Nove
Sofia si fermò
davanti alla porta di casa. In Marmellata #25 di Cesare Cremonini era il
punto cruciale quando, dopo aver detto ‘l’ho trovata’ (la marmellata) il
cantante fa una pausa, e la musica si blocca come se la canzone fosse finita e
invece no, arriva il bello, con una ripresa formidabile, un ‘tin tun tun, tan,
tan’, una pizzicata della chitarra che fa riscoppiare la bomba della canzone,
come se quell’arpeggio fosse una miccia e la musica torna, allegra, anche se si
parla di un abbandono, e proprio in quel passaggio stupendo di Marmellata
#25 Sofia spalancò la porta, furibonda di gioia, come fosse arrivata una
ventata poderosa a regalare a quell’appartamento aria fresca.
Era un uragano di
colori e di emozioni. Era gioia incontenibile. E quella gioia (soprattutto la
gioia del nuovo amore con Altin) la portò dritta nella sua camera, senza far
caso a una madre e ad un padre da salutare, né ad una sorella di un paio d’anni
più giovane. Abbracciò invece la gatta Amelie, terminò ballando con lei
la canzone di Cremonini, poi la lanciò sul letto. E sul letto fece volare anche
la cartella, poi le scarpe, come avesse tirato un paio di calci di rigore, uno
di destro e l’altro di sinistro. A piedi nudi (anche se questo scocciava
tremendamente a sua madre) andò in bagno, si chiuse dentro sbattendo senza
riguardo la porta (al che padre e madre si guardarono, sbuffando lei,
grattandosi il naso lui) e lì rimase dieci minuti almeno.
Al terzo “Sofi,
noi mangiamo!” Sofia lanciò un “Arrivo...” poco convinto.
Altri minuti, poi
il capofamiglia fece un segno di croce, disse “Buon appetito” agli altri due
commensali e il pranzo ebbe inizio: senza Sofia, che arrivò leggera come chi
non ha nessun peso in fondo allo stomaco o dentro il cervello, ma frizza come
acqua gasata.
“E le ciabatte?”
furono le prime parole di sua madre. “Hai i piedi che fanno schifo.”
Non aveva tutti i
torti. Le piante dei piedi di Sofia erano come quelle di Abebe Bikila,
maratoneta scalzo.
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