TRENTUNO sette
Il
prete si lasciò la porta del bagno alle
spalle. Cercò di non fare rumore ma la porta incise un graffio nel silenzio
cupo dell’ospedale. Tornò nella camera e guardò verso Roberta. Immobile. Provò
un angosciante senso di estraneità. Quella giovane donna non gli apparteneva.
Non si sentiva parte di alcuna umanità. Si avvicinò al letto come fosse di
marmo, impermeabile a quel muto soffrire. Gli dava fastidio, lei che non si
svegliava ma più ancora quel suo essere insensibile, nella pretesa di voler
star bene. Non riusciva ad assorbire quel respiro altrui. Ebbe paura di ciò che
era. Si spaventò di un mondo fatto da persone come lui. Com’era in quel momento
e com’era stato altre volte. Si avvicinò, sperando che quell’incubo finisse,
che tornasse a sentirsi fratello di Roberta. Gli venne da pensare ‘fratello in
Cristo, caro Don Marco, quante volte l’hai ripetuto in predica?’ ma allontanò
Cristo, ‘ma che Cristo, sono un uomo, siamo uomini, voglio essere solo uomo,
voglio amare….voglio solo un cuore…’ disse al buio e si inginocchiò sul fianco
del letto. Cadde pesante, sentì una fitta alle ginocchia, allungò le braccia
verso di lei, compresse il mento, la bocca sulla coperta bianca, schiacciò il
naso come a volersi soffocare. Ma non riusciva a piangere. Con le mani la
cercò, la accarezzò, sperò che gli dicesse qualcosa, non sei un uomo, sei un
mostro, qualunque cosa per scuoterlo, per
convertirlo. Per stanare il suo cuore freddo. Ma lei non parlava. Solo un grande
silenzio. E quella croce muta. Il piccolo Cristo di metallo stava alle sue
spalle, pendeva come un gancio qualsiasi, come un amuleto, un ferro di cavallo,
un niente inventato dagli uomini. ‘Parlate, parlate’ disse soffiando contro la
tela, ‘sto morendo…salvatemi’ e vinse la tentazione di scappare.
Le
prime furono lacrime di rabbia. Ma non c’era consolazione in quel pianto, non
si svuotava del marcio che sentiva dentro di sé. Rabbia di non poter essere ciò
che desiderava, rabbia per essere nato così, rabbia di chi non ha speranza di
paradisi, né qui né altrove. Una rabbia feroce. Avrebbe dato pugni contro la
parete, sarebbe accorsa Maria, le avrebbe urlato che era tutto inutile quel
loro sacrificarsi dietro la malattia, pulire culi, consolare malati,
accompagnarli verso il nulla. Avrebbe chiesto all’infermiera di aiutarlo ad
andarsene, una puntura, una pastiglia, un colpo di pistola alla nuca, pur di
farla finita.
Sentiva
Roberta, le sue gambe, le ginocchia, i piedi, le mani calde in quella notte
calda. Le baciava le dita e le chiedeva perdono. Sentiva il suo profumo.
Tornò
la preghiera e il pianto venne dal cuore e risalì agli occhi. Stava bene, ora. Avrebbe
fatto qualsiasi cosa per lei, persino uno scambio, la mia vita per la tua, che
devo vivere ancora? Che devo vedere? Al massimo dovrò soffrire da qui in
avanti, tu invece, amica cara….e gli parve un’altra volta un gesto interessato,
da freddo egoista calcolatore. ‘Sarà quel che vorrà Lui’ disse e intanto
singhiozzava e ringraziava per quelle lacrime. Si augurò che non finissero mai.
31-7 continua
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