lunedì 26 novembre 2012

Quel giorno che tremò la notte 31-11



TRENTUNO undici
Avvennero due fatti, di seguito, in pochi attimi, che turbarono il prete. Forse aveva agganciato male il crocifisso, forse una scossa d’assestamento, la croce all’improvviso cadde a terra con un rumore secco, e nell’attimo esatto del tonfo Roberta ebbe un fremito, almeno questo immaginò d’aver visto don Marco, che vide il movimento di striscio, perché lo sguardo era finito subito contro la parete che già stava fissando ma ebbe l ‘impressione che la ragazza avesse scosso la testa, con un tremito generato dal rumore. Si alzò di scatto, andò subito al capezzale della giovane, stava per chiamare Maria ma si trattenne: era tutto mortalmente fermo. Con rabbia picchiò un piede a terra, generando un colpo forte, ma non bastò per rivedere quello scatto di vita. Il crocifisso si era spezzato, il corpo pendente si era staccato dalla croce, congiunse l’uomo e il legno, pensò che si sarebbe potuta saldare, che andava fatto, si domandò perché era caduta, si mise in piedi di fianco al letto, tenendo con una mano il Salvatore e con l’altra l’incrocio, li sollevò e li lasciò cadere, sperando che il miracolo si ripetesse. Ma una volta ancora Roberta restò nella sua posizione. Non era mai stato un uomo superstizioso, ma cominciò a domandarsi perché era caduta la croce, se avesse un senso che esulasse dal volere di Dio o dal caso, perché sino ad allora la sua superstizione era stata annullata dalla fede, che può generare miracoli. ‘Il caso esiste, è caduta e basta. Don Marco, ma cosa pensi stanotte? Che ti sta succedendo? Ritrova la via, ti prego, ritrova la preghiera, lascia questi inganni, torna a fidarti di Dio, ti ha reso felice sino al viaggio per Roma. Cosa ti sta succedendo, vecchio mio?’
Raccolse i due pezzi che aveva lasciato cadere  a terra e sperò solo che tornasse presto l’aurora. Aveva pregato poco, senza fede, aveva fatto solo male a Roberta, certamente non l’aveva aiutata, non si era intrattenuto con lei ma con se stesso, con la sua anima povera, con la sua mente malata.  ‘Cerca di pregare, don Marco. Affidati a Lui come hai sempre fatto.’ E respirava profondamente, per respingere l’ansia che tornava ad inquietarlo. I suoi dubbi d’adolescente aveva fatto in fretta a tranquillizzarli, ebbe il sospetto che questi nuovi dubbi fossero più profondi, in lui da sempre, brace sotto la cenere pronta ad infuocarsi. Ebbe la paura di bruciare in quel falò. Ebbe il terrore di perdersi, e cominciò a pensare che satana esisteva davvero e lo aveva preso come bersaglio. Si era insinuato nella sua debolezza e stava facendo razzia. Si sentì posseduto, qualcun altro gestiva i suoi pensieri. Perse il controllo e scappò fuori, trovandosi al centro del lungo corridoio. Solo.     
Aveva bisogno di parlare, di vedere qualcuno. Doveva comunicare le sue paure, Maria, la cercò sforzandosi di mantenere il controllo. Sentì un rumore, un gorgoglìo avvicinandosi alla piccola cucina, destinata al personale. Sentì profumo di caffè. Entrò. Gli pareva di essersi tranquillizzato, ma così non doveva essere, se Maria si spaventò nel vederlo, disse solo “E’ lei, don Marco” ma il tono della voce e lo sbigottimento negli occhi lasciavano intendere che doveva aver scritto tutto in faccia. “Ne vuole una tazza?” e s’alzò per prenderla. “La notte è ancora lunga.”
“Volentieri” disse il prete. Si sedette. Era lì, infelice ma non disperato, davanti a quella donna che ora gli faceva da madre, da moglie, da amante. Non era bella Maria, non alta ma dal petto generoso, il viso poco aggraziato, un naso poco femminile, gli zigomi aguzzi. Ma in quell’attimo era tutta l’umanità della quale aveva bisogno e  che avrebbe voluto amare.
“Bene” disse la donna. “Si sarà chiesto di quell’abbraccio…Mi deve scusare.”
Il profumo del caffè si unì al sapore fresco di Maria, che si era avvicinata per porgergli la tazzina. “Grazie….”
“Zucchero?”
“No….e si capisce il perché.”
Maria sorrise.
“Ho preso paura” disse l’infermiera. “Credo ancora che gli uomini ci siano per proteggerci. Lei che dice?”
“Che è così, dovrebbe almeno.” Lo doveva confessare. Stava rientrando nella normalità? La mano faticava a tenere la tazzina, tremava. “Il suo abbraccio mi ha fatto piacere” e avrebbe detto enorme piacere, ma era un uomo votato a Dio, che si era volontariamente privato della dolcezza femminile.
“Anche a me.”
A quella risposta don Marco sentì una vampata di calore. Era il pensiero di aver dato gioia a una donna. Consolazione. Ammutolì. Avrebbe pianto.
Fu lei a risolvere il silenzio: “La solitudine, la mancanza di affetto…”
“Sto male” disse il sacerdote.
Maria posò la tazzina sul tavolo, spostò la sedia di un palmo verso di lui, lo guardò. Se l’aspettava.
“Non ci conosciamo, ma devo parlarne..a lei…devo….”
“Così siamo fatti” disse la donna. Avrebbe volito prendergli la mano, un gesto che le venne spontaneo, ma si trattenne.
“Devo raccontare, ho dentro l’inferno.”
“Ci hanno messo in un valle di lacrime..pianga…non si trattenga…”
Don Marco nascose il viso nelle mani. Il grosso anello cozzò contro il naso.  E parlò. E pianse. Riusciva a descriversi con un naturalezza fantastica,  quella donna attirava a sé ogni confidenza, anche le più segrete, che faticava a confessare alla sua anima. Continuava perché stava bene. Prese fiato, asciugò gli occhi, guardò verso di lei con riconoscenza. “Mi scusi….e lei non dice nulla? “
“Ascolto.” Aveva compreso il suo ruolo in quella notte. Eppure avrebbe avuto da dire anche lei, di un matrimonio di accomodamenti e di silenzi, di figli sempre sul punto di sputarle in faccia la frase che temeva più di qualsiasi altra, ‘Perché ci hai messi al mondo?’, e quel suo mestiere, sempre nel dolore: avrebbe avuto bisogno di parlare ma scelse il sacrificio, come ogni donna.   
“Ascolta questo pover’uomo” e ricordò. “La ragazza si è mossa, un tremito, l’ho visto.”
“Quando?”
“E’ caduto il crocifisso, avrà sentito dei rumori poco fa.”
“Sì, non forti. Non ho dato peso.”
“Nella camera di Roberta, la croce è finita a terra, si è rotta e lei si è mossa. Ho visto con la coda dell’occhio ma ne sono sicuro.”
“Può essere un segno buono” disse la donna. “Ma anche niente. Riflessi.”
“Mi sono illuso, ho ributtato il crocifisso a terra, ho picchiato coi pedi, restava immobile.”
“Non perdiamo la speranza.”
“Cosa ci resta? Dopo quella cosa c’è?”
“Lei crederà ai miracoli.”
 “Oggi vorrei il miracolo della fede.“ Si corresse: “No, no, oggi voglio la vita per lei, io la mia l’ho fatta, mi basta morire senza perderla, la fede.” Tornò il bisogno di contatto. Avrebbe voluto abbracciarla. Non ebbe il coraggio, né lei comprese sino in fondo quella necessità. Allungò la mano, chiese la sua, lei gli porse la sinistra, vide la fede delle nozze, mani curate, dita sottili, non appropriate in quel corpo poco aggraziato. La strinse, avrebbe voluto donarle il suo sangue, compenetrarla affidandole la sua umanità. Trattenne un ultimo pianto.
“Torno dalla ragazza” disse. “Grazie.”
“Di nulla” disse Maria. Nel vederlo uscire, pensò che per lui avrebbe anche ritrovato la preghiera.  
                               31-11  continua

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