mercoledì 3 agosto 2011

Spaesati

Assiduo frequentatore del Sacro Monte, stamani mi sono capitati due incontri curiosi nel giro di pochi metri. In prossimità della 5^ Cappella un motociclista vestito di tutta pelle, supercoperto nell'afa agostana, con il casco in mano, naturalmente madido di sudore, paonazzo e con l'occhio implorante, ha chiesto lumi su quanto mancasse alla cima. "Siamo ad un terzo della rizzàda" gli ho detto, e il motociclista ha risposto con un termine irripetibile. Subito dopo un pellegrino straniero mi ha chiesto se dovesse svoltare a sinistra, dopo la 5^ Cappella. "Certo!" ho risposto prontamente, anche perché era l'unica curva.

IL RACCONTO DEL MERCOLEDI'

Il brindisi

“Grazie…quanto le devo?”

“Fanno quindici e venticinque centesimi.”

“Ecco… buon rientro.”

Il taxista si meravigliò di quell’augurio. “Grazie” e l’auto, lucida come un’anguilla, raspò la ghiaia.

Lui guardò la villa. Fu distratto dal vialetto alberato. Nessuno sul viale, nel giardino, affacciato a finestre e balconi. Eppure era atteso.

Ricontrollò il numero civico, ispezionò l’entrata. Suonò.

Faceva caldo, ma il caldo giusto della primavera, senza eccessi se non nelle fioriture: forsitiae, camelie, azalee, glicini. Quell’abitazione signorile era un tripudio di vita vegetale.

Al primo suono nessuno rispose. Ritentò, ma ancor prima di ritirare il dito dal pulsante, arrivò la voce: “Cosimo Zampieri?”

“Sono io.”

“Avanti…dritto, poi a destra, in fondo, tre gradini, troverà la porta accostata.”

“Grazie” poi il tac della serratura elettrica; spinse il cancelletto in ferro lavorato, ripassò la successione dell’itinerario, vide l’uscio socchiuso.

Il grande lago soffiava sulla villa il suo fiato primaverile. La brezza faceva capriole lungo il viottolo di grosse pietre levigate, si nascondeva nelle aiuole, accarezzava i muri esterni intrufolandosi appena trovava un varco, una finestra, un balcone; si strusciava sui tetti, aiutando nel volo le prime rondini e qualche gabbiano svogliato.

Fu alla porta. Ancora nessuno. La spinse e mosse i primi passi lungo un corridoio di tappeti e di marmi, di specchi e di mobilia antica. Vasi, quadri alle pareti e ancora fiori, recisi in contenitori policromi.

“Sono Zampieri…” e si aspettava un “Avanti, venga pure” ma raccolse altro silenzio, che poi silenzio non era: vagavano nella villa le note di una canzonetta.

Il lungo corridoio sfociava in un ampio locale, luminoso perché la parete verso sud era un’ampia vetrata, una gigantesca tela trasparente sulla quale erano stati dipinti il lago e le montagne piemontesi.

“E’ permesso?” e mise piede nella sala convinto che, a quel punto del suo viaggio, avrebbe finalmente incontrato l’altro.

Ancora solo: divani, tappeti, un pavimento in legno tirato a lucido, un lampadario di cristallo e un piccolo tavolo, fuori proporzione rispetto alla vastità del locale.

Sul tavolino circolare due calici e una bottiglia.

Si portò alla vetrata. Il prato all’inglese moriva nell’acqua. Non c’era spiaggia, solo una darsena sulla destra, e a mollo una barca a remi.

Al centro del cortile erboso una piscina, vuota ma pulita, senza la sporcizia dell’inverno.

Il pelo del lago, increspato, era trapuntato da riflessi d’argento. Nonostante l’ora poco propizia ai colori prepotenti, l’afa non annebbiava le tinte, e neppure il vetro che lo separava dall’esterno riusciva ad intristire quel panorama, negandogli luminosità.

Si voltò come per un presentimento. In quell’attimo entrava nel salone l’uomo che s’era fatto vivo al citofono.

“Eccoci…mi scusi.”

“Ero un po’…”

“In ansia? Il più è fatto.”

“Così sembra.”

“Già…siamo al brindisi.”

“E la traversata?”

“E’ tutto pronto. Intanto brindiamo…Müller Thurgau…brut, ma ho anche il dolce, se preferisce.”

“No no, molto bene il brut” ma intanto lo squadrava. Giovane doveva essere giovane, trenta, trentacinque anni, ma se quella era l’età, se la portava appresso con qualche imbarazzo: basso, sovrappeso, senza il trauma della calvizie precoce ma i tanti capelli sul capo erano malcombinati; pensò che sarebbe stato meglio completamente rasato, col cranio lucido.

“Faccio io, mi tocca” disse il padrone di casa, che armeggiò con mano sicura intorno alla bottiglia.

Il botto fu potente, seguito da un tintinnio di cristallo: il tappo, col suo copricapo metallico, era andato a sbattere contro il lampadario.

Il biondo liquido gorgogliava nel calice, l’effervescenza naturale friggeva, ricevette il bicchiere e ringraziò.

“Brindiamo…” e, dopo la sospensione, avrebbe detto “alla nostra”.

Ma il giovanotto lo anticipò: “Direi..alla vita.”

“Già...alla vita” e non poté nascondere un fiotto di nostalgia.

“La vedo troppo triste per un brindisi. Se è vera anche la metà di quello che mi hanno riferito, non può certo lamentarsi.”

Ma lui era già sulla barca, nel lago; quella sua prima vita non gli interessava più.

“Partiamo, non si preoccupi…intanto sorseggi il vino, si gusti l’attimo. Ho saputo che quest’arte non ha mai voluto impararla.”

“Ci si nasce.”

“Forse…alla vita.”

“Alla vita.”

Il cristallo cozzò, lieve. Volarono scintille di riflessi ad abbellire il locale.

“Rimpianti?”

“Non pochi…ma a che servono, adesso?”

“Che so…uno potrebbe pensare ad un premio: tanto ho fatto, tanto ora ricevo.”

“Perché? Lei sa se…”

“Guardi, le risparmio tutto quel rovistare di curiosità che ha dentro e che non esce. Glielo dico subito.”

“Che cosa, scusi?”

“Non so nulla, né del premio o del castigo, né dell’esito del viaggio…Brindi a cuor leggero. Alla vita, in minuscolo o in maiuscolo, sia quel che sia. Se il vino è buono è buono, poi si vedrà…perché rovinarsi anche questo cin cin?”

Dunque il barcaiolo non sapeva nulla. Avrebbe dovuto pazientare, non era bastata una vita d’attesa. Quegli occhi un po’ ebeti non avrebbero tradito una verità che non potevano conoscere. Almeno così aveva sentenziato l’uomo, che gli stava di fronte e che non palesava alcuna fretta di partire.

E invece: “Bene, non ci resta che metterci ai remi” e, con un inchino poco aggraziato, gli indicò l’uscita.

Furono sul prato. “Calpesti pure, e se vuole può togliersi le scarpe, risentire sensazioni, libertà che non ha più ritenuto di potersi concedere. O mi sbaglio?”

Non si sbagliava. Tolse le scarpe. Affondò nell’erba alta non più di tre centimetri, sentì l’umido sotto la pianta dei piedi.

Incespicava fra eccitazione e rassegnazione.

Ecco la darsena: gradini freddi e acqua limacciosa, alghe che danzavano sotto la scorza del lago, grossi pesci che zigzagavano fra le piante subacquee.

“Salga…si metta comodo…non ci vorrà molto, devo tornare alla villa prima del tramonto.”

“Senta” e quasi tremava, “devo parlare, l’ansia mi toglie il fiato” e la barca lasciava la piccola darsena, affrontando il lago. “Non ho motivo di dubitare, lei non sa nulla…ma come è possibile? E chi è lei?” e intanto sperava di svegliarsi, era un sogno. “Perché mi trovo qui? Ho paura, non vede? Tremo…Siamo uomini, io e lei…un momento che aspetto da sempre, non sono preparato, potrei annegare nel buio eterno…” e ora piangeva, si dava sberle in faccia ma non si svegliava.

Il barcaiolo bloccò i remi: “Perché non prega?”

La barca, un modesto legno di pescatori, seguiva le voglie del lago. Le assecondava con pazienza. I remi gemevano sugli scalmi, incidevano l’acqua, uscivano al sole, si rituffavano. Parevano annegare ma sempre, in ultimo, sgocciolavano all’aria.

Si mise a pregare.

Annegava nel mistero, ma ogni volta risaliva alla luce.

L'ho pubblicato due volte, perché nella versione blu non si legge bene

IL RACCONTO DEL MERCOLEDI'

Il brindisi

“Grazie…quanto le devo?”

“Fanno quindici e venticinque centesimi.”

“Ecco… buon rientro.”

Il taxista si meravigliò di quell’augurio. “Grazie” e l’auto, lucida come un’anguilla, raspò la ghiaia.

Lui guardò la villa. Fu distratto dal vialetto alberato. Nessuno sul viale, nel giardino, affacciato a finestre e balconi. Eppure era atteso.

Ricontrollò il numero civico, ispezionò l’entrata. Suonò.

Faceva caldo, ma il caldo giusto della primavera, senza eccessi se non nelle fioriture: forsitiae, camelie, azalee, glicini. Quell’abitazione signorile era un tripudio di vita vegetale.

Al primo suono nessuno rispose. Ritentò, ma ancor prima di ritirare il dito dal pulsante, arrivò la voce: “Cosimo Zampieri?”

“Sono io.”

“Avanti…dritto, poi a destra, in fondo, tre gradini, troverà la porta accostata.”

“Grazie” poi il tac della serratura elettrica; spinse il cancelletto in ferro lavorato, ripassò la successione dell’itinerario, vide l’uscio socchiuso.

Il grande lago soffiava sulla villa il suo fiato primaverile. La brezza faceva capriole lungo il viottolo di grosse pietre levigate, si nascondeva nelle aiuole, accarezzava i muri esterni intrufolandosi appena trovava un varco, una finestra, un balcone; si strusciava sui tetti, aiutando nel volo le prime rondini e qualche gabbiano svogliato.

Fu alla porta. Ancora nessuno. La spinse e mosse i primi passi lungo un corridoio di tappeti e di marmi, di specchi e di mobilia antica. Vasi, quadri alle pareti e ancora fiori, recisi in contenitori policromi.

“Sono Zampieri…” e si aspettava un “Avanti, venga pure” ma raccolse altro silenzio, che poi silenzio non era: vagavano nella villa le note di una canzonetta.

Il lungo corridoio sfociava in un ampio locale, luminoso perché la parete verso sud era un’ampia vetrata, una gigantesca tela trasparente sulla quale erano stati dipinti il lago e le montagne piemontesi.

“E’ permesso?” e mise piede nella sala convinto che, a quel punto del suo viaggio, avrebbe finalmente incontrato l’altro.

Ancora solo: divani, tappeti, un pavimento in legno tirato a lucido, un lampadario di cristallo e un piccolo tavolo, fuori proporzione rispetto alla vastità del locale.

Sul tavolino circolare due calici e una bottiglia.

Si portò alla vetrata. Il prato all’inglese moriva nell’acqua. Non c’era spiaggia, solo una darsena sulla destra, e a mollo una barca a remi.

Al centro del cortile erboso una piscina, vuota ma pulita, senza la sporcizia dell’inverno.

Il pelo del lago, increspato, era trapuntato da riflessi d’argento. Nonostante l’ora poco propizia ai colori prepotenti, l’afa non annebbiava le tinte, e neppure il vetro che lo separava dall’esterno riusciva ad intristire quel panorama, negandogli luminosità.

Si voltò come per un presentimento. In quell’attimo entrava nel salone l’uomo che s’era fatto vivo al citofono.

“Eccoci…mi scusi.”

“Ero un po’…”

“In ansia? Il più è fatto.”

“Così sembra.”

“Già…siamo al brindisi.”

“E la traversata?”

“E’ tutto pronto. Intanto brindiamo…Müller Thurgau…brut, ma ho anche il dolce, se preferisce.”

“No no, molto bene il brut” ma intanto lo squadrava. Giovane doveva essere giovane, trenta, trentacinque anni, ma se quella era l’età, se la portava appresso con qualche imbarazzo: basso, sovrappeso, senza il trauma della calvizie precoce ma i tanti capelli sul capo erano malcombinati; pensò che sarebbe stato meglio completamente rasato, col cranio lucido.

“Faccio io, mi tocca” disse il padrone di casa, che armeggiò con mano sicura intorno alla bottiglia.

Il botto fu potente, seguito da un tintinnio di cristallo: il tappo, col suo copricapo metallico, era andato a sbattere contro il lampadario.

Il biondo liquido gorgogliava nel calice, l’effervescenza naturale friggeva, ricevette il bicchiere e ringraziò.

“Brindiamo…” e, dopo la sospensione, avrebbe detto “alla nostra”.

Ma il giovanotto lo anticipò: “Direi..alla vita.”

“Già...alla vita” e non poté nascondere un fiotto di nostalgia.

“La vedo troppo triste per un brindisi. Se è vera anche la metà di quello che mi hanno riferito, non può certo lamentarsi.”

Ma lui era già sulla barca, nel lago; quella sua prima vita non gli interessava più.

“Partiamo, non si preoccupi…intanto sorseggi il vino, si gusti l’attimo. Ho saputo che quest’arte non ha mai voluto impararla.”

“Ci si nasce.”

“Forse…alla vita.”

“Alla vita.”

Il cristallo cozzò, lieve. Volarono scintille di riflessi ad abbellire il locale.

“Rimpianti?”

“Non pochi…ma a che servono, adesso?”

“Che so…uno potrebbe pensare ad un premio: tanto ho fatto, tanto ora ricevo.”

“Perché? Lei sa se…”

“Guardi, le risparmio tutto quel rovistare di curiosità che ha dentro e che non esce. Glielo dico subito.”

“Che cosa, scusi?”

“Non so nulla, né del premio o del castigo, né dell’esito del viaggio…Brindi a cuor leggero. Alla vita, in minuscolo o in maiuscolo, sia quel che sia. Se il vino è buono è buono, poi si vedrà…perché rovinarsi anche questo cin cin?”

Dunque il barcaiolo non sapeva nulla. Avrebbe dovuto pazientare, non era bastata una vita d’attesa. Quegli occhi un po’ ebeti non avrebbero tradito una verità che non potevano conoscere. Almeno così aveva sentenziato l’uomo, che gli stava di fronte e che non palesava alcuna fretta di partire.

E invece: “Bene, non ci resta che metterci ai remi” e, con un inchino poco aggraziato, gli indicò l’uscita.

Furono sul prato. “Calpesti pure, e se vuole può togliersi le scarpe, risentire sensazioni, libertà che non ha più ritenuto di potersi concedere. O mi sbaglio?”

Non si sbagliava. Tolse le scarpe. Affondò nell’erba alta non più di tre centimetri, sentì l’umido sotto la pianta dei piedi.

Incespicava fra eccitazione e rassegnazione.

Ecco la darsena: gradini freddi e acqua limacciosa, alghe che danzavano sotto la scorza del lago, grossi pesci che zigzagavano fra le piante subacquee.

“Salga…si metta comodo…non ci vorrà molto, devo tornare alla villa prima del tramonto.”

“Senta” e quasi tremava, “devo parlare, l’ansia mi toglie il fiato” e la barca lasciava la piccola darsena, affrontando il lago. “Non ho motivo di dubitare, lei non sa nulla…ma come è possibile? E chi è lei?” e intanto sperava di svegliarsi, era un sogno. “Perché mi trovo qui? Ho paura, non vede? Tremo…Siamo uomini, io e lei…un momento che aspetto da sempre, non sono preparato, potrei annegare nel buio eterno…” e ora piangeva, si dava sberle in faccia ma non si svegliava.

Il barcaiolo bloccò i remi: “Perché non prega?”

La barca, un modesto legno di pescatori, seguiva le voglie del lago. Le assecondava con pazienza. I remi gemevano sugli scalmi, incidevano l’acqua, uscivano al sole, si rituffavano. Parevano annegare ma sempre, in ultimo, sgocciolavano all’aria.

Si mise a pregare.

Annegava nel mistero, ma ogni volta risaliva alla luce.