TRENTUNO undici
Avvennero
due fatti, di seguito, in pochi attimi, che turbarono il prete. Forse aveva
agganciato male il crocifisso, forse una scossa d’assestamento, la croce
all’improvviso cadde a terra con un rumore secco, e nell’attimo esatto del
tonfo Roberta ebbe un fremito, almeno questo immaginò d’aver visto don Marco,
che vide il movimento di striscio, perché lo sguardo era finito subito contro
la parete che già stava fissando ma ebbe l ‘impressione che la ragazza avesse
scosso la testa, con un tremito generato dal rumore. Si alzò di scatto, andò
subito al capezzale della giovane, stava per chiamare Maria ma si trattenne:
era tutto mortalmente fermo. Con rabbia picchiò un piede a terra, generando un
colpo forte, ma non bastò per rivedere quello scatto di vita. Il crocifisso si
era spezzato, il corpo pendente si era staccato dalla croce, congiunse l’uomo e
il legno, pensò che si sarebbe potuta saldare, che andava fatto, si domandò
perché era caduta, si mise in piedi di fianco al letto, tenendo con una mano il
Salvatore e con l’altra l’incrocio, li sollevò e li lasciò cadere, sperando che
il miracolo si ripetesse. Ma una volta ancora Roberta restò nella sua
posizione. Non era mai stato un uomo superstizioso, ma cominciò a domandarsi
perché era caduta la croce, se avesse un senso che esulasse dal volere di Dio o
dal caso, perché sino ad allora la sua superstizione era stata annullata dalla
fede, che può generare miracoli. ‘Il caso esiste, è caduta e basta. Don Marco,
ma cosa pensi stanotte? Che ti sta succedendo? Ritrova la via, ti prego,
ritrova la preghiera, lascia questi inganni, torna a fidarti di Dio, ti ha reso
felice sino al viaggio per Roma. Cosa ti sta succedendo, vecchio mio?’
Raccolse
i due pezzi che aveva lasciato cadere a
terra e sperò solo che tornasse presto l’aurora. Aveva pregato poco, senza
fede, aveva fatto solo male a Roberta, certamente non l’aveva aiutata, non si
era intrattenuto con lei ma con se stesso, con la sua anima povera, con la sua
mente malata. ‘Cerca di pregare, don
Marco. Affidati a Lui come hai sempre fatto.’ E respirava profondamente, per
respingere l’ansia che tornava ad inquietarlo. I suoi dubbi d’adolescente aveva
fatto in fretta a tranquillizzarli, ebbe il sospetto che questi nuovi dubbi
fossero più profondi, in lui da sempre, brace sotto la cenere pronta ad
infuocarsi. Ebbe la paura di bruciare in quel falò. Ebbe il terrore di
perdersi, e cominciò a pensare che satana esisteva davvero e lo aveva preso
come bersaglio. Si era insinuato nella sua debolezza e stava facendo razzia. Si
sentì posseduto, qualcun altro gestiva i suoi pensieri. Perse il controllo e
scappò fuori, trovandosi al centro del lungo corridoio. Solo.
Aveva
bisogno di parlare, di vedere qualcuno. Doveva comunicare le sue paure, Maria,
la cercò sforzandosi di mantenere il controllo. Sentì un rumore, un gorgoglìo
avvicinandosi alla piccola cucina, destinata al personale. Sentì profumo di
caffè. Entrò. Gli pareva di essersi tranquillizzato, ma così non doveva essere,
se Maria si spaventò nel vederlo, disse solo “E’ lei, don Marco” ma il tono
della voce e lo sbigottimento negli occhi lasciavano intendere che doveva aver
scritto tutto in faccia. “Ne vuole una tazza?” e s’alzò per prenderla. “La
notte è ancora lunga.”
“Volentieri”
disse il prete. Si sedette. Era lì, infelice ma non disperato, davanti a quella
donna che ora gli faceva da madre, da moglie, da amante. Non era bella Maria,
non alta ma dal petto generoso, il viso poco aggraziato, un naso poco femminile,
gli zigomi aguzzi. Ma in quell’attimo era tutta l’umanità della quale aveva
bisogno e che avrebbe voluto amare.
“Bene”
disse la donna. “Si sarà chiesto di quell’abbraccio…Mi deve scusare.”
Il
profumo del caffè si unì al sapore fresco di Maria, che si era avvicinata per
porgergli la tazzina. “Grazie….”
“Zucchero?”
“No….e
si capisce il perché.”
Maria
sorrise.
“Ho
preso paura” disse l’infermiera. “Credo ancora che gli uomini ci siano per
proteggerci. Lei che dice?”
“Che
è così, dovrebbe almeno.” Lo doveva confessare. Stava rientrando nella
normalità? La mano faticava a tenere la tazzina, tremava. “Il suo abbraccio mi
ha fatto piacere” e avrebbe detto enorme piacere, ma era un uomo votato a Dio,
che si era volontariamente privato della dolcezza femminile.
“Anche
a me.”
A
quella risposta don Marco sentì una vampata di calore. Era il pensiero di aver
dato gioia a una donna. Consolazione. Ammutolì. Avrebbe pianto.
Fu
lei a risolvere il silenzio: “La solitudine, la mancanza di affetto…”
“Sto male” disse il sacerdote.
Maria
posò la tazzina sul tavolo, spostò la sedia di un palmo verso di lui, lo
guardò. Se l’aspettava.
“Non
ci conosciamo, ma devo parlarne..a lei…devo….”
“Così
siamo fatti” disse la donna. Avrebbe volito prendergli la mano, un gesto che le
venne spontaneo, ma si trattenne.
“Devo
raccontare, ho dentro l’inferno.”
“Ci
hanno messo in un valle di lacrime..pianga…non si trattenga…”
Don
Marco nascose il viso nelle mani. Il grosso anello cozzò contro il naso. E parlò. E pianse. Riusciva a descriversi con
un naturalezza fantastica, quella donna
attirava a sé ogni confidenza, anche le più segrete, che faticava a confessare
alla sua anima. Continuava perché stava bene. Prese fiato, asciugò gli occhi,
guardò verso di lei con riconoscenza. “Mi scusi….e lei non dice nulla? “
“Ascolto.”
Aveva compreso il suo ruolo in quella notte. Eppure avrebbe avuto da dire anche
lei, di un matrimonio di accomodamenti e di silenzi, di figli sempre sul punto
di sputarle in faccia la frase che temeva più di qualsiasi altra, ‘Perché ci
hai messi al mondo?’, e quel suo mestiere, sempre nel dolore: avrebbe avuto
bisogno di parlare ma scelse il sacrificio, come ogni donna.
“Ascolta
questo pover’uomo” e ricordò. “La ragazza si è mossa, un tremito, l’ho visto.”
“Quando?”
“E’
caduto il crocifisso, avrà sentito dei rumori poco fa.”
“Sì,
non forti. Non ho dato peso.”
“Nella
camera di Roberta, la croce è finita a terra, si è rotta e lei si è mossa. Ho
visto con la coda dell’occhio ma ne sono sicuro.”
“Può
essere un segno buono” disse la donna. “Ma anche niente. Riflessi.”
“Mi
sono illuso, ho ributtato il crocifisso a terra, ho picchiato coi pedi, restava
immobile.”
“Non
perdiamo la speranza.”
“Cosa
ci resta? Dopo quella cosa c’è?”
“Lei
crederà ai miracoli.”
“Oggi vorrei il miracolo della fede.“ Si
corresse: “No, no, oggi voglio la vita per lei, io la mia l’ho fatta, mi basta
morire senza perderla, la fede.” Tornò il bisogno di contatto. Avrebbe voluto
abbracciarla. Non ebbe il coraggio, né lei comprese sino in fondo quella
necessità. Allungò la mano, chiese la sua, lei gli porse la sinistra, vide la
fede delle nozze, mani curate, dita sottili, non appropriate in quel corpo poco
aggraziato. La strinse, avrebbe voluto donarle il suo sangue, compenetrarla
affidandole la sua umanità. Trattenne un ultimo pianto.
“Torno
dalla ragazza” disse. “Grazie.”
“Di
nulla” disse Maria. Nel vederlo uscire, pensò che per lui avrebbe anche
ritrovato la preghiera.
31-11 continua
Nessun commento:
Posta un commento