QUINDICI
Romano
fissava la lampadina che pendeva sopra il suo naso. Era indeciso se alzarsi a
spegnere la luce o starsene lì sotto; si sarebbe alzato solo per uno scrupolo
da ecologista. Vide il vecchio lampadario dondolare, adagio, movimenti sempre
più ampi. E col dondolio un rumore profondo, come di tuono prolungato, che non
si risolve nel silenzio. Vide aprirsi una crepa sul soffitto, si voltò verso
Roberta, la toccò per svegliarla. Quando la ragazza soffiò adagio adagio un
‘Che c’è?’ il letto tremava, il comò si
era spostato dal muro, la specchiera era caduta a terra con un fracasso di
vetri che svegliò la ragazza. Capì che qualcosa di grave stava succedendo, un
risveglio incredibile.
Romano era
nel panico, perse il controllo, con il terrone nel corpo inquieto:
“Cazzo…cazzo…” urlò, buttando via il lenzuolo e la coperta come fossero di
fuoco.
“Terremoto…no
no” gridò lei.
I primi
calcinacci si staccarono dal soffitto finendo sul letto: sottili, solo polvere.
La luce si spense. Nel buio il ringhio del terremoto era atroce, rumore
amplificato dalle suppellettili che cadevano, dai pezzi di muro e di soffitto
che finivano sul pavimento, sul letto.
Senza
ragionamento, Romano strinse un braccio di Roberta e la trascinò giù dal letto,
tirandola verso la porta e l’uscita, ma inciampò subito nel buio. Cadde e cadde
anche lei. Si alzò e sentì un rumore secco davanti a lui, tastò, capì che
doveva essere la porta della camera. Fece per rimettersi in piedi, urlò:
“Usciamo!” ma venne investito dalla parete, che si sbriciolava davanti a lui.
Roberta piangeva e si lamentava per le prime ferite. Strappò dal letto la
coperta e il lenzuolo, si fasciò, gridò che dovevano scappare sotto il letto,
stava venendo giù il soffitto. Di fianco era tutto bloccato dalle rovine della
casa. Riuscirono a infilarsi sotto, trovando un
varco sul davanti. Si rannicchiarono, si fasciarono nei pezzi di tela.
Avevano in bocca polvere e piccole scaglie di mattone. Roberta aveva un dolore
fortissimo al braccio destro. Romano pensò che era la fine. Intorno a loro la
terra ruggiva, esalando odori nauseabondi. Un peso li schiacciò, riducendo lo
spazio e appiattendoli a terra. Romano si riparò la testa, picchiò il mento, il
naso, la bocca sul pavimento, lercio per l’incuria di mesi. Avvertì un dolore
insopportabile ai denti. Roberta si
sentì oppressa, non riusciva a respirare, sentì il potere della morte nel suo
corpo, perse i sensi.
Romano,
ferito e cosciente, sentì che la pressione della casa sopra di lui aumentava
lentamente, il rumore perdeva potenza. Arrivò il silenzio. Un conato di vomito
gli si bloccò in gola.
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