CINQUE
“La giornalista?” domandò Romano.
“Sì, la giornalista” rispose
Roberta.
“Cioè la disoccupata.”
“Esatto.”
Alla fine
l’aveva accontentata. Lui avrebbe preferito un ristorante ma lei adorava la
pizza. Gli aveva lasciato la scelta e lui aveva deciso: ‘La grotta di Bacco’,
in via degli Orti.
“Hai scoperto
la mia età?” disse Romano.
“Ho letto il
tuo profilo.”
“Non dirmi
che ne dimostro di più.”
Roberta
mentì, in fondo le rughe erano leggere, i capelli grigi li si potevano contare.
Gli occhi di
Romano, occhi chiari: il suo fascino. Bastavano a inchiodarla lì, felice, sopra
una sedia senza cuscino, scomoda, da ‘Bacco’: ci era passata davanti tante
volte, chiedendosi se valesse la pena assaggiare anche quella. Ora scioglieva
il dubbio, in una situazione inimmaginabile. Mai avrebbe pensato a due occhi
così, per lei.
“E sai per
quanti giornali collaboro?”
“Quanti?”
“Quattro e
una radio, due di carta e due on line. Corro tutto il giorno.” Avrebbe dovuto
concludere “per quattro soldi” ma non lo disse. “Perché non l’insegnante?”
chiese a Roberta, che voleva invece giocarsi la sua laurea in lettere nel
giornalismo.
“Ci si
nasce.”
“Anche
giornalisti.”
“Non mi dire.
E allora sono nata giornalista.”
“E che hai
scritto?”
“Sul
giornalino del liceo, di moda.”
“Complimenti.”
Arrivò il
cameriere con due tovagliette all’americana, piatti, bicchieri, posate e i menù
in plastica con la lunga lista delle pizze.
Romano la
guardò mentre scorreva l’elenco e commentava. Non aveva una ruga: il
fondotinta? O una pelle perfetta? Indossava un dolcevita chiaro.
“Scelto”
disse Roberta.
“Cosa?”
“Margherita.”
“Stai
leggera.”
“Alla fine è
la più convincente, è la pizza pizza, pomodoro e mozzarella. Tu?”
“La mia
solita.”
“Margherita?”
“Quattro
stagioni, c’è un po’ di tutto.” Pensò e parlò: “Investo bene i pochi soldi che
ho.”
“Sei
tirchio?”
“Sono
costretto.”
“La mia me la
pago io.”
“Benissimo.”
“Vigliacco,
lo dicevo che sei tirchio.”
Questo non
aveva ancora capito Romano: come trattarla. Moderarsi o lasciarsi andare?
Spontaneità o controllo?
“Ti faccio
paura?” disse Roberta.
“Paura?”
“Non so,
impressione.”
“Spiegati.”
“Se devi dire
una parolaccia fai pure.”
Arrivò il
cameriere, un ragazzo sorridente, dava l’idea di aver voglia di lavorare.
Ordinarono. Da bere lui prese una mezza chiara, lei una panascé.
Le pizze
andarono via senza troppo gusto, presi dalla voglia di raccontarsi. A Romano
interessava la vita di Roberta e ogni indizio di innamoramento. Roberta si
gustava i suoi occhi e cercava di intuire, da quello sguardo celeste, quanta
verità ci fosse nelle sue parole.
Lasciarono
avanzi di pizza nei grandi piatti, passarono al dessert, che ha bisogno di meno
fame e di più golosità. Al loro caffè (lei decaffeinato, anche se sapeva che
non avrebbe dormito) entrarono in pizzeria tre giovani e un adulto, un prete,
lo si capiva dalla piccola croce d’argento vicino all’asola della giacca
grigia. Era magro, il volto secco, capelli corti, molti grigi. Salutò Roberta e
si andò a sedere con gli altri un paio di tavoli più in là, vicino all’angolo
del pizzaiolo che maneggiava la pasta e il companatico con automatismi
svogliati. Aveva già lavorato ore, sonnecchiava fra lo stanco e lo scazzato.
“Lo conosci?”
domandò Romano.
“E’ don
Fabio. E’ il prete della mia facoltà.”
“Vai
d’accordo coi preti?”
“Dipende”
rispose Roberta.
“E con
quello?”
“Don Fabio?
E’ un grande. Per lui farei qualche anno ancora in Università.”
Romano si
sorprese per quella simpatia ecclesiale. La guardò mentre faceva cantare il
cucchiaino nella tazzina del caffè. Si allungò verso di lei, le accarezzò il
lobo dell’orecchio, fece dondolare un orecchino a forma di Tor Eifell, le
sfiorò la punta del naso, avrebbe voluto dirle “Mi piaci” o persino “Ti amo” ma
andò a sbattere contro un viso troppo bello, al quale donò solo un sorrisetto
da ebete.
5 - continua
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