VENTITRE
Arrivando al
paese, il tenente colonnello Duccio Guidi, comandante dei Carabinieri,
considerò che il campanile non era crollato, il piccolo orologio segnava
correttamente le dieci e dieci. Erano passate sette ore dalla scossa che aveva
devastato l’Abruzzo. Era giunta voce alla loro radio che lì avevano bisogno di
un mezzo adeguato che trasportasse all’ospedale più vicino un terremotato in
fin di vita; lo stavano sfilando con riguardo e fatica dal tetto crollato,
respirava ancora, forse con un soccorso immediato si sarebbe evitata un’altra
vittima, oltre alle sette che già si contavano in quella frazione fra le
montagne dell’Appennino.
Vista l’ora,
il tenente colonnello aveva poi osservato che non c’erano altri soccorritori,
nessuna vetture del 118 né mezzi della protezione civile o altri colleghi delle
forze dell’ordine. Era stato il primo ad arrivare: si sentì orgoglioso e
impaurito. Toccava a loro portare a termine il salvataggio.
Più d’uno si
fece vicino all’auto, indicando a gesti e parole qual era la direzione da
seguire. Entrando in ciò che avrebbe dovuto essere un cortile, davanti ad una
casa parzialmente diroccata, Duccio Guidi vidi due persone sul tetto, una terza
stava scendendo per la scala appoggiata alla facciata della casa. Seguì
quest’ultima che, senza neppure salutare o farsi appresso al loro mezzo, era
entrata dalla porta principale dentro l’edificio.
“Fermo qua?”
chiese l’autista.
“E dove, se
no?” rispose il superiore.
“Presto, fate
presto” gridavano dal tetto. “Per fortuna, ora scendiamo.”
“Un momento”
gridò verso l’alto il carabiniere, che aveva già valutato i rischi. Aveva
notato che i due sul tetto stavano avvicinandosi alla scala, cercando di
trasportare una persona immobile, che non collaborava, certamente svenuta.
“Attenti, un
attimo” urlò Duccio Guidi. “Salgo anch’io” e si arrampicò sulla scala.
Ora sul tetto
erano in tre, più il terremotato, disteso sopra le pietre.
L’uomo
dell’Arma si presentò, strinse la mano a Giorgio e Peppo, invitò alla
riflessione. “Respira?” e si chinò sul corpo. Era una ragazza, giovane,
tumefatta, lacera, impiastrata di sangue e calcina.
“Dobbiamo
fare in fretta” disse il tenente
colonnello. “Ma così non possiamo calarla di sotto.”
Peppo era una
furia: “Diobono, la lasciamo crepare?”
Giorgio cercò
di quietarlo, Guidi parlò con la calma data dall’esperienza e dalle
caratteristiche del suo mestiere: “Ci vuole una barella, qualcosa di simile, un
tavolo, un’asse, una barella e delle funi, deve stare orizzontale, dobbiamo
muoverla il meno possibile, immobilizzarla. Anzitutto il collo, bloccare la
testa, pezzi di legno, assicelle, delle fasce…Cose che bisognava procurarsi
prima…”
“Abbiamo
fatto il possibile” disse Peppo, nervoso.
“Dai, ha
ragione lui” disse Giorgio. “Scendo, vado a cercare.”
“Scendo
anch’io” disse Peppo.
Il
carabiniere restò solo sul cumulo di macerie. Ai suoi piedi la ragazza. Pensò a
sua figlia, lontana, studentessa a Milano. Si inginocchiò e si commosse. Le
accarezzò i capelli, le dita non scivolavano, trattenute dal sangue rappreso,
dalla sporcizia. Cercò di interpretare sul corpo ferito ogni segno di vita. Il
polso era debolissimo, si sentiva una lieve pressione sui polpastrelli. Come
per uno schiaffo o per un colpo secco di fucile sentì dentro tutta la
responsabilità di una vita che se ne stava andando. E lui era lì ad aspettare
assi e funi. Gesù Santo, un bella ragazza stava morendo ai suoi piedi. Sentì la
voglia di prenderla in braccio, di baciarla, di rianimarla, di caricarsela
sulle spalle e di correre al più vicino ospedale. Sentì nello stomaco la nausea
della sua inutilità. ‘Calmo, stai calmo’ si diceva, ripassando altre situazioni
drammatiche, altre morti già raccontate, subìte. ‘Se la muovo faccio danno, la
ammazzo io, un medico...possibile che non ci sia uno straccio di dottore?’
La ragazza
era troppo scoperta, avvolta da un lenzuolo, da un pigiama leggero. Duccio
Guidi si tolse la giacca e la adagiò come una coperta sopra di lei. Sentì voci
dal basso, fate presto, dai con quei legni, corri corri, sali su, saranno
abbastanza? e attese l’arrivo dei due che aveva incontrato sul tetto. Stavano
arrivando, per fortuna. Già ipotizzava in quale ospedale avrebbe portato la
sventurata, purtroppo distava una ventina di chilometri e non era sicuro che
avrebbero potuto accoglierla. Non sapeva se l’edificio era in piedi o crollato.
Le linee telefoniche erano interrotte. Aveva chiamato col cellulare in caserma
pregando di diramare la notizia, che gli facessero sapere qualcosa, lì c’era
una giovane donna da strappare alla morte.
Arrivarono
col materiale. Duccio Guidi impartì ordini precisi, sapeva quel che c’era da
fare, ma non era nemmeno più sicuro che la ragazza respirasse ancora. Avrebbe
voluto tastarle il polso, contare i battiti, rassicurarsi, ma stava meglio se
pensava che era ancora viva e che ora l’avrebbero portata al sicuro, nel luogo
della cura. Non voleva assumersi la responsabilità di dover constatare un
decesso. Santa Madonna, ora che la osservava meglio assomigliava davvero a sua
figlia. E se fosse capitato alla sua ragazza? Capì che non avrebbe potuto
reggere una simile sorte, e che era un’offesa per lei, distesa fra le macerie,
quel suo stare lì, non indifferente ma nemmeno disperato. Perché se fosse stato
ferito nella sua carne non avrebbe potuto inventarsi la freddezza per poter
dare indicazioni chiare, correggere movimenti maldestri, fare e ricevere
telefonate, evitare di piangere come un bambino impaurito da una prospettiva di
morte imminente.
“Ma è ancora
viva?” chiese Peppo.
“Presto, fate
presto” disse il comandante dei carabinieri. “Ora io scendo, calatela molto
lentamente. Poi la sistemiamo nell’auto.”
Si fermò, si
ricordò che avevano parlato di due giovani. E l’altro? S’avvicinò a Giorgio, lo
chiese a bassa voce: “Non erano in due?”
“L’altro è
ancora sotto” disse Giorgio. “Non ce la si fa. Non dà segni di vita. Nessuna
voce, pianti, nessun grido.”
“Va portato
fuori anche lui” disse Duccio Guidi.
Giorgio
riprese a muoversi vicino alla ragazza, dovevano salvare almeno lei. “C’è anche
un prete che sta con noi, don Marco. Deve essere sceso, sarà giù in cortile.”
“Ho visto un
uomo entrare nella casa” disse il carabiniere.
“Allora è
lui” disse Giorgio.
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