martedì 6 marzo 2012

Il racconto del mercoledì


In verità qui non si tratta di un racconto d'invenzione, ma la descrizione della mia Luino preferita, della Luino di Piero Chiara, di Vittorio Sereni e della mia amica Piera Corsini, la Luino ammirata dal balcone del Campo dei Fiori.

LA’ DOVE MUORE IL FIUME

E dopo tanta fatica...Luino. Così incontro la cittadina sul lago, settanta, ottanta volte l’anno: per l’esattezza, centonove volte nel duemilasette, il mio record. Mi affaccio sulla balconata del Campo dei Fiori, scivoloso di sudore da bicicletta, penso all’acqua della borraccia che fra poco mi rinfrescherà ma ancor prima ritrovo Luino, là dove muore il fiume, in fondo alla piana, a metà fra il verde e il mutevole colore delle acque, sotto il cielo bizzarro delle Prealpi, nel silenzio. Un primo saluto, una prima occhiata, fermo la bici, riposo un istante, bevo, mi lavo il viso, scivola l’acqua lungo le rughe che di salita in salita incidono in profondità un volto non più giovane. Quindi torno alla balconata, piccolo dio in piedi sulla roccia, felice del proscenio che mi si para davanti. Mi siedo e allora Luino è più precisa, più dettagliata, più solenne.
Dipende dai giorni e dalle stagioni, perché può capitare che neppure si vedano le case e le rive, annegate nella nebbia. O può succedere che Luino più che altro si intuisca, nell’afa estiva, nel grigiore da smog. Ma quando s’alza il vento e il lago si specchia nel cielo e il cielo nel lago e la neve è bianca davvero, stola d’ermellino sui colli di pietra, e il verde è verde, senza aloni, Luino è a portata di mano. E ne immagini la vita.
Non conosco la vita di Luino. Se non a distanza. Per sentito dire dal vento, che sale al Campo dei Fiori.
La storia di Luino me la canta il vento. O me la racconta, affabulatore superbo, Piero Chiara che in quel balcone ritrovo per intero. Alle mie spalle Varese, dove in ultimo abitava, ma il Chiara che amo sta davanti a me, nella Luino così ben definita, nella Valcuvia e nella Valtravaglia, in Montegrino, nei tanti colli percorsi dalla sua immaginazione, nei piccoli paesi, nei borghi rivieraschi, nelle vele che macchiano il lago, nelle onde e nelle sorridenti tristezze di storie, umide d’acqua e di pianto, felici nelle trame e nei sospiri amorosi. Ho davanti, tutto intero, il grande romanzo di Chiara, che ripasso in un amen, che ritrovo e che ammiro, teneramente invidioso.
Ma non è ancora finita. Stanco, mi sdraio sopra la panca di pietra della cima detta ‘del cannoncino’, m’allungo supino e prego. La preghiera è il mio grazie a Dio, al Padrone del bello, al Creatore del tappeto verde di alberi e prati che ora vorrei accarezzare, nella gratitudine. E nel bello c’è tutto, compresa Luino che torna, in fondo alla piana, immaginata a godersi la brezza di lago, ricchezza di una sponda che i più, distratti, chiamano magra.
E’ questa la mia quotidiana città di Luino: intuita dall’alto, al tramonto o nel cuore del giorno, quando le campane di Santa Maria del Monte suonano l’Angelus ed io non vorrei più tornare.

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