venerdì 23 novembre 2012

Quel giorno che tremò la notte 31-8



TRENTUNO  otto

Maria si avvicinò alla camera di Roberta col desiderio di scambiare due parole con quel sacerdote venuto da fuori Abruzzo, un uomo che avrebbe potuto insegnarle qualcosa. Sesto senso di donna. O forse era stanca di non credere più. Capiva di aver bisogno di quel Dio come di un amico infedele ma, alla lunga, essenziale. Che vorresti incontrare, anche se sai che potrebbe finire a botte. Aveva bisogno di trovare soluzioni alla rabbia che la intossicava. S’era fatta l’idea che don Marco fosse un prete intelligente, che non aveva bisogno di sfruttare l’autorità data dall’abito per  farsi valere. Che non ricorreva a parole quali obbedienza, rispetto. Sospettava che fosse in crisi, tanto meglio, avrebbero messo insieme le domande. Avrebbero comunicato due malinconie. Non entrò decisa, rallentò il cammino, non volle annunciare la sua presenza, ‘non voglio svegliarlo’ pensò, con la sua propensione al rispetto. Lasciò filtrare oltre la penombra solo uno sguardo da ladra, lanciato oltre la soglia. La poltrona era vuota, il prete non stava in piedi vicino alla finestra; allungò il collo, vide il letto, Roberta e lui, sul lato sinistro, inginocchiato, le mani verso la giovane. Piangeva, di nascosto ma piangeva, in silenzio ma dubbi non ce n’erano, anche se lasciava che la coperta assorbisse le lacrime e i sospiri di quel lamento. Maria bloccò la prima reazione, che era quella di consolarlo o almeno chiedergli se stesse male, il perché di quella reazione così umana e così divina, facile e difficile al tempo stesso. Non si mosse, spense anche il respiro,  curiosò per qualche attimo, s’allontanò. Lungo il corridoio avvertì il nascere della tenerezza, e per un tempo imprecisato di quella notte fu felice.
                                  31-8  continua


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