TRENTUNO dieci
Per
la seconda volta lo lasciava non con una domanda, tante domande che sarebbero
tornate, subito, nelle ultime ore della notte. Avrebbe avuto ancora bisogno di
lei, ma avrebbe trovato il coraggio di chiamarla? Voleva parlarle. E voleva
risentirsela vicino, l’eco dei respiri. Il calore di due corpi che si toccano.
Dio mio, com’era freddo il suo Dio. Distante. Capace di rivoltargli la vita, di
condizionarla sino alla vocazione estrema, alla scelta senza ritorno, ogni ora,
ogni attimo, ogni rinuncia per Lui, un Signore invisibile e muto. Un Dio senza
corpo, intangibile. Un Dio di pura invenzione, necessario quindi creato come una
fantasia qualsiasi. Quanto aveva bisogno di poter stringere un’anima fatta di
carne.
Guardò
la ragazza e invidiò il loro atto d’amore e provò una pena infinita per come
era finita. ‘Un segno, mio Dio…perdonami per ciò che ho detto…annulla i miei
pensieri, Tu che lo puoi…. Non capisco questa notte, il senso, non mi comprendo
più, sto perdendo l’orizzonte, illuminami con la Tua luce….Ti prego, sono nelle
Tue mani, sono povero e solo, aiutami…’
Tornò
vicino al letto, raccolse la croce che era finita vicino ai piedi di Roberta, si
sedette sul divano, baciò il crocifisso, più volte, con delicatezza, sentì il
fresco del metallo, guardò il volto del Suo Signore. Non era una smorfia di
dolore. Pareva sorridere.
Si
alzò, tornò vicino alla parete, risalì sulla sedia e cercò di appendere il
crocifisso. Non ci vedeva abbastanza per riuscire ad infilare il gancio. Accese
una lampada più potente. La luce artificiale lo obbligò a socchiudere gli
occhi. La vista si era abituata alla penombra. Con quel fascio luminoso
riposizionò il Cristo al suo posto, lì, dove si notava la sua ombra chiara. Si
distrasse pensando che la luce sulle pareti bianche le ingrigisce. Discese dalla
sedia e spense subito la luce. ‘Tanto non l’avrebbe svegliata’ pensò. Anche un
faro più potente, anche lo stesso sole sceso in quella camera non sarebbero
stati in grado di liberarla da quel male insanabile. ‘Signore, luce della mia
vita, fai ciò che è nel Tuo disegno. Ma falla vivere’ pregò rivolto al Cristo
pendente, tornato nella penombra. Camminando verso il divano schiacciò un
oggetto che era finito a terra, perse l’equilibrio, rischio di finire sul
pavimento, con un movimento da clown, sgraziato, riuscì ad ancorarsi al letto,
che cigolò. Aveva schiacciato la corona del rosario. La raccolse e tornò
seduto.
Pregava
augurandosi che tornasse Maria. Lo avrebbe aiutato a raggiungere l’alba.
Avrebbero parlato. Si augurò una nuova scossa, sarebbe ricomparsa, forse si
sarebbero abbracciati di nuovo. Pensava e pregava, Ave Maria, Ave Maria…la
Santa Madre, e si distrasse subito, ‘Il Signore accetterà anche questa mia
preghiera senza concentrazione, il Signore è buono e grande nell’amore, è
misericordioso’…sì, perché ora pensava a Maria e dalla Vergine arrivò alla
madre, a sua madre, che venne con tutta la sua tenerezza e il suo vigore. Una
donna che l’avrebbe voluto prete (‘dei mie figli tu sei il più adatto, pensaci,
Marco’) ed era stata accontentata. Una donna che aveva sofferto troppo ed era
morta da un anno, tre mesi e dieci giorni. E gli mancava. Pensò a Maria, forse
era la madre morta che rivoleva nel loro abbraccio, il bisogno di una mamma che
non finisce mai. ‘Ecco perché hanno inventato le Avemarie, certo, ci voleva la
mamma di Gesù, una madre divina…’ Non si scandalizzava più di quelle trovate
della mente. Le accettava come parte della sua debolezza di uomo, ma anche
della sua ricchezza. Si consolava pensando che, al termine della danza dei suoi
pensieri blasfemi, tornava comunque a pregare…’Signore, dove andremo? Tu solo
hai parole di vita eterna’…La preghiera restava l’arma più potente, il solo
approdo.
Seduto
non riusciva a rimanere. le gambe inquiete, nervose lo obbligarono ad alzarsi di
nuovo. Guardò una volta ancora la camera, che conosceva nei particolari. Vide
il cestino dei rifiuti, conteneva un quotidiano, ‘strano, ieri non l’hanno
svuotato?’ e il giornale lo riportò alla cronaca del terremoto. Volle prenderlo
per sfogliarlo, ci ripensò, tanto non sarebbe cambiato nulla, e sulle notizie
la tendenza era chiara: cercare il colpevole, l’errore umano, affidare al
materiale scadente la colpa di quella disgrazia mortale, che obbligava migliaia
di persone al soffrire. Si raccontava anche della sopportazione degli
abruzzesi, della loro pazienza e dei progressi nella rinascita, ma il dito era
puntato contro chi avrebbe potuto prevenire e non lo aveva fatto. Accuse ai
politici del passato e ai presenti, alla protezione civile, e certe telefonate
che tornavano, uno schiaffo che bruciava, la dimostrazione della pochezza degli
uomini. Era stato tentato di scrivere ai giornali, con il desiderio di raccontare
anche il bene, le prove di coraggio, la santità quotidiana, ma aveva sempre
desistito, ‘non serve a niente, meglio fare fare fare, raccontare non aiuta
questa povera gente’ così si era meritato solo qualche breve cronaca sulle
pagine locali, il prete che dice messa nella tendopoli, don Marco, il sacerdote
che si è fermato in Abruzzo, aveva raggiunto una sfumata notorietà della quale
a volte si faceva vanto, pentendosi di tanta vanità. Il colpevole, la caccia al
ladro, il capro espiatorio per soffrire meno, per dare una ragione a quello
sfogo della natura: don Marco si fermò e guardò la croce. ‘Sei Tu il colpevole?
Sei forse Tu il sole responsabile, al quale nessuno si rivolge in protesta? Sei
Tu che meriteresti le nostre maledizioni e invece la passi liscia un’altra
volta? Distante e silenzioso? Qualche bestemmia, qualche bestemmia te la sei
presa, giusta o ingiusta non lo so, tu non mandi segni…o forse il segno è
proprio la terra che trema, per ricordarci cosa? Per ammonirci? Per castigarci?
Come Sodoma e Gomorra? Questi pensieri mi fanno paura, io voglio un Padre
Buono. Lo so, lo so che non ci punisci così, che un Padre buono accoglie. Hai scelto
la Croce per salvarci, e dalla croce ci obblighi a soffrire in questo modo? Che
senso avrebbe? Doni la tua vita per la nostra salvezza, e poi ti riprendi la
nostra esistenza fra i tormenti? O sei costretto ad obbedire ad un Padre
lontano? Mio Dio, fatti capire! Devo sapere che non sei Tu il responsabile.”
31-10 continua
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