Dieci
Entrando in casa,
Matilde fu schiaffeggiata da Eccoti di Max Pezzali, mandata a volume
esagerato. Trovò Giulio sdraiato sul divano in sala.
“Dormi?”
“Ti aspettavo” e
la voce balbettava.
“Avevo pensato
alle uova all’occhio di bue.”
“Bene.”
“La tavola?”
“Arrivo.” Per lui
le uova, l’anatra all’arancio, una Saint Honorè o un tozzo di
pane raffermo erano la stessa minestra. Provava solo nausea. Per tutto.
Matilde aprì il
frigo. “Ci sono polpette.”
“Va bene” e
s’alzò. Entrò in cucina.
“Come mai avete
rinviato?”
“Non si fa più
nulla.”
“E perché sei
stato zitto?”
“Mi sono alzato
all’ultimo...scusa.” Disse solo scusa ma avrebbe voluto buttare via il piatto
con le polpette, prenderla in braccio e parlare. Ma disse solo ‘scusa’ e poi fu
un gran silenzio, e lui che cercava di mandar giù le polpette e beveva ma non
provava gusto e poi due pomodori e un’albicocca.
“Caffè?”
“No, grazie.”
“Niente?”
“Non mi va.”
“Che t’ha preso?”
“Una volta che non
lo bevo.”
“Non succede mai.”
Poi Matilde s’alzò
e lavò i piatti.
Giulio sarebbe
forse tornato in sala, per rintronarsi con le sue canzoni. Ma aveva paura a
rimanere da solo. Così aiutò a sparecchiare, poi si sedette, sfogliò il
quotidiano, buttò lì qualche parola, ottenne risposte evasive. E quando
arrivarono le tredici e quarantacinque, si preparò per fingere di tornare al
lavoro.
“Oggi hai scuola?”
“No, è giovedì.”
“Che fai?”
“Vedremo.” Alzò le spalle come per dire ‘non so’, quando
invece lo sapeva benissimo.
10-continua
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