giovedì 13 dicembre 2012

Vicolo Canonichetta 18



Diciotto


Matilde imboccò vicolo Canonichetta a passo veloce. Davanti a lei, nessuno. Sulla sinistra notò, seduto, un accattone, un volto rovinato non nuovo da quelle parti. Camminati una trentina di passi nel vicolo, se si fosse girata, avrebbe riconosciuto la sua alunna Sofia, insieme al giovane albanese. Camminavano mano nella mano, in silenzio. Ma non s’era voltata. Ormai c’era: restava la fine del vicolo, piazzetta San Lorenzo, piazza San Vittore, l’Arco Mera, infine corso Matteotti, sino al 45, numero dell’ufficio dell’avvocato Angelo Caravati. 
Intuì che qualcuno, alle spalle, correva nella sua direzione. Si girò. Riconobbe Giulio, affannato, a pochi metri da lei. Non ebbe il tempo di dire nulla.
"Ti devo parlare" e le afferrò la mano.
L’uomo aveva preso per vicolo Canonichetta ma avrebbe potuto scegliere altre strade per arrivare allo studio dell'avvocato. Almeno tre le alternative. Quando l'aveva riconosciuta s’era messo a correre.
Matilde non capiva. "E il lavoro?"
"Ti spiego...andiamo."
“Dove?”
“Ai giardini.”
***  
La prima cosa che Sofia si domandò, imboccando vicolo Canonichetta insieme ad Altin, riguardava il poveretto, che sedeva, schiena contro il muro. a mendicare: era un albanese anche lui? Ma fu subito distratta dalla donna che li precedeva. Ne era quasi convinta.
"Secondo me quella è la mia prof."
“Dici?”
“Forse. Dove andiamo?”
“Ai giardini?”
“Ai giardini” e la ragazza pensò subito a Bingo. Ai tempi del loro amore, dei pubblici giardini di Palazzo Estense sceglievano le prime panche: entravano dall’androne principale, qualche metro a calpestare i sassi dell’aia nobile e subito a destra, uno spazio con quattro panche e quattro aiuole ben curate. Non era zona di coppiette, che di quei giardini preferivano ambienti più riservati, panchine solitarie, zone in ombra, boschetti dalle parti di Villa Mirabello. Lì si sedevano soprattutto anziani o giovani madri con bimbi che avevano da poco imparato a camminare.
Con Bingo era stata anche felice. Mai quando diventava violento. Le aveva fatto scoprire il basket, il tifo, l'emozione di quello sport; ma era stato proprio al termine di una partita di pallacanestro che le aveva dimostrato per la prima volta la sua inaffidabilità. S'era scazzottato con alcuni coetanei di opposta tifoseria. S'era fatto spaccare il naso per un gioco. Era andato dietro agli altri come un automa, urlando e sbracciando. E lei aveva preso paura. Al Palazzetto non aveva voluto più mettere piede. Bingo aveva acquistato credito fra gli ultras, sempre meno nel suo cuore.
Ma ora c'era Altin.
A questo pensava, e intanto seguiva quella donna, raggiunta da un uomo; andavano più svelti di loro, era sempre più difficile capire se fosse o non fosse la sua professoressa di lettere.
Forse anche loro erano diretti ai Giardini Estensi. 

                                                                                                       18 - continua

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