giovedì 8 novembre 2012

Quel giorno che tremò la notte 23


VENTITRE
Arrivando al paese, il tenente colonnello Duccio Guidi, comandante dei Carabinieri, considerò che il campanile non era crollato, il piccolo orologio segnava correttamente le dieci e dieci. Erano passate sette ore dalla scossa che aveva devastato l’Abruzzo. Era giunta voce alla loro radio che lì avevano bisogno di un mezzo adeguato che trasportasse all’ospedale più vicino un terremotato in fin di vita; lo stavano sfilando con riguardo e fatica dal tetto crollato, respirava ancora, forse con un soccorso immediato si sarebbe evitata un’altra vittima, oltre alle sette che già si contavano in quella frazione fra le montagne dell’Appennino.
Vista l’ora, il tenente colonnello aveva poi osservato che non c’erano altri soccorritori, nessuna vetture del 118 né mezzi della protezione civile o altri colleghi delle forze dell’ordine. Era stato il primo ad arrivare: si sentì orgoglioso e impaurito. Toccava a loro portare a termine il salvataggio.
Più d’uno si fece vicino all’auto, indicando a gesti e parole qual era la direzione da seguire. Entrando in ciò che avrebbe dovuto essere un cortile, davanti ad una casa parzialmente diroccata, Duccio Guidi vidi due persone sul tetto, una terza stava scendendo per la scala appoggiata alla facciata della casa. Seguì quest’ultima che, senza neppure salutare o farsi appresso al loro mezzo, era entrata dalla porta principale dentro l’edificio.
“Fermo qua?” chiese l’autista.
“E dove, se no?” rispose il superiore.
“Presto, fate presto” gridavano dal tetto. “Per fortuna, ora scendiamo.”
“Un momento” gridò verso l’alto il carabiniere, che aveva già valutato i rischi. Aveva notato che i due sul tetto stavano avvicinandosi alla scala, cercando di trasportare una persona immobile, che non collaborava, certamente svenuta.
“Attenti, un attimo” urlò Duccio Guidi. “Salgo anch’io” e si arrampicò sulla scala.
Ora sul tetto erano in tre, più il terremotato, disteso sopra le pietre.
L’uomo dell’Arma si presentò, strinse la mano a Giorgio e Peppo, invitò alla riflessione. “Respira?” e si chinò sul corpo. Era una ragazza, giovane, tumefatta, lacera, impiastrata di sangue e calcina.
“Dobbiamo fare in  fretta” disse il tenente colonnello. “Ma così non possiamo calarla di sotto.”
Peppo era una furia: “Diobono, la lasciamo crepare?”
Giorgio cercò di quietarlo, Guidi parlò con la calma data dall’esperienza e dalle caratteristiche del suo mestiere: “Ci vuole una barella, qualcosa di simile, un tavolo, un’asse, una barella e delle funi, deve stare orizzontale, dobbiamo muoverla il meno possibile, immobilizzarla. Anzitutto il collo, bloccare la testa, pezzi di legno, assicelle, delle fasce…Cose che bisognava procurarsi prima…”
“Abbiamo fatto il possibile” disse Peppo, nervoso.
“Dai, ha ragione lui” disse Giorgio. “Scendo, vado a cercare.”
“Scendo anch’io” disse Peppo.
Il carabiniere restò solo sul cumulo di macerie. Ai suoi piedi la ragazza. Pensò a sua figlia, lontana, studentessa a Milano. Si inginocchiò e si commosse. Le accarezzò i capelli, le dita non scivolavano, trattenute dal sangue rappreso, dalla sporcizia. Cercò di interpretare sul corpo ferito ogni segno di vita. Il polso era debolissimo, si sentiva una lieve pressione sui polpastrelli. Come per uno schiaffo o per un colpo secco di fucile sentì dentro tutta la responsabilità di una vita che se ne stava andando. E lui era lì ad aspettare assi e funi. Gesù Santo, un bella ragazza stava morendo ai suoi piedi. Sentì la voglia di prenderla in braccio, di baciarla, di rianimarla, di caricarsela sulle spalle e di correre al più vicino ospedale. Sentì nello stomaco la nausea della sua inutilità. ‘Calmo, stai calmo’ si diceva, ripassando altre situazioni drammatiche, altre morti già raccontate, subìte. ‘Se la muovo faccio danno, la ammazzo io, un medico...possibile che non ci sia uno straccio di dottore?’
La ragazza era troppo scoperta, avvolta da un lenzuolo, da un pigiama leggero. Duccio Guidi si tolse la giacca e la adagiò come una coperta sopra di lei. Sentì voci dal basso, fate presto, dai con quei legni, corri corri, sali su, saranno abbastanza? e attese l’arrivo dei due che aveva incontrato sul tetto. Stavano arrivando, per fortuna. Già ipotizzava in quale ospedale avrebbe portato la sventurata, purtroppo distava una ventina di chilometri e non era sicuro che avrebbero potuto accoglierla. Non sapeva se l’edificio era in piedi o crollato. Le linee telefoniche erano interrotte. Aveva chiamato col cellulare in caserma pregando di diramare la notizia, che gli facessero sapere qualcosa, lì c’era una giovane donna da strappare alla morte.
Arrivarono col materiale. Duccio Guidi impartì ordini precisi, sapeva quel che c’era da fare, ma non era nemmeno più sicuro che la ragazza respirasse ancora. Avrebbe voluto tastarle il polso, contare i battiti, rassicurarsi, ma stava meglio se pensava che era ancora viva e che ora l’avrebbero portata al sicuro, nel luogo della cura. Non voleva assumersi la responsabilità di dover constatare un decesso. Santa Madonna, ora che la osservava meglio assomigliava davvero a sua figlia. E se fosse capitato alla sua ragazza? Capì che non avrebbe potuto reggere una simile sorte, e che era un’offesa per lei, distesa fra le macerie, quel suo stare lì, non indifferente ma nemmeno disperato. Perché se fosse stato ferito nella sua carne non avrebbe potuto inventarsi la freddezza per poter dare indicazioni chiare, correggere movimenti maldestri, fare e ricevere telefonate, evitare di piangere come un bambino impaurito da una prospettiva di morte imminente.    
“Ma è ancora viva?” chiese Peppo.
“Presto, fate presto” disse il comandante dei carabinieri. “Ora io scendo, calatela molto lentamente. Poi la sistemiamo nell’auto.”
Si fermò, si ricordò che avevano parlato di due giovani. E l’altro? S’avvicinò a Giorgio, lo chiese a bassa voce: “Non erano in due?”
“L’altro è ancora sotto” disse Giorgio. “Non ce la si fa. Non dà segni di vita. Nessuna voce, pianti, nessun grido.”
“Va portato fuori anche lui” disse Duccio Guidi.
Giorgio riprese a muoversi vicino alla ragazza, dovevano salvare almeno lei. “C’è anche un prete che sta con noi, don Marco. Deve essere sceso, sarà giù in cortile.”
“Ho visto un uomo entrare nella casa” disse il carabiniere.
“Allora è lui” disse Giorgio.

                                                                                         23 - continua

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