DICIOTTO
Don Marco raggiunse il paese che
mancavano cinque minuti alle quattro. Da lontano le case sopra la montagna
erano da immaginare. Che ci fosse vita lassù lo intuiva da piccole luci in
movimento e da qualche fascio di luce più ampio. Eccole ora quelle piccole luci
che sfidavano il buio: torce elettriche in mano ai sopravvissuti, anche candele
tenute da anziani, seduti sulle rovine. Chi aveva gambe e braccia per lavorare
s’agitava, correva o camminava a passo svelto. Vide auto ferme, con i fari
spalancati contro la disgrazia. Molti piangevano.
Stava decidendo dove fermare
l’auto quando venne raggiunto da un giovane, che gli fece il gesto di abbassare
il finestrino.
“Può venire con l’auto? Abbiamo
bisogno di fari. La prego.”
“Dove?” disse don Marco.
“Mi fa salire?”
“Salga.”
“Sono Giorgio.”
“Don Marco.”
“C’è una vecchia casa qui
dietro…è venuto giù il tetto, è abitata di sicuro…di solito è vuota.”
“Vuota?”
“Vuota ma ieri sera, tardi, li ho
visti, sono arrivati non so da dove, forse il figlio della padrona…qui ci
abitavano i nonni….la vecchia casa dei nonni…erano in due, dalle voci direi un ragazzo e una
ragazza…ieri sera, saranno state le undici…c’è la loro auto…la casa non è
venuta giù, solo il tetto ma loro non ci sono, non si trovano.”
Don Marco pensò che forse erano
scappati fuori in tempo, se stavano nei locali bassi. “E se hanno fatto in
tempo a uscire?”
“Non so, forse” disse Giorgio.
“Ma dove sono? Qui ci conosciamo tutti, siamo in pochi….mezzo paese è venuto
giù, io qui sto da solo, sono vivo per miracolo…eccoci, facciamo luce….”
Don Marco fermò l’auto. Provò con
gli abbaglianti. Si vedeva meglio. Un cortile, la casa. Nel cortile macerie,
pietre e mattoni erano finiti anche sopra l’auto dei giovani, parcheggiata in
malo modo sulla destra. Il tetto si era afflosciato sopra il primo piano, ma il
crollo si era fermato lì. Un uomo sbracciava sopra il cumulo di tegole, travi,
mattoni. Un mucchietto più alto doveva essere il vecchio camino. Un pezzo di
grondaia penzolava, sfiorando la ghiaia del cortile. Quell’uomo era salito in
cima al crollo grazie ad una lunga scala, appoggiata alla parete. Don Marco
pensò che quella scala esterna significava l’impossibilità di accedere
dall’interno. Forse nessuno se l’era sentita di rischiare la salita entrando
nella casa pericolante.
“Senti qualcosa?” urlò Giorgio
all’uomo sul tetto.
“No, no, ma ci sono…ci devono
essere…sono rimasti qua sotto….come facciamo….a mani nude? I telefoni?”
“Niente….nemmeno i cellulari
prendono…siamo soli.”
“Verranno.”
“Chi?”
“I soccorsi.”
“I soccorsi? Ora che salgono
qui..saremo gli ultimi.”
“E’ una tragedia, madonna santa.”
“Gesù buono, c’è gente da
salvare, dai dai…”
“E L’Aquila?”
“Chissà in città.”
“A L’Aquila le case sono nuove.”
“E il centro storico?”
Pochi stavano in silenzio. Le
domande e le risposte aiutavano a vincere quel silenzio di morte, ad abitarlo
di qualcosa.
Don Marco era uscito dall’auto e
si stava avvicinando alla casa, cercando di non inciampare nei detriti.
“Non si avvicini, stia attento”
gli disse una donna.
Don Marco si fermò. Il fascio di
luce della sua auto buttava la sua ombra gigante contro la porta della
casa.
18 - continua
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