TRENTUNO cinque
‘E’
tutto passato, passato’ si disse e trovò di nuovo il rosario. Pregava, camminava
e respirava con profondità, sforzandosi di mantenersi quieto, di ritrovare la
serenità della fede. Si distraeva subito. Il suo passato pretendeva attenzione.
Certi fatti avevano tutt’altro sapore, letti in quella stanza, in quell’ora.
Non riusciva a perdonarsi scelte che aveva digerito come un bicchiere d’acqua.
Era diventato d’un tratto severo con se stesso e insieme indulgente. Rancoroso
con Dio.
Quando
Maria entrò di nuovo nella camera di Roberta era la una passata da dieci minuti.
Trovò don Marco seduto sul divano, piegato in avanti, la testa fra le mani,
mosso da lievi rantoli. L’infermiera pensò che si fosse addormentato e non
chiese nulla, non lo salutò, camminò leggera, armeggiò intorno alla ragazza e
uscì. Ma don Marco non stava dormendo, fingeva d’essersi assopito perché in
quel tratto della notte non aveva voglia neppure di incontrare lo sguardo di
Maria, temeva che non sarebbe stato in grado di rispondere ad alcuna domanda, si
era rifugiato in una preghiera disperata, una supplica più per lui che per
Roberta. Soffriva davvero.
Piegato
in avanti, comprimeva lo stomaco che urlava, una fitta profonda che gli saliva
in gola. Schiacciava quel sacco gonfio e rigido, implorava che il male finisse,
non era un uomo capace di soffrire. Non in quel momento. Non così intensamente.
Partì un dolore nuovo, uno scoppio al centro del petto, che si diramò veloce
alle braccia. La fronte divenne di fuoco e raggelò. Credette di morire. Mandò uno
sguardo da bambino terrorizzato nella penombra, occhi che cercarono la croce.
Ma quell’impennata di male finì subito, com’era arrivata, un colpo di vento, un
solo fulmine.
Il
prete trovò il fazzoletto, tamponò il sudore. Sentì la morsa allo stomaco
allontanarsi lentamente, e più si allontanava da lui più pregava, come se
avessero senso quelle parole, contenessero una medicina che finalmente serviva
al suo male. ‘Aiutami, mio Signore, aiutami, mio Dio’ ripeteva con ossessione e
speranza. E il soffrire uscì da lui. Provò una gioia che aveva gustato altre volte,
dopo confessioni liberatorie, dopo pericoli scampati.
Si
appoggiò allo schienale della poltrona, chiuse gli occhi, cercò di penetrare
sino in fondo a quella pace. Lo stomaco contratto si distese, il cuore rallentò
la sua corsa, provò appetito. Sentì voglia di gelato, di fresco, qualche attimo
dopo sentì il profumi di pane caldo, un filone croccante, imbottito con fette
di prosciutto. Immaginò la colazione che avrebbe consumato la mattina, sì,
sarebbe andato dal fornaio, no, non il solito caffè macchiato, non i soliti tre
biscotti, solo tre per non ingrassare, sarebbe sceso dal fornaio (e il profumo
del pane ce l’aveva dentro) e poi dal salumiere e dal vinaio. Pane, salame e un
bicchiere di rosso.
L’ansia
gli aveva negato la quiete del sonno. Ora sentì il bisogno di dormire, una
stanchezza che cercò di allontanare subito, tornando al proposito che non avrebbe
dovuto dormire quella notte, l’aveva promesso alla ragazza. Sarebbe stato più
fedele dei discepoli fiacchi nell’orto degli ulivi, uomini deboli e senza fede,
lui avrebbe fatto meglio, se ne sentiva capace. Ma i buoni propositi
incontravano una testa che ciondolava, palpebre che si abbassavano. Almeno tre
volte il capo cedette e lui lo risollevò con disappunto, rinnovando il
desiderio di fedeltà alla preghiera. Ma la volontà era debole, costretta a
subire anche quella notte il sapore amaro della mediocrità. Carne debole in uno
spirito pretenzioso ma inaffidabile. Buoni propositi smentiti dalla realtà. Guardò
l’orologio che aveva riposto nella tasca dei pantaloni. Erano le due e tredici.
Se lo rimise al polso, senza stringerlo. Pensò che avrebbe fatto meglio a
rimettersi in piedi, a camminare di nuovo, a sciacquarsi il viso, doveva
svegliarsi da quel torpore, mancavano poche ore, le più dure. E sarebbe
risalita l’ansia? E quella fitta al petto? Non si alzò, i tanti pensieri si
rifugiarono in un sonno profondo.
Maria entrò di nuovo che mancavano dieci
minuti alle tre. Trovò don Marco appoggiato allo schienale della poltrona, lo
sguardo al soffitto, la bocca aperta. Russava. Sorrise, pensando che anche i
preti russano, ma non hanno una moglie o un’amante che li sveglia.
31-5 continua
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