“Che poi non c’è altra possibilità.”
Camminavano e la gente li seguiva con gli occhi, ammassata
sui due lati della via. La folla piangeva, rideva, discuteva o stava in
silenzio e pensava.
“La sola scelta sensata è l’ottimismo.”
L’amico, al suo fianco, respirava a fatica, mostrava un viso
segnato dalle rughe del terrore.
“Vedi? Sei in affanno. Stai regalando alla sofferenza il tuo
corpo, il tuo futuro. Così vince lei.”
L’altro non si voltava nemmeno a guardare chi stava
parlando, camminava con andamento lento e pesante. Stava molto male.
“Trovami un solo motivo che ti porti a preferire la tua
scelta deprimente. La mia è vincente, e
lo devi riconoscere. Basta guardare la mia faccia…e la tua. Non dico che me la
stia godendo, questo no, ma vivo….seguo ciò che la vita mi indica, mi
suggerisce per non angosciarmi.”
L’amico si voltò alla sua destra, una mamma teneva in
braccio il figlio, si rivide bambino, rallentò il passo, pensò ad una fuga
impossibile, il passato gli saltò addosso come una belva feroce.
“Dimmi almeno a che pensi….fai come credi, stai nella tua
malinconia cronica, continua a guardare lontano, a inventarti problemi, altro
non sono che fantasmi….stai respirando ora? Hai occhi per vedere? Mani per
accarezzare? Hai un Dio da pregare? Hai
tutto, amico mio….goditi queste opportunità, lasciati solleticare da questa
brezza primaverile, annusa i suoi profumi sino all’ultimo, gusta la passeggiata.”
L’amico si voltò alla sua sinistra, lo guardò con una
smorfia, disegnata a fatica sopra un
volto scavato, nero di barba malcurata. Non fossero stati amici da sempre, un
passante avrebbe detto: ‘Quello è uno sguardo d’odio.’
“Io cammino da trionfatore, ho controllo sulle emozioni, le
conduco dove voglio, non mi lascio dominare dalla paura, vedo il sole là
davanti, un passo dice all’altro, ‘vai deciso, non voltarti’….nessuna
situazione sa essere così tremenda da smontare la mia costruzione…non dico sia
perfetta ma regge, sta in piedi e mi protegge, il tetto mi ripara dalla
pioggia….mentre tu piangi…..le lacrime sono il segno
umido della nostra sconfitta….non ho il fazzoletto, dovrai asciugarle con il
dorso della mano, amico mio….”
“Crepa!” urlò l’amico, singhiozzando. Ma la folla non sentì,
il vociare era intenso, e in più applausi, urla, imprecazioni e suppliche.
I due salirono alcuni gradini in legno, raggiunsero la
sommità di un palco.
“Ecco, impara da me, ti darò l’ultimo insegnamento. Cosa
vedi qui? Della corda? No, è una cravatta nuziale, te la stai mettendo al collo
e fra poco bacerai la tua sposa.
L’immaginazione salverà il mondo, caro
compagno..ecco, tu diresti di sventura…io dico d’avventura..una bella
cravatta, certo, sul colore si può discutere, l’avrei scelto più vivace, questo
è smorto, ma imparare ad accontentarsi è
una legge di natura…addio, amico mio, fai un bel respiro, domina l’irruenza del
cuore.”
I due cappi vennero infilati nelle loro teste, il nodo
scorsoio fece combaciare la robusta corda ai loro colli.
Ciò che seguì fu osservato dall’ottimista più o meno così:
vide un uomo correre verso di loro, consegnare un foglio a chi dava ordini,
notò poi che un addetto al servizio sfilò il cappio dal collo dell’amico e
sentì dire: “Sei stato graziato.” L’amico lo guardò ma non sorrise: aveva occhi
increduli. Un’invidia potente gli fece dire: “E io?”
Silenzio.
L’angoscia dilagò, divenne liquido giallo oro che scorreva
lungo la gamba. Che bruciava.
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