martedì 18 settembre 2012

Il racconto del mercoledì



SI CHIAMAVA GLORIA MEANY

“Dal Cantico dei Cantici” disse il reverendo Duddley Wiggins. Avrà avuto non meno di settant’anni. Stavo  in piedi vicino agli sposi, oltre i testimoni: gli potevo contare le rughe. Mi colpì la sua espressione da ragazzo. C’era complicità fra lui, la sposa e lo sposo.
“Bruna sono ma bella, o figlie di Gerusalemme” e lo sguardo del prete accarezzò la fantastica ragazza che gli stava di fronte, in piedi, emozionata. L’abito bianco metteva in risalto la sua pelle abbronzata. Eravamo all’aperto, sotto un cielo che faticava a rannuvolarsi. Ma una nuvola arrivò proprio allora, il sole scappò dal viso della sposa, che parve rattristarsi.
“Bruna come le tende di Kedar, come i padiglioni di Salma” continuò il reverendo Wiggins. “Non state a guardare che sono bruna, poiché mi ha abbronzato il sole. Dimmi, o amore dell’anima mia, dove vai a pascolare il gregge?”
La ragazza che andava sposa ad un ricco proprietario terriero, una mia cugina di secondo grado che amavo segretamente ma che aveva quindici anni più di me, si voltò verso lo sposo, come se davvero fosse lei a rivolgergli la domanda: “Dove vai a pascolare il gregge?”  Guardando lui si voltò anche verso di me e per un istante Gloria, si, il suo nome era Gloria Meany, parve regalarmi una porzione dei suoi occhi stupendi. Ma erano solo per lui, lo avrei capito nel corso degli anni. Nessun interesse per me.
Il reverendo continuò, guardando ora lo sposo come volesse raccomandarsi, trattala con ogni riguardo, è un angelo; era anche il mio augurio, quella donna era davvero speciale.
“Alla cavalla del cocchio del faraone io ti assomiglio, amica mia.” Il prete leggeva con lentezza, forse attendeva che tornasse il sole, pennellando d’oro gli amanti pronti alla promessa.   “Belle sono le tue guance fra i pendenti, il tuo collo fra i vezzi di perle. Faremo per te pendenti d’oro con grani d’argento.”
Lo sposo la guardò; io ero in piedi alla sua sinistra, non potevo leggere le parole del suo sguardo ma mi bastò vedere lei, quel sorriso in risposta al suo. Si amavano davvero. Per sempre. Tagliandomi fuori definitivamente.
Il reverendo Wiggins ultimò la lettura dal Cantico dei Cantici. Quindi gli sposi si sedettero e lui si impegnò in un sermone improvvisato: nessun foglio scritto. Ero distratto, pensavo che ci sarebbe stata un giorno, anche per me, una Gloria Meany. Notai però un particolare: quando il reverendo Wiggins disse “Il vostro amore sarà prezioso e indistruttibile come un diamante” e, non so se in conseguenza a questa affermazione potente, gli sposi si presero la mano, arrivò il sole, un sole tiepido, che non infastidiva, che accendeva i colori, i capelli bianchissimi del prete, l’abito candido di Gloria. Ricordo anche che zia Hester, seduta dietro a me, disse a zia Martha: “E’ un buon segno.” E Martha, debole d’udito: “Che hai detto?” “Il sole, ho detto che è arrivato il sole. E’ segno che è un matrimonio ben fatto.” Ma aveva alzato talmente la voce che il reverendo aveva interrotto il sermone e l’aveva ripresa con un sorriso benevolo. Quel prete anglicano mi stava simpatico e quando morì, non molti anni dopo, portai il lutto senza fingere false tristezze. Ma Gloria l’amavo davvero e suo marito, John Chickering, l’ho sempre considerato –è ridicolo, lo ammetto- come un ladro gentile, che ti sottrae un bene e tu devi ringraziarlo. Fargli addirittura un regalo.
Per fortuna al regalo degli sposi ci pensarono i miei genitori.


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