martedì 11 settembre 2012

Il racconto del mercoledì


Birkenstock

‘No no no’ ma la paletta s’allungò verso il centro della carreggiata, insieme al mezzo passo della vigilessa. Pronta proprio per lui.
‘No no no’ ma fu costretto a mettere freccia a destra e ad accostare.
‘No, non ora, non qui’ e cominciò a sudare.
“Patente e libretto, grazie” disse la donna in divisa, accompagnando la richiesta con un debole sorriso. Un ghigno nascosto.
Cercò il libretto con affanno, non lo trovò subito, confuso fra altri fogli. Non era un tipo ordinato. Si rallegrò perché la patente era nel portafoglio. ‘Non è che la patente è scaduta’ pensò, ma lei fece un cenno d’assenso con il capo. Sapeva dove guardare. Sapeva il fatto suo. Era una donna precisa, modellata per quella divisa, che le stava bene.
‘Spera nel meglio ma preparati al peggio’ pensò e le parve impossibile che fosse già finito tutto, che lo lasciasse in pace. Infatti non andò così.
La donna della Polizia Municipale guardò nell’abitacolo e vide le ciabatte. “Può scendere dalla vettura, per piacere?”
 D’un tratto divenne una racchia insopportabile.
“Saprà che non può guidare in ciabatte” e già aveva fra le mani il verbale per la contravvenzione. “Avrà senz’altro un paio di scarpe sostitutive qui in auto.”
Non le aveva, presagì il dramma. Cercò di tamponare la ferita. “Non sono ciabatte, sono Birkenstock….in pratica come scarpe.”
Lei si fece severa. Non stava alla battuta, non le era piaciuta, era una donna scarsamente votata alla pietà. “Se non ha scarpe, dovrà lasciare qui l’auto. Così non può guidare. Chiami qualcuno che si possa mettere alla guida. Intanto le faccio il verbale.”
Non avrebbe dovuto essere lì, non aveva alibi, ne cercò qualcuno ma l’ansia li rendeva improponibili. Si vide perso. Balbettò: “Mi scusi, ha ragione, sono ciabatte, non dovrei guidare con le ciabatte, pago la contravvenzione, è giusto, sacrosanto, ha ragione ma mi lasci guidare. Non abito lontano.”
“Mi sembra una persona che non difetta di amicizie. Troverà chi verrà a darle una mano. Io non faccio che il mio dovere. Non insista. Le ciabatte si usano sulla spiaggia” e parve ammorbidirsi, almeno nei toni.
Ciò gli diede speranza: “E’ che non dovrei essere qua…” e disegnò un sorrisetto ebete, allusivo, con due occhi che s’allungavano verso le nuvole per dire che avrebbe dovuto capire, comprendere, perdonare e agire di conseguenza.
“Vogliamo aggiungere anche il tentativo di corruzione?”
Era di marmo, una fredda statua votata al dovere, al rispetto della norma, una carogna che lo stava demolendo.  Con le ultime bracciate, prima di annegare, tentò anche quella, vuoto d’ogni speranza: “E se il passaggio me lo dà lei? Se si mette lei alla guida? Lei non porta le Birkenstock e, se permette, è molto carina” e ancora una volta si fece volgarmente allusivo, prospettandole gesti riconoscenti.
La vigilessa lo guardò attentamente, quasi a valutarne anche l’odore, poi disse: “Perché no? Aspetti qua.” Si mosse verso il collega, che attendeva vicino alla vettura della polizia urbana. Parlarono, si accordarono, lei tornò, si sedette al posto del passeggero.
“Come? Non guida lei?”
“Su, partiamo. Ormai il danno è fatto.” 



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