TRENTUNO tre
Gli
mancava l’aria, si alzò e tornò alla finestra aperta. Si appoggiò con le mani
al davanzale, si allungò verso il precipizio, cercò nella notte qualche immagine
di conforto, una carezza di fresco. Il buio si muoveva in piccoli rivoli di
vento, che facevano tremare le foglie e ondeggiare i rami più esili. Era
sereno. Stelle sfocate punteggiavano il cielo, una mezza luna lambiva il tetto
dell’edificio di fronte al suo punto di osservazione. Guardò verso il cortile e
fu costretto ad allontanarsi dalla finestra. Un giramento di testa? O la paura
d’esserne capace? Un senso di vuoto di fronte al vuoto? Di impotenza? A quel
punto era arrivato? Non era meglio che se ne andasse via di lì? Che ci stava a
fare?
L’infermiera
entrò e lo trovò appoggiato al davanzale con il culo, lo sguardo inquieto, il
volto arrossato, le ascelle chiazzate di sudore.
“Allora
è proprio deciso” disse al prete con voce leggera.
Aveva
capito bene a cosa si riferiva ma lo stesso chiese spiegazioni: “Deciso in che
senso?”
“Non
vuole restare a fare la notte? Così mi ha detto il cappellano.”
“Sì,
certo.”
Maria
era la caposala, voleva bene ai malati con una naturalezza sorprendente e
irritante. Don Marco la invidiava. Volle
capire. “Maria…”
“Sì?”
Non
trovava le parole, il coraggio. “Non è
stanca?”
“Stasera
fa un gran caldo.”
“Dicevo
in generale, del suo lavoro.”
“Sì…vorrei
andare in pensione.” Maria accarezzò la fronte di Roberta, la baciò.
Don
Marco fu sorpreso dalla risposta. “Non si direbbe.”
“Direbbe?”
“La
pensione….sembra tutto così naturale. Ha una passione per i malati…”
“Fingo”
disse Maria, con una sincerità che raggelò l’aria di quella camera di
sofferenza.
Don
Marco pensò di non aver inteso.
“Non
sempre” disse Maria. “Con questa povera ragazza no, per me è una figlia. Ci
soffro davvero. Preghi il suo Dio, lei che ci crede.”
Si
parlavano con una confidenza rara, resa possibile dal silenzio e dalla
solitudine. “E lei non crede?”
“Purtroppo
no.”
“
I dubbi sono fede.”
“Non
ho tempo per i dubbi. Non ho più voglia di pregare. Venga un anno qui, tutti i
giorni. La fede se ne va.” Lo guardò come si fosse accorta in quell’attimo che
stava parlando con un prete. Arrossì. “Lei mi deve scusare, non dovrei
permettermi.”
Don
Marco capì che la stava perdendo in quella benedetta sincerità: “No, no,
mi fa bene. La notte è lunga.”
“Il
terremoto a noi non ha fatto danno. Qualche crepa ma in casa ci siamo tornati.
Dio mi perdoni…andavo a Messa tutti i giorni, qui, in ospedale. Oggi sto male
quando entro in chiesa. Come mi avesse tradito mio marito.”
Don
Marco tornò seduto sulla poltrona, Maria si appoggiò alla sponda del letto,
dalla parte dei piedi, le braccia tese, inclinata leggermente verso Roberta ma
con il viso girato al prete, non una sfida, forse la speranza di risposte. Ma
Don Marco taceva.
“Sa
chi invidio? Non so se la conosce, è una delle infermiere più anziane
dell’ospedale, anziane..si fa per dire, cinquantasei anni, si chiama come me ma
tutti qui la chiamiamo Mariuccia. Ha presente?”
“Non
mi pare, forse…”
“Quella
invidio, sì, va in chiesa, prega mentre lavora, un giorno l’ho presa in
disparte e le ho detto –Spiegami come fai- Ha risposto che è nata così,
contenta di voler bene alla gente. Mi ha detto che non ha merito, per questo
ringrazia Dio. Ha capito che è nata col dono più desiderabile, ha paura di
perderlo. Due regali enormi, la fede e l’amore senza fatica. Le ho detto che è
già in paradiso e lei mi ha risposto –Credo di sì- Parli con quella donna
quando la incontra. Domani è di turno. Purtroppo per me è diverso. Mi sono
fatta l’idea che Mariuccia è una santa, gli altri sono come me. Altrimenti non
avremmo il mondo che abbiamo. Egoisti. Io per prima. Mi sto confessando, scusi.
Ma lei è un prete, sono davanti alla persona giusta. Non mi confesso da….” Fece
i conti. “E’ meglio che non glielo dica.”
Suonò
un campanello, Maria guardò Roberta: “Preghi per lei, faccia anche la mia
parte, questa povera ragazza deve vivere. Almeno lei. Devo andare, mi scusi
ancora.”
“Grazie
a lei” disse don Marco che si alzò col desiderio di stringerle la mano. “Ma
allora come fa…” L’infermiera era già scivolata nel corridoio.
31-3 continua
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