DICIANNOVE
Romano si
svegliò. Ma era una condizione di vita confusa: sogno, incubo, realtà. Pianse
di terrore. Fregò il mento con rabbia, per ammazzarsi. Avrebbe dovuto aspettare
la morte. Perché non era ancora morto? La vita non poteva sopportare quel suo
martirio. Una condanna atroce. Avrebbe voluto solo dormire.
Ebbe un
fremito, brividi incontrollati, tremori. Tossì. Sentì un dolore acutissimo alla
schiena, al petto. Sputò qualcosa. Ebbe l’impressione di aver liberato spazio
per l’aria, per le parole, una via di fuga per la sua disperazione.
Forse
sarebbe riuscito ad urlare. Disse un “Aaaaaaa…” prolungato. Cercò di urlare
Roberta Roberta e poi aiuto aiuto aiuto.
Il ronzio
alle orecchie era diminuito. Percepiva qualcosa della sua voce. Prese coraggio.
La voglia di vivere moderò la forza distruttiva dell’ansia.
Fece
silenzio. Sentì qualcosa. Per un attimo pensò a Roberta, alla sua voce. Intuì
che erano lontani rumori di pietre rimosse. C’era qualcuno sopra di loro. Non
erano soli.
“Aiuto aiuto
aiuto” e ogni parola gli costava uno sforzo tremendo.
Ora non
sentiva più nulla. S’era illuso. Il rumore che gli martellava i timpani lo
aveva ingannato.
Il panico lo
aggredì di nuovo con una violenza che non gli lasciò scampo.
19 - continua
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