verso gambe non esili, allungate dai tacchi, almeno un otto. Ma Alison Krauss era la sua voce, che aggraziava le imperfezioni estetiche. Stupenda, angelica ancor più che nelle altre canzoni che aveva sentito decine di volte. E si chiedeva Roberta come fosse possibile, con uno sforzo in apparenza risibile, con un soffio minimo, regalare un suono senza un graffio. Un vento soave e vorticoso che le entrava dentro. 
Chiuse gli occhi. Sentì Romano che la abbracciava appena sotto il seno, che appoggiava l’orecchio sulla sua schiena, che tremava, che le dava piccoli baci, che la stringeva.
Le sue braccia, la musica, quella voce e la loro storia d’amore: cominciava  a crederci. E se lui avesse voluto, se solo l’avesse stretta ai seni e fatta scendere dalle sue ginocchia, regalandole i suoi occhi d’incanto e il suo timore….ma lui non disse nulla fino al termine della canzone, poi le tolse le cuffie dalle orecchie, le chiese “Che ne dici? E’ fantastica” e lei rispose “E’ un angelo” e lui aggiunse “Senti questa”. Roberta allora capì che Alison stava diventando una sua rivale in amore. E si insospettì: Romano conservava qualcosa solo per sé.  



                                                                                        8 - continua






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