VENTI
“Silenzio,
diobono, fate silenzio” gridò quello che stava sul tetto crollato.
“Che c’è?”
L’uomo sul
tetto si piegò sui detriti, avvicinò l’orecchio alle tegole spezzate. “Forse…un
lamento…via di sotto…via di sotto…” e si mise in piedi. Riprese a buttare da
sopra, giù nel cortile, i pezzi di tetto che riusciva a spostare da solo.
“Che hai
detto, Peppo….sentito qualcosa?”
“Sì, sì”
diceva Peppo, che si muoveva rapido. Si fermò. Si passò la fronte con il dorso
della mano, si mise in ginocchio.
Don Marco
pensò che stesse pregando.
Peppo
piangeva. “Non ce la si fa…ci vogliono i mezzi…briciole, sposto solo le
briciole, madonna santa.”
“Vengo su
anch’io” disse Giorgio, ma fu trattenuto per il braccio da una donna. “E’
pericoloso. Se crolla?” Giorgio si fermò.
Don Marco si
diresse verso la porta.
“Che fa,
reverendo, stia qui, non entri…” disse la donna che aveva bloccato Giorgio. Si
era presentata come un’amica della padrona di casa, che ricordava ancora quando
il piccolo Romano veniva dai nonni, succhiava l’erbacucca, dava il fieno ai conigli e il pastone al maiale.
Don Marco
nemmeno la sentì. L’uscio di casa era semiaperto, lo aprì del tutto, venne
investito da polvere, terra, buio e gelo. Uscì, andò all’auto, prese la torcia
elettrica e tornò dentro, mentre Giorgio si stava arrampicando sulla lunga
scala, con l’intenzione di raggiungere Peppo in cima alle macerie.
Puntò la luce
alla sua sinistra, aprì la porta, adagio. Aveva paura. Pensava e pregava. Aveva
freddo. Stava attraversando spazi di realtà simile al sogno, ogni tanto pensava
a Roma e alla promozione. E se avesse proseguito dritto anziché svoltare per il
paese? Non poteva neppure chiamare per giustificare il ritardo, l’assenza. Si
vergognava di quel pensiero, pregava. Girò col fascio tondo sulle pareti, sui
mobili di quel locale, che mostrava pochi segni del terremoto: qualche crepa,
quadri fuori asse, calcinacci a terra, odore di umido, di muffa, di sporco.
Uscì e puntò la luce in avanti, verso quelle che dovevano essere ripide scale.
Il materiale della parte superiore della casa di campagna s’era accatastato
soprattutto sulla destra, a sinistra si riusciva a passare strisciando contro
la parete, superando piccoli ostacoli. Buttò la luce in cima, ebbe l’impressione
che l’ingresso ai locali superiori fosse del tutto ostruito.
Sull’uscio
s’affacciò la donna di prima: “Reverendo, stia attento…Vede qualcosa?”
Don Marco
stava per dire che si vedeva poco ma che forse ce l’avrebbe fatta ad arrivare
in cima quando venne da fuori a dentro come un rantolo della terra, le scale
ebbero un fremito, il prete si voltò e corse fuori. Era stata una scelta
d’istinto, non ci aveva pensato, l’azione aveva preceduto la riflessione.
La scossa
d’assestamento fece inclinare la scala esterna, che andò a finire sopra l’auto
dei giovani. Giorgio e Peppo si fermarono, impietriti, in ascolto di quel
lamento, soffiato dal centro della terra. Non più di una decina di secondi,
infiniti, che non provocarono altri crolli all’edificio, ma lesioni nella
speranza della gente.
Don Marco si
vergognò per quella sua fuga da pavido. Si ricordò di un episodio di gioventù.
Erano partiti per le vacanze, la loro auto s’era bloccata in autostrada,
brillava la spia rossa, c’erano problemi al radiatore. Suo padre aveva aperto
il cofano del motore, lui era sceso per primo e per mostrarsi adulto aveva
preso uno straccio e iniziato a svitare il tappo. Una folata di vapore bollente
l’aveva sfiorato in viso e s’era messo a correre urlando come avesse le fiamme
nei capelli.
“Non entri,
per carità” disse la donna. “Lasci fare a quelli lassù.”
“Non si
preoccupi, sto attento. Bisogna fare presto” disse don Marco e varcò di nuovo
la soglia.
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