TRENTUNO dodici
Don
Marco tornò nella camera, aveva negli occhi il secco del pianto, lacrime che si
sono asciugate ma lasciano traccia. Andò in bagno e si sciacquò il volto, per
cancellare quella debolezza. Per svegliarsi. La notte non era ancora trascorsa.
Ripassando dal letto guardò Roberta, nel suo sonno, trovò la croce, il Cristo
era lontano. Prese quell’incrocio di metallo e volle riappenderlo alla parete,
facendo attenzione di agganciarlo bene, ma il chiodo era caduto a terra. Lo
ritrovò a fatica, cercò il buco, si tolse una scarpa e usò il tacco come martello,
controllò che fosse fissato e riposizionò al suo posto la croce, privata del
suo senso, di quell’uomo che pende, che muore per il mondo intero.
Scese
dalla sedia, raccolse fra le mani il piccolo Cristo morente, lo accarezzò e tornò
a sedersi sulla poltrona, dopo aver recuperato anche la corona del rosario. Il
Crocifisso nella mano destra, nella sinistra i grani in fila indiana, lunga catena
di Avemaria e, ancora una volta, a chiudere il
cerchio, i legni con l’uomo che soffre sulla croce. La madre e il figlio, pensò, insieme, fra le
mie mani, alleati per me e per Roberta.
‘E
se fosse questo il segno?’ Ora guardava la croce sulla parete, vuota, e l’uomo
di metallo, nudo, nella sua mano. ‘Tutto qui?’ Il Signore lontano dalla croce,
per ricordargli la fine, la vittoria, la resurrezione. Quel volo, quel tonfo,
quello strappo, a ricordargli che era prete per annunciare la buona novella, il
centuplo quaggiù, sì, ma anzitutto l’Eternità. E quale centuplo, dopo un
terremoto? La resurrezione, la resurrezione, pensava e stringeva in mano il
Crocifisso, lo baciava. La preghiera arrivò, come vento potente. ‘Mihi vivere
Christus est et mori lucrum’ ripeteva San Paolo ‘è un passaggio, questa vita è
un passaggio, ma che deve dire un prete alla gente? Che speranza deve regalare?
Se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede’ e la vita, la sua
vita, da lì in avanti gli parve un’appendice inutile. Una perdita di tempo Un tempo che avrebbe potuto sacrificare ad
altri.
Quell’esaltazione
durò poco, il vento calò e arrivò presto la paura: di morire, di sbagliarsi.
Tornò ad aggrapparsi al suo corpo malfatto e alla sua miseria, preziosissima.
Non era in grado di pregare con fede una notte, quale vita avrebbe potuto
barattare? ‘Fai pena, fai solo pena’ disse, ‘trova almeno la forza di chiedere
perdono a Dio, che ti ascolta, che si vergogna di te, uomo di Dio.’
L’afflizione lo portò ad inginocchiarsi di nuovo sul lato del letto, quello di
destra, vicino alla poltrona, alla finestra affacciato alla quale aveva pensato
al suicidio. Si buttò contro il morbido del materasso, nelle mani i simboli
della sua fede, la testa confusa reclinata sulla coperta candida. Pianse.
***
Maria
entrò nella camera di Roberta quando mancavano cinque minuti alle sei del
mattino. Voleva salutare don Marco prima di ultimare il suo turno, ricordargli
di parlare con Mariuccia, abbracciarlo, se si fosse presentata l’occasione. Lo
trovò inginocchiato sul fianco del letto, immobile, la mano sinistra, che
stringeva il rosario, vicino al piede della ragazza, la mano destra copriva il
Crocifisso. E sopra la mano del prete quella di Roberta, che la accarezzava.
31-12 fine
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